Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34818 del 11/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34818 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LAABADI OUALID N. IL 11/11/1989
avverso l’ordinanza n. 2137/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
19/12/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
lt7entite le conclusioni del PG Dott. CRA/vcf Sco H Au qO LAceviEti_o
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LJdit i c~vv.;

er..4 d-9

0 –

Data Udienza: 11/06/2014

Ritenuto in fatto

1.

Con ordinanza del 19/12/2013 il Tribunale di Catania, ritenuta la

sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari e la
inadeguatezza di altre misure, rigettava la richiesta di riesame proposta da
Llabadi Oualid avverso l’ordinanza emessa in data 18/11/2013 con la quale il
G.I.P. del Tribunale di Catania ha applicato nei suoi confronti la misura della
custodia cautelare in carcere, in relazione ai reato p. e p. dagli artt. 81 cpv., 74 e

Secondo quanto evidenziato nell’ordinanza impugnata, il procedimento
muove dagli esiti di un servizio di osservazione a mezzo telecamere installate a
far data dal 9.12.2010 nella piazza Idria di Nunziata, frazione di Mascali (CT), al
fine di riscontrare alcuni spunti investigativi che indirizzavano verso l’esistenza
di una attività di spaccio avente quale base operativa una sala giochi ubicata in
via Nocella 2.
Dalla predetta osservazione emergevano plurimi incontri sospetti nelle
immediate vicinanze della sala giochi e l’attività di cessione dello stupefacente
effettuata da un soggetto di nazionalità marocchina, appunto il Laabadi Oualid.
Successive intercettazioni telefoniche e ambientali consentivano di accertare
la presenza di un’associazione – con a capo Musumeci Vincenzo – dedita allo
spaccio di stupefacenti del tipo marijuana e cocaina e la commissione di
numerosi reati legati al loro traffico da parte di diversi altri individui ad essa non
affiliati.
Le predette intercettazioni ed il servizio di osservazione si protraevano per
diversi mesi, fornendo – unitamente all’attività di controllo sul territorio
effettuata dalla P.G. – numerosi esiti positivi, fino all’arresto dello stesso
Musumeci avvenuto il 17/5/2011.
Al Laabadi, come detto, è ascritto – fra gli altri – il delitto di cui all’art. 74
d.P.R. n. 309/90, in concorso con i coindagati Musumeci Vincenzo e Calabretta
Riccardo.

2. Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione il Laabadi, sulla
base di due motivi.

2.1. Con il primo deduce violazione di legge in ordine alla ritenuta
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dell’ipotizzato reato associativo.
Osserva che, secondo l’elaborazione giurisprudenziale maturata in
argomento, ove il vincolo associativo non sia riconducibile a un patto espresso
tre partecipanti ma – come nella specie è stato ritenuto – emerga da fatti
2

73 comma 1 d.P.R. 309/90.

concludenti, è tuttavia necessario che questi ultimi siano provati in modo
particolarmente rigoroso e puntuale. Ciò premesso, afferma che, nel caso di
specie, mancherebbe la prova di una siffatta intesa, con la conseguente assoluta
impossibilità di ricondurre la vicenda all’interno del paradigma normativo di cui
all’art. 74 d.P.R. 309/90.
Soggiunge che è altresì carente la prova della sussistenza di una
organizzazione radicata e stabile, nonché di una seppur minima predisposizione
di mezzi.

ricorrente, l’assenza, riconosciuta anche dal Tribunale, di un’apposita cassa
comune, nonché di un’apprezzabile continuità temporale del sodalizio.
Mancherebbe, ancora, la prova dell’esistenza di un contributo apprezzabile
da parte di esso ricorrente all’associazione nonché della coscienza e volontà di
partecipare attivamente alla realizzazione dell’accordo e di prendere parte
all’indeterminato programma delinquenziale proprio dell’associazione, in modo
stabile e duraturo.

2.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla
ritenuta sussistenza di esigenze cautelari non adeguatamente tutelabili con
misure meno afflittive.
Lamenta che, al riguardo, il Tribunale ha omesso di considerare il decorso
di un considerevole lasso di tempo dalla commissione dei fatti, essendo questi
risalenti ormai a tre anni prima: circostanza tanto più rilevante – assume – a
fronte del ridotto lasso temporale nel quale l’associazione avrebbe operato
(appena tre mesi e, peraltro, a singhiozzo) e da considerare unitamente alla già
intervenuta cessazione di ogni legame con l’associazione, allo stato di
incensuratezza e, in generale, alla peculiare personalità dell’indagato, reso dal
contesto socioeconomico familiare in cui è cresciuto

«soggetto fragile e

facilmente circonvenibile da persone scaltre e opportuniste».

