Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34826 del 19/06/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 34826 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GAZIDEDJA KLINTON N. IL 29/10/1992
avverso la sentenza n. 5222/2013 GIP TRIBUNALE di BOLZANO, del
18/12/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;
lette/wititè le conclusioni del PG Dott. G.–3,e ilo

-&-“`—“:

Data Udienza: 19/06/2014

FATI-0 E DIRITTO

1. Il Tribunale di Bolzano con sentenza del 18/12/2013, all’esito di richiesta delle
parti ai sensi dell’art. 444, cod. proc. pen., applicò nei confronti Gazidedja
Klinton, imputato d’illegale commercio di sostanze stupefacenti del tipo cocaina e
marijuana, la pena concordata dalle parti medesime, previo riconoscimento delle
attenuanti generiche, operato l’aumento per la continuazione ed effettuata la

2. Avverso la sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione con il quale
denunzia violazione di legge in ordine all’affermazione della penale responsabilità
e all’entità della pena, giudicata sproporzionata per eccesso.

3. Il motivo non ha pregio in quanto espone censure attinenti al merito delle
valutazioni, sottese al consenso prestato dalle parti medesime (giurisprudenza di
legittimità consolidata: Cass. Sez. 4 Sent. n. 20165 del 29/04/04, rv 228567;
Cass. Sez. 4 Sent. n. 3946 del 30/03/98, rv 210639; Cass. Sez. 1 Sent. n. 6898
del 24/01/97, rv 206642; Cass. Sez. 4 Sent. n. 8060 del 20/08/96, rv 205835;
Sez. III, 3/5/2011, n. 23804).
Condivisibilmente si è, di recente (Cass., Sez. IV, n. 27733 del 18/11/2011;
nello stesso senso, Cass., Sez. Fer., n. 32078 del 12/8/2010) chiarito che nel
procedimento di applicazione della pena su richiesta (art. 444 e ss. c.p.p.), le
parti (anche quella pubblica) non possono prospettare con il ricorso per
cassazione questioni incompatibili con la richiesta di patteggiamento, in
particolare afferenti le prove risultanti dagli atti del procedimento nonché la
qualificazione giuridica del fatto risultante dalla contestazione, in quanto l’accusa
come giuridicamente qualificata non può essere rimessa in discussione. Ne
consegue che, una volta pronunciata la sentenza che ha recepito l’accordo, sul
quale il giudice ha preventivamente esercitato il suo potere di controllo, le parti
(anche quella pubblica) non possono più prospettare questioni e sollevare
censure con riferimento all’applicazione delle circostanze e alla entità della pena,
che non sia illegale.
Né tale doglianza può essere formulata prospettando il difetto di motivazione, in
quanto, con l’accordo intervenuto tra loro, le parti hanno implicitamente
esonerato il giudice dell’obbligo di rendere conto (almeno “inter partes”) dei
punti non controversi della decisione, non potendosi pretendere l’esposizione dei
motivi di un convincimento che le parti stesse hanno già fatto proprio.

riduzione del rito.

4. Non di meno la statuizione deve essere, per altra ragione, annullata. La
caducazione degli artt. 4bis e 4 vicies ter del d.l. n. 272, siccome convertito nella
legge n. 49 del 21/6/2006, che avevano sostituito l’art. 73 del d.P.R. n.
309/1990, ad opera della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 dell’Il12/2/2014 (depositata il 25/2/2014 e pubblicata sulla G.U. del 5/3/2014, n. 11,
1^ Serie Speciale) impone il riesame del trattamento sanzionatorio.
Attraverso la disposizione normativa colpita dal giudizio d’incostituzionalità il
legislatore, come noto, aveva proceduto ad equiparare le sostanze stupefacenti,

