Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34820 del 11/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34820 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MUSUMECI VINCENZO N. IL 24/09/1987
avverso l’ordinanza n. 2143/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
19/12/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
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Data Udienza: 11/06/2014

Ritenuto in fatto

1.

Con ordinanza del 19/12/2013 il Tribunale di Catania, ritenuta la

sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari e la
inadeguatezza di altre misure, rigettava la richiesta di riesame proposta da
Musumeci Vincenzo avverso l’ordinanza emessa in data 18/11/2013 con la quale
il G.I.P. del Tribunale di Catania ha applicato nei suoi confronti la misura della
custodia cautelare in carcere, in relazione ai reato p. e p. dagli artt. 81 cpv., 74 e

Secondo quanto evidenziato nell’ordinanza impugnata, il procedimento
muove dagli esiti di un servizio di osservazione a mezzo telecamere installate a
far data dal 9/12/2010 nella piazza Idria di Nunziata, frazione di Mascali (CT), al
fine di riscontrare alcuni spunti investigativi che indirizzavano verso l’esistenza
di una attività di spaccio avente quale base operativa una sala giochi ubicata in
via Nocella 2.
Dalla predetta osservazione emergevano plurimi incontri sospetti nelle
immediate vicinanze della sala giochi e l’attività di cessione dello stupefacente
effettuata da un soggetto di nazionalità marocchina, Laabadi Oualid.
Successive intercettazioni telefoniche e ambientali consentivano di accertare
la presenza di un’associazione – con a capo il Musumeci – dedita allo spaccio di
stupefacenti del tipo marijuana e cocaina e la commissione di numerosi reati
legati al loro traffico da parte di diversi altri individui ad essa non affiliati.
Le predette intercettazioni ed il servizio di osservazione si protraevano per
diversi mesi, fornendo – unitamente all’attività di controllo sul territorio
effettuata dalla P.G. – numerosi esiti positivi, fino all’arresto dello stesso
Musumeci avvenuto il 17/5/2011.
Al Musumeci, come detto, è ascritto – fra gli altri – il delitto di cui all’art. 74
d.P.R. n. 309/90, in concorso con i coindagati Calabretta Riccardo e Laabadi
Oualid.

2. Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione il Musumeci, per
mezzo del proprio difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione
con riferimento alla ritenuta sussistenza di attuali esigenze cautelari tali da
giustificare la più severa misura della custodia in carcere.
Rileva che, successivamente al suo arresto in flagranza di reato in data
17/5/2011 per il delitto di cui all’art. 73 d.p.r. 319/90, a seguito del quale gli
venne applicata la misura della custodia cautelare in carcere, lo stesso G.I.P.
dispose, in data 25/7/2011, la sostituzione della predetta misura con quella degli
arresti domiciliari presso l’abitazione della nonna materna in Pachino. Soggiunge
2

73 comma 1 d.P.R. 309/90, 2, 4 e 7 legge n. 865/67.

che quel procedimento fu definito con sentenza del 15/12/2011 di condanna alla
pena di anni due di reclusione, per la quale fruì del beneficio della sospensione
condizionale e venne pertanto rimesso in libertà.
Da allora, e quindi da oltre due anni, egli ha tenuto una condotta di vita
conforme a legge, senza dar adito a rilievo di sorta, e dedicandosi a stabile
attività lavorativa, nella piena osservanza peraltro delle prescrizioni contenute
nell’avviso orale ex art. 3 d.lgs. n. 159/2011 notificatogli dal Questore di Catania
un mese dopo la sua rimessione libertà.

associativo sia venuto meno, con l’arresto del Laabadi, già il 22/4/2011, ossia tre
anni addietro.
Tutto ciò premesso, e considerato il tempo trascorso dai fatti, anche in
relazione a quanto prescritto dall’art. 292, comma 2, lett. c) cod. proc. pen.,
lamenta che la motivazione posta dal Tribunale a fondamento della ritenuta
persistenza di esigenze cautelari, peraltro insuscettibili di essere adeguatamente
soddisfatte con misure meno afflittive, si rivela carente e manifestamente illogica
nella misura in cui fa riferimento a elementi (quali le lettere speditegli dal
carcere da Tarda Mario, noto esponente del clan mafioso dei Brunetto) risalenti
ad epoca anteriore.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato.
Giova rammentare in premessa che, secondo costante insegnamento di
questa S.C., per quanto riguarda i limiti di sindacabilità in questa sede dei
provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di
revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso
lo spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni soggettive
dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle
misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo
del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto
dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno
determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 6, n. 2146
del 25/05/1995, Tontoli ed altro, Rv. 201840).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e
delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen., è, quindi, rilevabile in
cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od
3

