Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34812 del 03/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34812 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GALLOZZI ANTONIO N. IL 02/04/1947
avverso il decreto n. 1043/2007 TRIBUNALE di CASSINO, del
12/03/2008
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;
lette serkite-le conclusioni del PG Dott.
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Udit i difensor Av ;

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Data Udienza: 03/06/2014

Ritenuto in fatto

Ricorre per cassazione il difensore e procuratore speciale di Gallozzi Antonio avverso
l’ordinanza emessa dal Tribunale di Cassino in data 12.3.2008 e comunicata il
13.3.2008, con la quale veniva rigettato il ricorso presentato dal predetto Gallozzi
avverso il decreto del Tribunale di Cassino, in composizione monocratica, in data
5.11.2007 che respingeva la sua istanza di ammissione al patrocinio a spese dello
Stato avendo condiviso la tesi del primo giudice secondo cui i numerosi, gravi ed
anche specifici precedenti penali dell’istante in una all’assenza di altre fonti reddituali

dai proventi di attività illecite.
Deduce il mancato accertamento da parte del Giudice, sulla base di elementi di fatto e
concreti, se il reddito dell’istante, anche solo di provenienza illecita, fosse superiore a
quello previsto dall’art. 76 dPR 115/02 ed assume che era arbitraria l’affermazione
secondo cui il Gallozzi traeva il suo sostentamento da attività illecita.
Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile essendo la censura mossa manifestamente infondata.
Se è illegittimo il diniego del beneficio fondato su una condanna non definitiva dalla
quale possa inferirsi l’esistenza di redditi illeciti, in quanto ai fini dell’indagine sui
redditi – che non può avvalersi di automatismi e richiede la disamina della fattispecie
concreta – nessun rilievo può attribuirsi a sentenze non irrevocabili, pena il “vulnus”
della

presunzione

di

innocenza

(Cass.

pen.

sez. IV, n. 18591 del 20.2.2013, Rv. 255228), di converso è del tutto legittima la
deduzione in via presuntiva effettuata dai giudici di merito circa la provenienza da
fonti illecite dei mezzi di sostentamento dell’istante, privo, per sua stessa
ammissione, di alcun reddito certo e lecito e nemmeno intestatario di beni mobili o
immobili.
Né in tal caso era necessario (ovvero possibile) un preventivo accertamento in
concreto del superamento con i redditi da attività illecita del limite fissato dalla legge
per l’ammissione al beneficio impetrato: infatti la natura illecita dei redditi da cui il
giudice a quo ha ritenuto che il ricorrente traesse i propri mezzi di sostentamento, lo
precludeva in radice in quanto il reddito di cui al 10 comma dell’art. 76 dPR 115/2002
deve essere “reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante
dall’ultima dichiarazione” nella quale è escluso potessero essere riportati cespiti illeciti
e che quindi potesse rinvenirsi l’indispensabile riferimento documentale su cui
effettuare il raffronto.
Peraltro, le censure mosse dal ricorrente tendono inoltre, per lo più, ad una

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inducevano a presumere che il medesimo traesse i mezzi per il proprio sostentamento

rivalutazione delle risultanze processuali non consentita in sede di legittimità. Infatti
giova rammentare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte,
“esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di
fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via
esclusiva al giudice di merito” (Sez. Un. N.6402/97, imp. Dessimone ed altri, RV.
207944).
Consegue l’inammissibilità del ricorso e, con essa, la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una

186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si ritiene equo determinare in euro
1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 3.6.2014

somma che, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n.

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