Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34836 del 14/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34836 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Musumeci Andrea n. il 9.11.1980
avverso l’ordinanza n. 113/2014 pronunciata dal Tribunale della libertà di Torino il 3.2.2014;
sentita nella camera di consiglio del 14.7.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
sentito il Procuratore Generale, in persona del dott. A.P. Pompeo, che
ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato limitatamente alle circostanze aggravanti contestate;
udita per il ricorrente l’avv.to P. Asta del foro di Roma, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 14/07/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con atto in data 24.5.2014, Andrea Musumeci ha proposto
ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in data 3.2.2014 con la
quale il tribunale del riesame di Catania ha confermato l’ordinanza
applicativa della misura della custodia cautelare in carcere emessa, a
carico del ricorrente, dal giudice per le indagini preliminari presso il
tribunale di Catania, in data 3.1.2014, in relazione ai reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti
(aggravato ex art. 7 d.l. n. 152/91 convertito con modificazioni dalla 1.
n. 203/91) e di illecita detenzione a fini di spaccio e spaccio di stupefacenti (aggravato ex art. 80 d.p.r. n. 309/90 e art. 7 cit.).
Con il ricorso proposto in questa sede, il ricorrente censura
l’ordinanza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione,
per avere il giudice del riesame erroneamente ascritto al ricorrente il
reato associativo allo stesso contestato in assenza di adeguati elementi indiziari di riscontro.
2. –

Considerato in diritto
3. – Il ricorso è infondato.
Osserva il collegio come del tutto infondatamente il ricorrente
abbia censurato il preteso mancato approfondimento (e il conseguente asserito omesso accertamento) della sussistenza dei requisiti indispensabili per la predicazione, a suo carico, dell’effettiva volontà (e
della corrispondete attuazione) della partecipazione al sodalizio criminoso allo stesso contestato, avendo il tribunale del riesame sottolineato (anche attraverso l’indicazione delle corrispondenti fonti di
prova) la molteplicità degli episodi in relazione ai quali le condotte
del Musumeci (assunto con ruolo di ‘vedetta’ e di spacciatore) sono
apparse connotate da modalità operative ed esecutive sostanzialmente ripetitive e coincidenti tra loro, con particolare riguardo ai singoli
episodi in occasione dei quali il Musumeci è stato còlto nelle funzioni
di segnalatore, a beneficio dei coindagati spacciatori, della presenza
della forza pubblica nei pressi della ‘piazza di spaccio’ presso cui era
addetto, ovvero direttamente quale spacciatore.
Al riguardo, il tribunale del riesame ha coerentemente descritto e valorizzato il funzionale inserimento dell’attività del Musumeci
nel quadro della più complessa struttura criminale ricostruita, accu-

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ratamente organizzata e articolata al fine della più efficace e sicura
realizzazione delle finalità di distribuzione delle sostanze stupefacenti
trattate.
Sul punto, varrà richiamare il consolidato insegnamento di
questa giurisprudenza di legittimità (puntualmente e correttamente
richiamato nel provvedimento impugnato), ai sensi del quale, ai fini
della configurabilità dell’associazione finalizzata al traffico illecito di
sostanze stupefacenti, non è richiesto un patto espresso fra gli associati, ben potendo desumersi la prova del vincolo dalle modalità esecutive dei reati-fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori,
dalla ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di un comune obiettivo e dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pure non particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della continuità temporale del vincolo criminale (Cass., Sez. 6,
n. 40505/2009, Rv. 245282).
In thema, mette ulteriormente conto di sottolineare come la
prova del reato associativo ben può essere tratta dall’intervenuto accertamento della commissione dei diversi reati-fine da parte degli associati, tanto desumendosi dall’insegnamento, che risale agli arresti
delle sezioni unite di questa corte (successivamente confermato dal
consolidato indirizzo sul punto seguito dalle sezioni semplici), secondo cui, in tema di reati associativi, è consentito al giudice (pur
nell’autonomia del reato-mezzo rispetto ai reati fine) dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti
rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive (in
termini di continuità dei contatti, frequenza degli aggiornamenti, familiarità e immediata reciproca comprensione dei linguaggi apparentemente criptici, etc.), posto che attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione medesima (Cass., Sez. Un., n.
10/2001, Rv. 218376, e successive conformi).
Con particolare riguardo all’aspetto relativo alla soggettiva
consapevolezza di partecipare al sodalizio criminoso in esame, è appena il caso di richiamare l’insegnamento di questa corte di legittimità, ai sensi del quale la partecipazione all’associazione criminosa non
richiede la precisa conoscenza (e, tanto meno, la deliberazione) di
tutte le attività che rientrano nel suo programma, di per sé indeterminato, essendo sufficiente la consapevolezza del partecipe della natura illecita di tali attività; egli infatti è responsabile dell’attività asso-

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ciativa che svolge e dei reati-fine alla cui deliberazione concorre, per
cui, allorché l’associazione sia dedita al traffico di stupefacenti, il partecipe-acquirente stabile risponde del contributo dato in tale qualità
alla vita e all’azione dell’associazione criminale (Cass., Sez. 6, n.
5405/2009).
In tal senso, il reato di partecipazione a un’associazione criminosa dedita al traffico di sostanze stupefacenti può ravvisarsi anche
relativamente alla posizione dello stabile acquirente della sostanza
stupefacente dall’associazione. In tal caso, infatti, la contrapposizione
tra i soggetti tipica dello schema contrattuale sinallagmatico resta superata e assorbita nel rapporto associativo, per l’interesse preminente
dei protagonisti dello scambio alla stabilità del rapporto, che assicura
la certezza del contraente sia all’associazione, che trova la garanzia
della disponibilità dell’acquirente della sostanza stupefacente commerciata, sia all’acquirente, che deriva dal rapporto associativo la certezza della fornitura (Cass., Sez. 6, n. 5405/2009, cit.).
È peraltro appena il caso di evidenziare, sul punto, come gli
elementi istruttori in questa sede utilizzati dal tribunale del riesame
chiedano d’essere valutati nella fluida prospettiva della gravità indiziaria riferita alla riconducibilità all’indagato della fattispecie criminosa allo stesso ascritta, la cui funzione (lungi dall’attestare in termini di piena certezza probatoria il ricorso della responsabilità penale
dell’indagato) non può che limitarsi al riscontro di una rilevante probabilità di fondatezza dell’ipotesi criminosa prospettata in sede
d’accusa.
Entro i confini segnati da tali premesse dev’essere, pertanto,
considerato il tema della prova della consumazione dei reati oggetto
dell’odierno esame, dovendo ritenersi pienamente condivisibile, in
termini di coerenza logica e di linearità argomentativa, il ragionamento seguito dal tribunale del riesame in ordine alla rilevante probabilità dell’effettiva consumazione delle fattispecie criminose prospettate con riferimento al Musumeci, dovendo ritenersi ogni altra
interpretazione alternativa dei fatti (argomentata dal ricorrente – occorre evidenziare – mediante il riferimento a censure in fatto o a riletture di fonti di prova inammissibilmente avanzate in questa sede di
legittimità) ragionevolmente assorbita dal coerente apprezzamento
complessivo degli elementi di prova critica operato dal tribunale del

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riesame attraverso il giudizio di gravità indiziaria tracciato in termini
di assoluta congruità logico-giuridica.

Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna
il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento
sia trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall’art. 94 c. 1-ter disp. att. del c.p.p..
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14.7.2014.

4. – Il riscontro dell’integrale infondatezza dei motivi
d’impugnazione illustrati con il ricorso proposto in questa sede, impone il rigetto dello stesso e la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

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