Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3483 del 19/12/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3483 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CANNIZZO ELISA N. IL 09/11/1982
avverso l’ordinanza n. 1/2010 CORTE APPELLO di MESSINA, del
17/10/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
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MARINELLI;
lette~ le conclusioni del PG Dott. oetAt
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efuetu.,42-2-40.

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Data Udienza: 19/12/2014

A

La Corte di Appello di
Messina, con ordinanza resa
all’udienza camerale del giorno 17.10.2012 rigettava
l’istanza di riparazione presentata nell’interesse di
Cannizzo Elisa per ingiusta detenzione in regime di
arresti domiciliari dal 16.06.2005 all’1.10.2008 perché
sospettata del delitto di associazione finalizzata al
traffico di sostanza stupefacente (art. 74 d.PR. 309/90),
delitto da cui era stata assolta con sentenza della Corte
di appello di Messina del 30.03.2007, divenuta
irrevocabile per la Cannizzo il 6.10.2009.
Cannizzo Elisa, a mezzo del suo difensore, proponeva
quindi ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della
Corte di appello di Messina e concludeva chiedendo di
volerla annullare con rinvio.
l’ordinanza
impugnata per
La
ricorrente
censurava
violazione ed erronea applicazione degli articoli 314 e
315 cod.proc.pen. e per difetto di motivazione , in
particolare nella parte in cui la Corte di appello
colpa grave condotte
di
rimproverava in termini
insuscettibili di essere riguardate alla stregua di
macroscopica negligenza e trascuratezza. Pertanto, ad
avviso della ricorrente, non sussisterebbe la colpa grave,
impeditiva del riconoscimento del diritto all’equa
riparazione.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze a mezzo
dell’Avvocatura Generale dello Stato presentava tempestive
memoria e concludeva chiedendo di voler dichiarare
inammissibile il proposto ricorso ovvero di rigettarlo.

Considerato in diritto
Si osserva preliminarmente che deve essere rigettata
l’eccezione proposta dall’Avvocatura generale dello Stato
secondo cui il ricorso sarebbe inammissibile perché il
difensore sarebbe stato sfornito di delega, in quanto in
calce all’istanza di riparazione per ingiusta detenzione
l’avvocato che ha proposto il ricorso risulta nominato
quale difensore di fiducia per l’instaurando procedimento.
Tanto premesso osserva la Corte che il diritto a equa
riparazione per l’ingiusta detenzione, regolato dagli
artt. 314 e ss. c.p.p., trova fondamento nella condizione
soggettiva della persona sottoposta a detenzione
immeritata e in tal senso ingiusta. Il quadro sistematico
di riferimento è un quadro di diritto civile ma non è
quello dell’art. 2043 c.c. che appresta sanzioni contro
chi produce per dolo o colpa un danno ingiusto ad altri.
Il principio regolatore è piuttosto quello della
riparazione legata ad eventi che producono il sorgere,
quali conseguenze di principi di solidarietà e di

Ritenuto in fatto

giustizia distributiva, di responsabilità da atto lecito
( la distinzione tra responsabilità per danno ingiusto ex
art. 2043 c.c. e responsabilità per atto lecito è ben
chiarita da Cass. SS.UU. civ.
11/6/2003 n. 9341). E’ ben
fermo, in materia,
l’assetto delle regole generalissime
che disciplinano l’onere della prova civile ex art. 2697
c.c. posto che il procedimento relativo alla riparazione
per l’ingiusta detenzione, quantunque si riferisca ad
un rapporto obbligatorio di diritto pubblico e
comporti perciò il rafforzamento dei poteri officiosi
del giudice, e’ tuttavia ispirato ai principi del
processo civile, con la conseguenza che l’istante ha
l’onere di provare i fatti costitutivi della domanda,
la successiva
custodia
cautelare
subita
e
la
assoluzione ( Corte Cass. Sez. 4 sent. n. 23630
02/04/2004 – 20/05/2004). Peraltro il sorgere del diritto
è condizionato alla esistenza di una condotta del
richiedente che al tempo del processo in nulla abbia dato
causa o concorso a dare causa a quella ingiusta
detenzione. L’operazione intesa a cogliere tali condizioni
deve scandagliare solo l’eventuale efficienza causale
delle condotte dell’imputato che possano aver indotto,
anche nel concorso dell’altrui errore, secondo una
valutazione ragionevole e non congetturale il giudice a
stabilire la misura della detenzione (Cass. SSUU 13/12/95
n. 43, Sez IV 10/3/2000 n. 1705) .
Il giudice, pertanto, deve fondare la sua decisione su
fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni,
esaminando la condotta del richiedente, sia prima e sia
dopo la perdita della libertà personale, indipendentemente
dall’eventuale conoscenza che quest’ultimo abbia avuto
dell’attività di indagine, al fine di stabilire, con
valutazione ex ante, non se tale condotta integri estremi
di reato, ma solo se sia stato il presupposto che ha
ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità
procedente, la falsa apparenza della sua configurazione
come illecito penale, dando luogo alla detenzione con
rapporto di causa ad effetto (cfr. Cass. Sezioni Unite,
Sent. n.34559/2002; Cass., Sez.4, Sent. n.17552 del 2009)
Tanto premesso si osserva che la Corte di Appello di
Messina, con motivazione adeguata, ha enucleato,con
congrua verifica degli accertati elementi di riferimento,
la condotta della richiedente ostativa all’accoglimento
dell’istanza di equa riparazione.
E infatti pienamente legittimo e congruamente e
diffusamente argomentato il ragionamento seguito dalla
Corte di merito in ordine alla sussistenza di una
connivenza, essendo stata evidenziata la consapevolezza
della Cannizzo a proposito dell’attività di spaccio di
sostanze stupefacenti svolta dal padre e la connivenza
della condotta della donna che non si è limitata ad una
mera assistenza passiva del genitore che, per le sue