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato, con riferimento ad entrambi i profili di censura.
Giova rammentare in premessa che, secondo costante insegnamento di
questa S.C., per quanto riguarda i limiti di sindacabilità in questa sede dei
provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di
revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso
lo spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni soggettive
dell’indagato in relazione alle esigenze cautelar’ ed alla adeguatezza delle
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Osterebbe, inoltre, alla configurabilità dell’ipotesi accusatoria, secondo il

misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo
del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto
dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno
determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 6, n. 2146
del 25/05/1995, Tontoli ed altro, Rv. 201840).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e

cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od
in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del
provvedimento impugnato.
Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda né la ricostruzione dei
fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la
rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le
censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella
prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di
merito (cfr. ex multis Sez. 1, n. 1769 del 23/03/1995, Ciraolo, Rv. 201177).
Ne discende che, ove venga denunciato il vizio di motivazione in ordine alla
consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, essendo in via esclusiva demandato
al giudice di merito «la valutazione del peso probatorio» degli stessi, alla Corte di
cassazione spetta solo il compito «… di verificare … se il giudice di merito abbia
dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la
gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza
della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai
canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle
risultanze probatorie»

(Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, Rv.

237012).
È appena il caso poi di sottolineare come gli elementi istruttori in sede
cautelare chiedono d’essere valutati nella fluida prospettiva della gravità
indiziaria riferita alla riconducibilità all’indagato delle fattispecie criminose agli
stessi ascritte, la cui funzione (lungi dal dover attestare in termini di piena
certezza probatoria la responsabilità penale dell’indagato) non può che limitarsi
al riscontro di una rilevante probabilità di fondatezza delle ipotesi criminose
prospettate in sede d’accusa.

3.1. Nel caso di specie l’ordinanza impugnata ha giustificato la propria
valutazione degli elementi indiziari con motivazione dotata di logica coerenza e

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delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen., è, quindi, rilevabile in

linearità argomentativa, che come tale, per le ragioni predette, si sottrae a
censure nella presente sede di legittimità.
I giudici del merito hanno invero riscontrato le ipotesi accusatorie sulla base
di una analitica ed esaustiva valutazione degli elementi di indagine, rappresentati
dalle numerose conversazioni telefoniche e ambientali intercettate, spesso
riportate per ampi stralci, unitamente agli esiti di una complessa attività
investigativa condotta anche attraverso servizi di controllo e osservazione. Alla
luce di tali plurime emergenze, risultano peraltro prese in esame tutte le

confutate alla stregua di considerazioni puntuali e coerenti sul piano logico e
corrette da un punto di vista giuridico.
Ha infatti evidenziato il Tribunale che, se è vero che il ridotto sodalizio in
questione non disponeva di ingenti risorse finanziarie, è anche vero che
emergono «dati innegabilmente sintomatici della sussistenza di una compagine
organizzata», che consentono anche «l’individuazione, nel gruppo in oggetto, dei
requisiti strutturali e funzionali minimi identificativi del reato associativo»,
risultando in particolare che: a) l’attività delittuosa era eseguita in maniera
continuativa, con modalità pressoché costanti; b) i singoli indagati si inserivano
in essa in modo perfettamente fungibile e con piena scienza degli spostamenti e
dei ruoli assunti dagli altri sodali.
Ha a tal fine richiamato quale riscontro «sia le conversazioni che precedono
l’effettuazione del viaggio del 14/3/2011, in special modo le progr. 4290 e 4296,
sia la vicenda della cessione dello stupefacente a Trovato Stefania, ove emerge
in maniera lampante la possibilità di sostituzione dell’uno sodale con l’altro nel
compimento della medesima mansione».
Ha evidenziato che le stesse risultanze denotano il ruolo sovraordinato del
Musumeci, desumibile agevolmente anche da numerose altre intercettazioni,
puntualmente e specificamente indicate (v. pagg. 7-8 dell’ordinanza).
Ha rimarcato che «la cointeressenza nella consapevolezza di far parte di un
unico gruppo si trae, ex multis, dai commenti effettuati in occasione dell’ultimo
viaggio a Catania dell’11/4/2011 (progr. 379 in cui il Laabadi comunica con il
Calabretta in attesa del Musumed …), nonché da quelli espressi il giorno
dell’arresto del Laabadi …».
Ha ancora plausibilmente argomentato che «in un simile contesto riveste
carattere recessivo il dato rappresentato dall’assenza di una cassa comune,
posto che in più occasioni emerge la condivisione dei proventi delle perdite e non
per mere esigenze estemporanee» (citandosi al riguardo le conversazioni di cui
alle intercettazioni progr. nn. 246 e 380).

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prospettazioni difensive in questa sede reiterate ad oggetto di ricorso, tutte

Ha evidenziato che «la stabilità del vincolo – costante per tutto il periodo in
esame, proiettato indeterminatamente verso il futuro … – porta ad escludere
l’occasionalità dell’accordo criminoso tra i partecipi, ciascuno dei quali ha la
consapevolezza di operare per l’attuazione dello stesso e, soprattutto, manifesta
costante disponibilità per la realizzazione degli scopi sociali, lasciando emergere
un legame che travalica i singoli episodi criminosi ascritti …».

