Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34829 del 04/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34829 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Bragaglio Manuel n. il 12.11.1991
avverso la sentenza n. 5552/2013 pronunciata dal Tribunale di Brescia il 31.1.2014;
sentita nella camera di consiglio del 4.7.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. E.
Scardaccione, che ha richiesto la dichiarazione d’inammissibilità del
ricorso.

Data Udienza: 04/07/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con atto in data 14.2.2014, Manuel Bragaglio ha proposto
ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dal Tribunale di
Brescia in data 31.1.2014 con la quale, in applicazione della congiunta
richiesta dell’imputato e del pubblico ministero, è stata applicata al
Bragaglio la pena di quattro mesi di reclusione ed euro 500,00 di
multa, in relazione a un episodio di spaccio di sostanza stupefacente
(di tipo hashish), qualificato di lieve entità (ai sensi dell’art. 73, co. 5,
d.p.r. n. 309/90) commesso in Caino (Brescia), il 13.12.2013, ritenuto
in continuazione con altri fatti già giudicati in altra sede.
Con l’impugnazione proposta, il ricorrente censura la sentenza
impugnata per vizio di motivazione, avendo il tribunale di Brescia
omesso di rilevare la destinazione ad uso personale della sostanza
stupefacente rinvenuta in possesso dell’imputato.
Ha depositato memoria il procuratore generale presso la Corte
di cassazione, che ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità
del ricorso.
Considerato in diritto
2. – Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza
di questa corte, nella motivazione della sentenza di patteggiamento, il
richiamo all’art. 129 c.p.p. è sufficiente a far ritenere che il giudice
abbia verificato ed escluso la presenza di cause di proscioglimento
dell’imputato, non occorrendo ulteriori e più analitiche disamine al
riguardo (Cass., n. 6455/2011, Rv 252085).
Infatti, l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dall’art.
in Cost. e dall’art. 125, comma terzo, c.p.p. per tutte le sentenze
(operante anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti), non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur
non potendo ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice
presa d’atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato all’esistenza
dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di
provare i fatti dedotti nell’imputazione.
Ne consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una
delle ipotesi di cui all’art. 129 c.p.p. dev’essere accompagnato da una
specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle dedu-

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zioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione – anche implicita – che è stata compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento a norma del citato art. 129 c.p.p. (cfr. Cass., Sez. i, n.
752/1999, Rv. 212742; Cass. Sez. 1, n. 4721/2000, Rv. 216789; Cass.,
Sez. 1, n. 6711/2000, Rv. 218050).
Tali argomentazioni consentono di ritenere prive di pregio le
doglianze sul punto sollevate con l’odierna impugnazione, avendo il
giudice del merito espressamente attestato la non ricorrenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 129 c.p.p., emergendo, dall’esame
degli atti del procedimento, gravi elementi di responsabilità a carico
dell’imputato.
3. — Pur a seguito dell’accertamento dell’integrale infondatezza
dei motivi d’impugnazione avanzati dal ricorrente occorre peraltro
procedere in ogni caso all’annullamento della sentenza impugnata,
avuto riguardo alla determinazione del trattamento sanzionatorio
applicato a carico dell’imputato.
Sul punto, dev’essere infatti rilevato come, in epoca successiva
all’emissione della sentenza impugnata, sia entrato in vigore il d.l. 20
marzo 2014, n. 36 (convertito con modificazioni con la legge 16 maggio 2014, n. 79) che, nel riformulare l’ipotesi criminosa di cui all’art.
73, co. 5, d.p.r. n. 309/90, ha disposto che alla stessa corrisponda un
trattamento sanzionatorio pari, nel minimo, a sei mesi di reclusione
e, nel massimo, a quattro anni di reclusione, oltre alla multa da euro
1.032 a euro 10.329.
Nel caso di specie, avendo il giudice a quo recepito l’accordo
delle parti formatosi in relazione al diverso e più severo quadro edittale sancito dalla legge vigente al tempo della commissione del fatto
(da uno a sei anni di reclusione), suscettibile di modificare la valutazione complessiva concernente la determinazione dell’entità della
pena, dev’essere disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata, con la conseguente trasmissione degli atti al tribunale di
Brescia per l’ulteriore corso.

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Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, annulla senza rinvio la impugnata sentenza senza rinvio e dispone la trasmissione degli atti al
Tribunale di Brescia per l’ulteriore corso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4.7.2014.

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