condizioni di salute, aveva ridotte capacità di movimento,
in quanto si desumeva dalle indicate conversazioni
telefoniche che la ricorrente, seppure occasionalmente,
aveva favorito, seguendo le istruzioni del padre, gli
incontri di natura illecita di quest’ultimo con soggetti
coinvolti nei traffici illeciti, dal momento che conosceva
il luogo in cui la droga era custodita e la porgeva, ove
ne sussistesse la necessità, al padre.
La Corte territoriale aveva pertanto ritenuto che la
ricorrente avesse dato causa con una condotta gravemente
colposa all’adozione della misura cautelare a suo carico,
tanto più che, nonostante il carattere inequivoco delle
conversazioni poste a sostegno della misura cautelare, la
Cannizzo, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, si
era avvalsa della facoltà di non rispondere, in tal modo
omettendo di fornire i chiarimenti e le giustificazioni
che avrebbero potuto consentire di meglio comprendere la
sua posizione.
Il giudizio sulla sussistenza della connivenza è stato
argomentato ponendo a confronto una varietà di soluzioni
logiche, tutte perfettamente concludenti a dimostrazione
dell’assunto e in linea con la giurisprudenza di questa
Corte (cfr, Cass., Sez.4, Sent. n.2659 del 3.12.2008,
Vottari) secondo cui la connivenza nel reato può integrare
gli estremi della colpa grave, ostativa al riconoscimento
del diritto all’indennizzo, esclusivamente qualora
costituisca indice del venir meno degli elementari doveri
di solidarietà sociale, ovvero quando non si sia risolta
in un mero comportamento passivo riguardo alla
consumazione del reato, ma si sia sostanziata nel
tollerare che tale reato sia consumato.
Questo essendo il quadro accusatorio, i motivi proposti
dalla odierna ricorrente non possono essere accolti.
Il provvedimento impugnato, che definisce il procedimento
per la riparazione dell’ingiusta detenzione, supera
quindi il vaglio di questa Corte che è limitato alla
correttezza del procedimento logico giuridico con cui il
Giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti
per l’ottenimento del beneficio indicato. Resta invece
nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è
tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo
convincimento, la valutazione sull’esistenza e la gravità
della colpa e sull’esistenza del dolo.
riconosciuto
infatti
ha
non
legislatore
Il
incondizionatamente il diritto all’equa riparazione, ma
l’ha esplicitamente escluso allorquando il comportamento
dell’indagato, come appunto nella fattispecie de qua,
abbia indotto in errore il giudice circa l’esistenza dei
gravi indizi di colpevolezza a suo carico.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato e la ricorrente
deve essere condannata al pagamento delle spese
processuali e alla rifusione delle spese di questo

giudizio in favore del Ministero resistente che si
liquidano in complessivi euro 1.000,00.
PQM

Così deciso

Roma il 19.12.2014

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese processuali, nonchè a rimborsare al Ministero
resistente le spese sostenute per questo giudizio che
liquida in complessivi euro 1.000,00.

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