Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34830 del 14/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34830 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Terlizzi Giovanni n. il 3.8.1959
avverso l’ordinanza n. 298/2014 pronunciata dal Tribunale della libertà di Torino il 13.3.2014;
sentita nella camera di consiglio del 14.7.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
sentito il Procuratore Generale, in persona del dott. A.P. Pompeo, che
ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;
udita per il ricorrente l’avv.to V. De Michele del foro di Bari, che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 14/07/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con atto in data 24.3.2014, a mezzo del proprio difensore,
Giovanni Terlizzi ha proposto ricorso per cassazione avverso
l’ordinanza emessa in data 13.3.2014 dal tribunale del riesame di Torino, con la quale è stato confermato il provvedimento applicativo
della misura della custodia cautelare in carcere emesso, tra gli altri, a
carico del ricorrente, in data 5.2.2014, dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Alessandria, in relazione alla commissione del reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di furti.
Con l’impugnazione proposta, il ricorrente censura
l’ordinanza impugnata sotto il duplice profilo della violazione di legge
e del vizio di motivazione in relazione al requisito della gravità indiziaria, avendo il tribunale del riesame nella specie rinvenuto i gravi
indizi di commissione del reato associativo da parte dell’indagato attraverso la valutazione critica di indici presuntivi del tutto privi di
pregnanza rappresentativa, a loro volta fondati sulla base di un evidente travisamento degli elementi di prova evidenziati.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole della violazione di legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il tribunale torinese nell’individuazione di asserite esigenze cautelari giustificative della
misura carceraria inflitta al Terlizzi, in assenza dei corrispondenti
presupposti di fatto.
2.

Considerato in diritto
3. – Il ricorso è infondato.
L’ordinanza impugnata ha individuato i gravi indizi di reità a
carico del Terlizzi, in relazione al reato associativo allo stesso contestato, sulla base di una motivazione dotata di logica coerenza e linearità argomentativa, avendo il giudice a quo riscontrato la prospettazione accusatoria riferita al Terlizzi in forza della combinata considerazione, in chiave critica, di elementi di fatto sufficientemente dotati
di gravità, precisione e concordanza reciproca.
In particolare, il tribunale del riesame ha evidenziato come il
coinvolgimento del Terlizzi nell’ambito del sodalizio criminale de quo
fosse stato inequivocabilmente confermato dall’attestato interessamento dello stesso in favore di un associato, al fine di garantire il

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conseguimento, a suo vantaggio, di denaro durante la detenzione, in
tal modo manifestando concretamente la propria personale disponibilità e il proprio fattivo contributo alla causa associativa proprio in
corrispondenza dei momenti di maggiore difficoltà dei sodali.
A mo’ di riscontro di tale elemento di grave indole indiziaria
(già di per sé largamente compromettente in relazione alla posizione
del Terlizzi), il tribunale di Torino ha altresì richiamato l’atteggiamento tenuto dal Terlizzi nei confronti di un associato (tale Palmieri)
in occasione di una conversazione telefonica intercettata, durante la
quale l’indagato appare inequivocabilmente nell’atto di manifestare il
proprio risentimento per il sospetto di tradimento del patto associativo evidentemente consumato dall’interlocutore.
Rispetto a tale coerente scansione critica del discorso giustificativo condotto dal tribunale del riesame, le doglianze in questa sede
avanzate dal Terlizzi appaiono tali da limitarsi a una discordante lettura delle risultanze investigative acquisite nel corso delle indagini, in
difformità rispetto alla complessiva ricostruzione operata dai giudici
del riesame, limitandosi a dedurre i soli elementi astrattamente idonei a supportare la propria alternativa rappresentazione dei fatti (peraltro, in modo solo parziale, selettivo e non decisivo), senza farsi carico della complessiva riconfigurazione degli elementi istruttori raccolti, che, viceversa, il tribunale del riesame ha ricostruito con adeguata coerenza logica e linearità argomentativa.
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la
modificazione dell’art. 6o6 lett. e) c.p.p., introdotta dalla legge n.
46/2006 consente la deduzione del vizio del travisamento della prova
là dove si contesti l’introduzione, nella motivazione, di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia. Il sindacato della corte di cassazione resta tuttavia quello di sola legittimità, sì che
continua a esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove
venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali (v., ex multis, Cass., Sez. 2, n.
23419/2007, Rv. 236893).
Da ciò consegue che gli “altri atti del processo specificamente
indicati nei motivi di gravame” menzionati dal testo vigente dell’art.