Con specifico riferimento poi al contributo fornito dai singoli affiliati al
sodalizio, e in particolare dal Laabadi, ha rimarcato

«l’estrema frequenza,

cessione al dettaglio dello stupefacente su incarico dello stesso sia in piazza Idria
a Nunzíata che altrove, la partecipazione ad alcuni viaggi di rifornimento dello
stupefacente a Catania, per lo più sull’autovettura di staffetta, nonché il ruolo
nella presa in carico della sostanza stupefacente lungo il ciglio autostradale
prima dell’uscita dei complici dal casello autostradale di Fiume freddo di Sicilia
(trasferta della 17/2/2011)».

Ha infine motivatamente escluso la configurabilità dell’ipotesi attenuata di
cui al sesto comma dell’art. 74 d.p.r. 309/90, facendo riferimento al dato
ponderale (e in particolare al rilevante quantitativo di sostanza stupefacente
acquistata all’ingrosso dai fratelli Marino), all’elevato numero degli episodi di
spaccio, all’attivismo degli associati, al rilevante numero dei tossicodipendenti
riforniti e alla tipologia delle sostanze trattate (oltre a marijuana, cocaina): ciò in
conformità al principio espresso da questa S.C. secondo cuiL’ipotesi associativa
prevista dal comma sesto dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 richiede, quale
imprescindibile condizione, che tutte le singole condotte commesse in attuazione
del programma criminoso siano sussumíbili nella fattispecie dei fatti di lieve
entità e di minima offensività previsti dall’art. 73, comma 5, del medesimo d.P.R.
n. 309/90 (Sez. 1, n. 4875 del 19/12/2012 – dep. 31/01/2013, Abate e altri, Rv.
254194, che ha pertanto escluso detta ipotesi in un caso in cui le sole condotte
di spaccio potevano essere considerato di lieve entità, ma non altrettanto quelle
di acquisto ai fini dell’approvvigionamento dello stupefacente a beneficio degli
associati).

3.2. In punto di esigenze cautelari, l’ordinanza impugnata ha infine altresì
compiutamente motivato l’espresso convincimento relativo alla inadeguatezza di
misure meno afflíttive, facendo riferimento alla «intrinseca gravità»
dei fatti
ascritti al ricorrente, all’arco temporale interessato dalla commissione dell’attività
delittuosa, alla persistente presenza del Laabadi nelle attività oggetto
osservazione, alla costante disponibilità dello stesso a
sodalizio e del Musumeci in particolare.

6

porsi ai

servizio del

pressoché quotidiana, dei contatti con il Musumeci, la costante attività di

Ha, per contro, specificamente argomentato circa l’insussistenza di elementi
legati alla personalità dell’indagato suscettibili di essere valutati positivamente
sotto il profilo in esame, negando in particolare che possa considerarsi rilevante,
contrariamente all’assunto difensivo, il fatto che l’indagato non si sia dileguato,
pur potendo far rientro nel paese di provenienza, trattandosi di profilo al più
rilevante nel senso di escludere il pericolo di fuga.
Quanto poi al tempo trascorso dalla commissione dei reati, rileva conformemente a costante indirizzo giurisprudenziale sul punto – allo stesso

sintomatica, nella specie mancanti e recessivi rispetto elementi di segno
contrario quali quelli sopra richiamati.

3.3. A fronte di un tale cospicuo ed esaustivo impianto motivazionale, le
censure in questa sede mosse dal ricorrente, come detto meramente reiterative
di quelle già prese in esame nell’ordinanza impugnata, si appalesano generiche e
non si confrontano con le contrarie argomentazioni svolte nell’ordinanza
impugnata, risolvendosi nella spesso apodittica e autoreferenziale
contrapposizione di mere affermazioni contrarie avulse da specifici riferimenti ai
passaggi motivazionali censurati e da qualsiasi illustrazione concreta delle ragioni
di critica ad essi riferite.
Le censure a ben vedere sono ricche di astratti richiami giurisprudenziali, ma
prive di specifici e concreti riferimenti a ipotetiche lacune o incoerenze
motivazionali.

3.4. Alla stregua delle considerazioni che precedono non può poi nemmeno
dubitarsi della piena adeguatezza delle motivazioni poste a fondamento della
ravvisata sussistenza di esigenze cautelari tali da giustificare la più severa
misura applicata.
Il riferimento alla gravità del reato appare, invero, da un lato, sufficiente a
giustificare tale valutazione e, dall’altro, a sua volta congruamente supportato
proprio dagli elementi indiziari sopra considerati, anche a tal fine del resto
contestati dal ricorrente in termini del tutto generici e apodittici.
Le circostanze evidenziate dal Tribunale (quantità e diversa specie della
sostanza trattata, spessore del contributo apportato al sodalizio dall’indagato),
rendono concreto il divisato pericolo di reiterazione.

4. Il ricorso va pertanto rigettato, discendendone la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.

7

potrebbe assegnarsi rilievo in presenza di altri elementi di convergente valenza

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso
al direttore dell’istituto penitenziario competente, perché provveda a quanto
stabilito dall’art. 94 c. 1 ter disp. att. del c.p.p.

Così deciso 1’11/06/2014

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