sanzionatorio unitario (reclusione da sei a venti anni e multa da 26.000 a
260.000 euro) nei confronti dei soggetti che avevano agito essendo privi
dell’autorizzazione di cui all’art. 17 dello stesso corpo normativo. Il regime in
precedenza in vigore riservava, invece, trattamenti sanzionatori ben differenziati,
a seconda la qualità della sostanza fatta oggetto dell’illecito mercato (reclusione
da otto a venti anni e multa da cinquanta a cinquecento milioni di lire; reclusione
da due a sei anni e multa da dieci a centocinquanta milioni di lire).
La riscrittura operata con la novella oggi dichiarata incostituzionale ha fatto sì
che non fosse più ritenuto rilevante specificare nei capi d’incolpazione, prima, in
quelli d’imputazione, poi, e nelle sentenze, infine, la natura delle sostanze
stupefacenti in relazione alle quali erano mosse le contestazioni.
Ove risulti operato un tale indistinto richiamo, oppure, come nel caso di specie,
si proceda espressamente per plurime contestazioni concernenti sia le c.d.
droghe leggere, che quelle pesanti, si pone, quindi, l’esigenza di sottoporre, nel
caso di giudizio ordinario, al giudice del merito l’assetto normativo sopravvenuto,
in quanto più favorevole, perché, ferma ed intangibile la scelta (adeguatamente
motivando) di mantenere il trattamento penale così come disposto, ove
compatibile con il nuovo range sanzionatorio, tenga conto, dell’art. 2, comma 4,
cod. pen. Nel caso che, come nella specie, si sia in presenza di una sentenza
patteggiata, non resta che, travolto il patto, riassegnare alle parti il potere di
definire convenzionalmente la vicenda, alla luce del nuovo assetto normativo.
L’esigenza di fare applicazione della lex mit-for in conseguenza di pronunce
caducatorie del Giudice delle leggi è già stata presa in considerazione nel passato
da questa Corte, senza che fosse stato ritenuto d’ostacolo la definitività della
pronuncia (a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 61,
n. 11 bis, cod. pen., introdotto dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, il giudice
dell’esecuzione è stato chiamato a rideterminare la pena applicata con la
sentenza di patteggiamento in conseguenza dell’effetto abolitivo prodotto dalla
citata pronuncia, laddove l’ipotesi circostanziale sia stata considerata dal giudice

prima distinte in cd. “leggere” e “pesanti”, definendo un trattamento

di merito nella determinazione del trattamento sanzionatorio, da Cass., Sez. I, n.
26899 del 25/5/2012, Rv. 253084).
In sede di legittimità, si è più volte chiarito (Cass., Sez. V, n. 345 del
13/11/2002, Rv. 224220; Sez. I, n. 1711 del 14/4/1994, Rv. 197464) in siffatti
casi che il rispetto del principio di legalità della pena (comb. disp. art. 2, comma
4, cod. pen. e 129, comma 2, cod. proc. pen.) impone annullamento d’ufficio
della statuizione di merito. Salvo a registrasi contrasto sull’idoneità del ricorso
inammissibile a dar vita ad un tale esercizio officioso (in senso contrario: Sez. II,

230636; nel senso dell’ininfluenza: Sez. VI, n. 21982 del 16/5/2013).

6. Siccome condivisamente illustrato in profondità nella sentenza di questa
stessa Sezione n. 13903/14 del 28/2/2014, il principio di retroattività della
norma più favorevole si fonda sulla legge ordinaria (art. 2, comma 4, cod. pen.)
e, giudicata non pertinente l’evocazione degli artt. 13 e 25, Cost., sull’art. 3
Cost.
Pertanto