Evidenzia ancora che costituisce dato pacificamente acquisito che il reato

in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del
provvedimento impugnato.
Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda né la ricostruzione dei
fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la
rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le
censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella
prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di

3.1. Nel caso di specie l’ordinanza impugnata ha compiutamente motivato
l’espresso convincimento relativo alla sussistenza di attuali esigenze cautelari e
alla inadeguatezza di misure meno aftlittive, facendo riferimento alla

«estrema

gravità del fatto» (desunta in particolare dalla posizione di vertice assunta
nell’ambito di «una compagine associativa interessata da modalità professionali
gestione del traffico di sostanze stupefacenti», dalle elevate quantità di sostanze
trattate, dalla frequenza degli approvvigionamenti e delle forniture a terzi), alla
conseguentemente desumibile «spiccata e professionale attitudine a delinquere»,
accentuata dalla emersa disponibilità di armi cui lo stesso Musumeci fa
riferimento, nel corso di una conversazione captata, per manifestarne la
prontezza a farne uso, nonché, ancora, dalla esistenza di collegamenti con
esponenti della criminalità organizzata.
Quest’ultima – fatta segno come detto di specifica censura in ricorso – non
può in realtà ritenersi desunta in modo manifestamente illogico dalle missive
spedite dal carcere al Musumeci in date 30/3/2008 e 29/12/2010, considerato
che: a) l’ultima di esse si colloca a ridosso dell’arco temporale preso a
riferimento nel procedimento di che trattasi; b) il numero delle missive e la
distanza temporale l’una dall’altra autorizza la presunzione che il collegamento
permanga al di là della frequenza epistolare.
Il Tribunale ha poi motivatamente negato la sussistenza di elementi legati
alla personalità dell’indagato suscettibili di essere valutati positivamente sotto il
profilo in esame, evidenziando in particolare che: a) l’attività lavorativa svolta
presso la M.N. Navigator possa ritenersi idonea a dimostrare di per sé un
definitivo allontanamento dagli ambienti criminali, «atteso che l’odierno indagato
lavorava stabilmente anche nel predetto lasso temporale, senza che ciò risulti
aver costituito ostacolo o controspinta ai suoi intenti delittuosi»; b) l’ammissione
dei fatti in sede di interrogatorio «assume un valore neutro perché posto in
essere in presenza di un quadro indiziario già autonomamente conducente alla
sua chiara responsabilità»; c) non può assumere rilievo dirimente ai fini della
valutazione in questione la doppia prognosi favorevole operata dal G.I.P. il
4

merito (cfr. ex multis Sez. 1, n. 1769 del 23/03/1995, Ciraolo, Rv. 201177).

25/7/2011, in sede di sostituzione della misura cautelare adottata in
conseguenza del suo arresto in flagranza, avvenuto il 17/5/2011, per il delitto di
cui all’art. 73 d.p.r. 309/90, e poi il 15/12/2011, in sede di condanna con rito
abbreviato per il medesimo delitto, «attesa la mancata conoscenza in allora da
parte dell’organo giudicante delle ulteriori indagini a carico del ricorrente».
Quanto poi al tempo trascorso dalla commissione dei reati, il Tribunale ha
rilevato – conformemente a costante indirizzo giurisprudenziale sul punto – che
allo stesso potrebbe assegnarsi rilievo solo in presenza di altri elementi di

elementi di segno contrario quali quelli sopra richiamati.

3.2. A fronte di un tale cospicuo ed esaustivo impianto motivazionale, le
censure in questa sede mosse dal ricorrente, come detto meramente reiterative
di quelle già prese in esame nell’ordinanza impugnata, si risolvono nella spesso
apodittica contrapposizione di mere affermazioni di segno opposto, che si
rivelano comunque inidonee a manifestare evidenti lacune o incoerenze
argomentative a base del provvedimento impugnato.

3.3. Alla stregua delle considerazioni che precedono non può poi nemmeno
dubitarsi della piena adeguatezza delle motivazioni poste a fondamento della
ravvisata sussistenza di esigenze cautelari tali da giustificare la più severa
misura applicata.
Il riferimento alla gravità del reato appare, invero, da un lato, sufficiente a
giustificare tale valutazione e, dall’altro, a sua volta congruamente supportato
dagli elementi sopra considerati.
Le circostanze evidenziate dal Tribunale (quantità e diversa specie della
sostanza trattata, spessore del contributo apportato al sodalizio, personalità
dell’indagato), rendono per vero concreto il divisato pericolo di reiterazione.

4. Il ricorso va pertanto rigettato, discendendone la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa
al direttore dell’istituto penitenziario competente, perché provveda a quanto
stabilito dall’art. 94 c. 1 ter disp. att. del c.p.p..
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convergente valenza sintomatica, nella specie mancanti e recessivi rispetto

Così deciso 1’11/06/2014

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