Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34837 del 14/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34837 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Fichera Andrea n. il 25.7.1994
avverso l’ordinanza n. 127/2014 pronunciata dal Tribunale della libertà di Catania il 3.2.2014;
sentita nella camera di consiglio del 14.7.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri,
sentito il Procuratore Generale, in persona del dott. A.P. Pompeo, che
ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato limitatamente alle circostanze aggravanti contestate;
udita per il ricorrente l’avv.to G. Magnano del foro di Catania, che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 14/07/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con atto in data 24.5.2014, a mezzo del proprio difensore,
Andrea Fichera ha proposto ricorso per cassazione avverso
l’ordinanza in data 3.2.2014 con la quale il tribunale del riesame di
Catania ha confermato l’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere emessa, a carico del ricorrente, dal giudice
per le indagini preliminari presso il tribunale di Catania, in data
3.1.2014, in relazione ai reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (aggravato ex art. 7 d.l. n.
152/91 convertito con modificazioni dalla 1. n. 203/91) e di illecita detenzione a fini di spaccio e spaccio di stupefacenti (aggravato ex art.
8o d.p.r. n. 309/90 e alt. 7 cit.).
2. – Con il ricorso proposto in questa sede, il ricorrente censura

l’ordinanza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione,
per avere il giudice del riesame erroneamente ascritto al ricorrente il
reato associativo allo stesso contestato in assenza di adeguati elementi indiziari di riscontro, e per avere ritenuto il ricorso delle aggravanti
di cui all’art. 8o d.p.r. n. 309/90 e alt. 7 d.l. n. 152/91 convertito con
modificazioni dalla 1. n. 203/91, in assenza dei corrispondenti presupposti di legge.
Considerato in diritto
3.1. – Il ricorso è parzialmente fondato nei limiti di cui appresso.

Dev’essere preliminarmente disattesa la doglianza avanzata
dal ricorrente con riguardo al preteso mancato approfondimento (e al
conseguente asserito omesso accertamento), da parte dei giudici del
riesame, della sussistenza dei requisiti indispensabili per la predicazione, in capo al Fichera, dell’effettiva volontà (e della corrispondete
attuazione) riferita alla partecipazione al sodalizio criminoso allo
stesso contestato, avendo il tribunale del riesame sottolineato (anche
attraverso l’indicazione delle corrispondenti fonti di prova) la molteplicità degli episodi di traffico di stupefacenti in relazione ai quali le
condotte del Fichera sono apparse connotate da modalità operative
ed esecutive sostanzialmente ripetitive e coincidenti tra loro, con particolare riguardo all’individuazione delle fonti di approvvigionamento
dello stupefacente, delle modalità della relativa distribuzione sulla

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’piazza’ di competenza, delle forme del controllo del territorio e
dell’assicurazione dei proventi riscossi.
Al riguardo, il tribunale del riesame ha coerentemente descritto e valorizzato il funzionale inserimento dell’attività del Fichera nel
quadro della più complessa struttura criminale ricostruita, accuratamente organizzata e articolata al fine della più efficace e sicura realizzazione delle finalità di distribuzione delle sostanze stupefacenti trattate.
Sul punto, varrà richiamare il consolidato insegnamento di
questa giurisprudenza di legittimità (puntualmente e correttamente
richiamato nel provvedimento impugnato), ai sensi del quale, ai fini
della configurabilità dell’associazione finalizzata al traffico illecito di
sostanze stupefacenti, non è richiesto un patto espresso fra gli associati, ben potendo desumersi la prova del vincolo dalle modalità esecutive dei reati-fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori,
dalla ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di un comune obiettivo e dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pure non particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della continuità temporale del vincolo criminale (Cass., Sez. 6,
n. 40505/2009, Rv. 245282).
In thema, mette ulteriormente conto di sottolineare come la
prova del reato associativo ben può essere tratta dall’intervenuto accertamento della commissione dei diversi reati-fine da parte degli associati, tanto desumendosi dall’insegnamento, che risale agli arresti
delle sezioni unite di questa corte (successivamente confermato dal
consolidato indirizzo sul punto seguito dalle sezioni semplici), secondo cui, in tema di reati associativi, è consentito al giudice (pur
nell’autonomia del reato-mezzo rispetto ai reati fine) dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti
rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive (in
termini di continuità dei contatti, frequenza degli aggiornamenti, familiarità e immediata reciproca comprensione dei linguaggi apparentemente criptici, etc.), posto che attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione medesima (Cass., Sez. Un., n.
10/2001, Rv. 218376, e successive conformi).
Con particolare riguardo all’aspetto relativo alla soggettiva
consapevolezza di partecipare al sodalizio criminoso in esame, è appena il caso di richiamare l’insegnamento di questa corte di legittimi-