«Il livello di rilevanza dell’interesse preservato dal principio di

retroattività della lex mitior – quale emerge dal grado di protezione accordatogli
dal diritto interno, oltre che dal diritto internazionale convenzionale e dal diritto
comunitario – impone di ritenere che il valore da esso tutelato può essere
sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo
(quali – a titolo esemplificativo – quelli dell’efficienza del processo, della
salvaguardia dei diritti dei soggetti che, in vario modo, sono destinatari della
funzione giurisdizionale, e quelli che coinvolgono interessi o esigenze dell’intera
collettività nazionale connessi a valori costituzionali di primario rilievo; cfr.
sentenze n. 24 del 2004; n. 10 del 1997, n.353 e n. 171 del 1996; n. 218 e n.
54 del 1993). Con la conseguenza che lo scrutinio di costituzionalità ex art. 3
Cost., sulla scelta di derogare alla retroattività di una norma penale più
favorevole al reo deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non
essendo a tal fine sufficiente che la norma derogatoria non sia manifestamente
irragionevole>> (C. cost. sent. n. 393/2006; per la giurisprudenza di legittimità,
Sez. 3, n. 34117 del 27/04/2006 – dep. 12/10/2006, Alberini e altro, Rv.
235051).
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 236 del 19/7/2011, dopo aver ripreso
le norme sovranazionali rilevanti in materia, ha escluso che l’art. 7 CEDU
imponga una maggior tutela della retroattività della lex mitior, anzi rilevando che
nella CEDU si rinviene il limite del giudicato, valicabile, invece, secondo lo stato
dell’elaborazione interna, oltre a segnare un’incidenza, per estensione di materia,
inferiore all’area delineata dall’art. 2, comma 4, cod. pen.

3

n. 44667 dell’8/7/2013, Rv. 257612; Sez. V, n. 36293 del 977/2004, Rv.

5. Reputa il Collegio che ove si riscontri necessario, come nel caso di specie, che,
per almeno una delle condotte addebitate la risposta sanzionatorio-rieducativa,
costituita dalla pena in concreto inflitta, seppure a titolo di continuazione, deve
tener conto della

lex mitior,

non resta che disporre, come anticipato,

l’annullamento della sentenza per il venir meno del patto, non ostandovi nessuna
delle superiori esigenze individuate dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.
393, sopra citata.

potrebbe pensare, che nel nuovo giudizio di merito sia obbligatorio ridurre la
pena, così da dar vita, sempre e comunque, ad un concreto beneficio per
l’imputato. Quel che, invece, s’impone è la necessità che l’eventuale stipula di un
nuovo accordo tenga conto del mutato quadro normativo.
In definitiva, quel che va escluso è che resti fuori dai parametri del patto il
criterio normativo meno afflittivo ex post emerso.
In questa direzione devesi registrare la recente sentenza n. 15187/14
dell’1/4/2014 di questa Sezione, la quale ha affermato che l’intervenuta
reviviscenza, a sèguito della sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale, del
trattamento sanzionatorio più favorevole per l’illecita detenzione delle cd.
“droghe leggere” impone la riponderazione dei presupposti applicativi delle
misure cautelari personali in atto, atteso che la cornice edittale di riferimento
incide sulla scelta della misura oltre che sulla sua stessa applicabilità, stante la
necessaria valutazione in ordine alla prognosi di sospendibilità della pena.
Peraltro, andando più nello specifico, anche in un passato meno prossimo (Cass.,
Sez. I, n. 2095/08 del 19/2/2007, Rv. 238857) si è affermato che la disciplina
della continuazione attiene a un istituto di diritto sostanziale e, come tale,
soggiace, in caso di sopravvenienza di disposizioni diverse, alle regole di cui
all’art. 2 cod. pen. e non a quelle del diritto processuale, espresse nella formula
“tempus regit actum”, a nulla rilevando che la sua applicazione avvenga in sede
esecutiva (conf. anche a n. 12475 del 2007, Buratti, non massimata). Fino a
giungere, proprio in materia, alla sentenza n. 9874 del 5/2/2009, Rv. 243237
della VI Sez. di questa Corte, la quale ha precisato che in tema di stupefacenti, il
giudice di appello, nel rideterminare la pena inflitta in primo grado per il reato
continuato di detenzione contestuale di sostanze stupefacenti “pesanti” e
“leggere” – a seguito della soppressione della distinzione tabellare operata dalla
legge n. 49 del 2006 – non deve necessariamente ridurre la pena, potendola
ritenere equamente commisurata rispetto al caso concreto, avuto riguardo alla
personalità dell’imputato e alla gravità del fatto (sulla quale incide
necessariamente il tipo di sostanza oggetto del medesimo). Decisione, questa,