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606, comma primo, lett. e), c.p.p., non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati anche in relazione all’intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare
una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione
si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Cass., Sez. 4, n.
35683/2007, Rv. 237652).
Tale principio, in particolare, appare coerente con il circoscritto orizzonte riservato all’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, dovendo il sindacato demandato alla Corte di
cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari
punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso
per sostanziare il suo convincimento.
Conviene sul punto insistere nel rilevare l’estraneità, alle prerogative del giudice di legittimità, del potere di procedere a una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui
valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza
che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di
una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (v. Cass., Sez. Un., n. 6402/1997, Rv. 207944, ed altre di conferma).
In altri termini, una volta accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito, non è consentito alla Corte di cassazione prendere in considerazione, sub specie di vizio motivazionale, la diversa valutazione delle risultanze processuali prospettata dal ricorrente secondo il proprio soggettivo punto di vista (Cass.,
Sez. i, n. 6383/1997, Rv. 209787; Cass., Sez. 1, n. 1083/1998, Rv.
210019).
È peraltro appena il caso di evidenziare, sul punto, come gli
elementi istruttori in questa sede utilizzati dal tribunale del riesame
chiedano d’essere valutati nella fluida prospettiva della gravità indiziaria riferita alla riconducibilità all’indagato della fattispecie criminosa allo stesso ascritta, la cui funzione (lungi dall’attestare in termini di piena certezza probatoria il ricorso della responsabilità penale
dell’indagato) non può che limitarsi al riscontro di una rilevante pro-

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babilità di fondatezza dell’ipotesi criminosa prospettata in sede
d’accusa.
Entro i confini segnati da tali premesse dev’essere, pertanto,
considerato il tema della prova della consumazione del reato oggetto
dell’odierno esame, dovendo ritenersi pienamente condivisibile, in
termini di coerenza logica e di linearità argomentativa, il ragionamento seguito dal tribunale del riesame in ordine alla rilevante probabilità dell’effettiva consumazione della fattispecie criminosa prospettata con riferimento al Terlizzi, dovendo ritenersi ogni altra interpretazione alternativa dei fatti (argomentata dal ricorrente – occorre ribadire – mediante il riferimento a censure in fatto o a riletture
di fonti di prova inammissibilmente avanzate in questa sede di legittimità) ragionevolmente assorbita dal coerente apprezzamento complessivo degli elementi di prova critica operato dal tribunale del riesame attraverso il giudizio di gravità indiziaria tracciato in termini di
assoluta congruità logico-giuridica.
Del pari priva dei vizi alla stessa attribuiti dal Terlizzi deve ritenersi la motivazione dell’ordinanza impugnata, in relazione al riscontrato ricorso di effettive esigenze cautelari a sostegno della misura restrittiva contestata, avendo il tribunale torinese coerentemente
rilevato — dalla gravità del fatto commesso, dalle modalità organizzate di azione del gruppo (intento a rivolgere la propria azione criminosa nei confronti di obiettivi particolarmente esposti: cfr. pag. i i
dell’ordinanza impugnata) e, soprattutto, dalle condizioni di vita
dell’indagato (privo di documentata attività lavorativa e stabilmente
dedito alla commissione di reati contro il patrimonio, come attestato
dai numerosissimi precedenti specifici) – significativi elementi di conferma della relativa pericolosità, tali da indurre a predicarne fondatamente una spiccata inclinazione a delinquere, sintomatica di un
habitus operandi incompatibile con alcuna prognosi cautelare favorevole circa l’esclusione della possibile reiterazione di condotte delittuose della stessa indole; pericolosità, ritenuta nella specie ovviabile
unicamente attraverso l’adozione della sola misura cautelare di più
grave entità, secondo la valutazione sul punto espressa, in termini di
coerente consequenzialità, nel provvedimento impugnato.
4. – Il riscontro dell’integrale infondatezza dei motivi
d’impugnazione illustrati con il ricorso proposto in questa sede, im-

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Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna
il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento
sia trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall’art. 94 c. iter disp. att. del c.p.p..
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14.7.2014.

pone il rigetto dello stesso e la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

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