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tà, ai sensi del quale la partecipazione all’associazione criminosa non
richiede la precisa conoscenza (e, tanto meno, la deliberazione) di
tutte le attività che rientrano nel suo programma, di per sé indeterminato, essendo sufficiente la consapevolezza del partecipe della natura illecita di tali attività; egli infatti è responsabile dell’attività associativa che svolge e dei reati-fine alla cui deliberazione concorre, per
cui, allorché l’associazione sia dedita al traffico di stupefacenti, il partecipe-acquirente stabile risponde del contributo dato in tale qualità
alla vita e all’azione dell’associazione criminale (Cass., Sez. 6, n.
5405/2009).
In tal senso, il reato di partecipazione a un’associazione criminosa dedita al traffico di sostanze stupefacenti può ravvisarsi anche
relativamente alla posizione dello stabile acquirente della sostanza
stupefacente dall’associazione. In tal caso, infatti, la contrapposizione
tra i soggetti tipica dello schema contrattuale sinallagmatico resta superata e assorbita nel rapporto associativo, per l’interesse preminente
dei protagonisti dello scambio alla stabilità del rapporto, che assicura
la certezza del contraente sia all’associazione, che trova la garanzia
della disponibilità dell’acquirente della sostanza stupefacente commerciata, sia all’acquirente, che deriva dal rapporto associativo la certezza della fornitura (Cass., Sez. 6, n. 5405/2009, cit.).
3.2.- Devono trovare viceversa accoglimento le doglianze sollevate dal ricorrente con riguardo alla ritenuta sussistenza delle circostanze di cui all’art. 8o d.p.r. n. 309/90 e di quella prevista dall’art.
7 legge n. 203/91.
Occorre, sul punto, sottolineare come, nell’ipotesi di una pluralità di reati in materia di stupefacenti, il ricorso della circostanza di
cui all’art. 80 cit., va verificato in relazione a ciascuno dei delitti
commessi, dovendo escludersi la possibilità di ravvisare il ricorso di
un’ingente quantità, dello stupefacente trattato, in virtù della sola
sommatoria dei quantitativi di volta in volta considerati, a meno che
non sia possibile identificare un’antecedente condotta avente a oggetto l’intero quantitativo, solo successivamente frazionato in quote.
Allo stesso modo, l’aggravante in parola è configurabile anche
se la materiale disponibilità della sostanza sia frazionata tra più persone, in modo che solo dalla somma dei diversi quantitativi risulti
superato il dato ponderale necessario, tuttavia sempre a condizione

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che tra essi risulti ravvisabile il concorso nel reato (Cass., Sez. 6, n.
Nel caso di specie, il tribunale si è limitato ad affermare la ricorrenza dell’aggravante di cui trattasi avuto riguardo alle innumerevoli cessioni effettuate nell’arco di tempo monitorato dagli inquirenti,
senza che sia dato comprendere se il riferimento fosse alle cessioni
operate personalmente dal ricorrente, ovvero anche alle cessioni dei
concorrenti nel reato continuato che a costoro viene ascritto e, in tale
ultimo caso, se in ragione di una sommatoria delle diverse frazioni o
se per aver individuato un comune complessivo quantitativo per
l’appunto ingente.
I profili di manifesta illogicità di tale passaggio della motivazione del provvedimento impugnato (per le decisive carenze argomentative che lo affliggono) ne impone pertanto il corrispondente
annullamento, con il conseguente rinvio al giudice a quo per un nuovo esame.
Allo stesso modo, con riguardo all’aggravante di cui all’art. 7
cit., osserva il collegio come l’aggravante di aver commesso il fatto al
fine di agevolare l’attività di un’associazione di stampo mafioso postuli l’esistenza effettiva di un’associazione che abbia i caratteri indicati dall’art. 416-bis c.p., così come l’individuazione delle modalità attraverso le quali la condotta illecita contestata risulti agevolatrice
dell’associazione mafiosa.
Sul punto, la motivazione del provvedimento impugnato deve
ritenersi affetta da profili di manifesta illogicità, siccome gravata da
carenze argomentative di decisiva incidenza, atteso che l’evocazione
delle circostanze relative al funerale di Ponzo Alessandro, con il rilievo del sicuro interesse di concorrenti organizzazioni mafiose per
l’area teatro delle attività illecite in esame, non aggiunge nulla di concreto e di determinato a un quadro caotico e indistinto, risultando
quest’ultimo del tutto sconnesso – almeno nell’esposizione del tribunale catanese – da puntuali acquisizioni processuali.

Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione, annulla la impugnata ordinanza in punto di ritenute aggravanti ex art. 7 D.L. 152/91 convertito
in legge 203/91 e ex art. 80 D.P.R. 309/90 e rinvia per nuovo esame
sul punto al Tribunale di Catania. Rigetta nel resto.

47984/2012, Rv. 254276).

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La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento
sia trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall’art. 94 c. 1-ter disp. art. del c.p.p..
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14.7.2014.

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