Ciò non implica, come ad un approccio non adeguatamente approfondito si

ì

che sottende il condiviso ragionamento, sopra anticipato, secondo il quale non
può essere elusa, quale che ne sia il risultato, la necessità di riponderare il punto
concernente la determinazione della pena, nello specifico, avuto riguardo
all’aumento per la continuazione,
Non ignora il Collegio l’emersione di un contrario orientamento (Sez. IV, n.
22824 del 21/4/2006, Rv. 234575 e proprio in relazione alle ricadute della
sentenza della Corte Costituzionale n. 32 cit., la recente decisione della VI Sez.
del 14/3/2014 nel processo Alessandrini Vincenzo + 16), il quale, fa leva

circostanza che nel reato continuato, ai fini del computo della pena, non assume
concreta rilevanza la pena stabilita per i reati-satellite, essendo l’aumento di
pena per questi determinato solo in relazione alla pena del reato più grave e
sulla base di una valutazione di equità, che tiene conto della gravità del reato
secondo i parametri di cui all’articolo 133 cod. pen. e che non necessita di
apposita motivazione.
L’orientamento sopra richiamato e non condiviso dal Collegio, in verità, sconta il
pedaggio genetico di aver posto a fondamento del ragionamento la sentenza n.
4901 del 27/3/1992, Rv. 191129, con la quale le S.U. intesero prendere
posizione in merito alla dibattuta questione, che aveva dato luogo ad
interpretazioni quanto mai diversificate, del computo della pena nel reato
continuato che annoveri la presenza di reati “satellite” puniti con pena
qualitativamente diversa rispetto a quella del reato base. Questione con quella
pronuncia risolta attingendo alla <>.
Trattasi, in definitiva, di considerazioni che, avendo altro scopo rispetto a quello
qui al vaglio, valorizzano il criterio normativo speciale di computo enunciato
nell’art. 81, cpv, cod. pen., per affermare che una volta ritenuta la continuazione
tra più reati, il trattamento sanzionatorio originariamente previsto per i reati
“satellite” non esplica più alcuna efficacia, dovendosi solo aumentare la pena

(almeno per la sentenza più vecchia, della quale è nota la motivazione) sulla

I

prevista per la violazione più grave, senza che rilevi la “qualità” della pena
prevista per predetti reati accessori.
Qui il fulcro del ragionamento, invece, investe territorio logico-argomentativo
affatto diverso, occorrendo chiedersi (e al quesito il Collegio assegna risposta
affermativa) se il vaglio convenzionale in concreto (ratificato dal giudice) del
disvalore penale del fatto, al quale non può dirsi estraneo il trattamento penale
edittale riservato dalla legge, finalizzato a quantificare l’aumento a titolo di
continuazione, debba tener conto del mutato e più favorevole giudizio di

esame, dalla riviviscenza di norma più favorevole, quale conseguenza del
giudizio caducatorio della Corte Costituzionale.

6. Di conseguenza, il patto, sotteso alla sentenza emessa ai sensi dell’art. 444,
cod. proc. pen., oggi risulta essersi formato in relazione ad una sanzione penale
da ritenersi ormai

contra legem,

dovendo trovare applicazione il nuovo regime

sanzionatorio più favorevole, ai sensi dell’art. 2, comma 4, cod. pen.
Caduto il patto, le parti restano libere di riformulare, alla luce del nuovo
trattamento penale, il nuovo accordo, il quale, è bene ribadire, ove i limiti edittali
nuovi lo consentano, può anche confermare, se del caso, la quantificazione
precedente.

7.

S’impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della statuizione, con

trasmissione degli atti per il prosieguo (giudizio ordinario o nuovo
patteggiamento).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al
Tribunale di Bolzano per ulteriore corso.

Così deciso in Roma il 19/6/2014
Il Presidente

rimproverabilità, scaturito da legge successiva o, come nella fattispecie in

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA