Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34811 del 23/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34811 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BAGNASCO DOMENICO N. IL 30/08/1981
avverso l’ordinanza n. 83/2014 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
06/02/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;
letti/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 23/05/2014

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1. Il G.I.P. del Tribunale di Palermo con provvedimento del 20/1/2014 rigettò la
richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei
confronti di Bagnasco Domenico, accusato di aver fatto parte di associazione
dedita alla commissione di reati concernenti gli stupefacenti.
Il Tribunale del riesame della stessa città, alla quale il P.M. si era rivolto, con
provvedimento del 6/2/2014, dispose l’applicazione della custodia cautelare in
carcere nei confronti del predetto indagato.

2. Per un’adeguata intelligenza della vicenda e per quanto rileva in questa sede
appare utile ricordare le circostanze salienti del fatto. Al Bagnasco si contesta di
aver fatto parte di una associazione malavitosa, radicata nel quartiere Zisa di
Palermo, volta al commercio illegale di hashish e marijuana, i cui indici di
rilevamento vengono individuati dal giudice dell’appello cautelare: a) dalla
ripartizione dei ruoli e dei compiti; b) dall’adozione di un comune modus
operandi;

c) dalla suddivisione dello stupefacente in dosi identicamente

confezionate; d) dalla comune disponibilità dei luoghi di occultamento; e) dalla
pluralità dei reati fine; f) dai soggetti coinvolti, facenti capo ad una ristretta e
determinata cerchia ricollegabile a determinati gruppi familiari. Il Bagnasco,
secondo, questa ricostruzione, risulta condividere lo scopo sociale, con piena
consapevolezza d’inserirsi nell’azione comune, giungendo a sostituirsi nei compiti
ad altri associati costretti a desistere dall’illecita attività.
Quanto alle esigenze cautelari (lett. a, b e c dell’art. 274, c. proc. pen.) il
Tribunale sottolinea che la norma di cui al comma 3 dell’art. 275, cod. proc.
pen., costituisce una duplice ipotesi presuntiva non superata da alcuna
allegazione contraria. In ogni caso, sottolinea quel giudice, la specifica
pericolosità sociale si ricava dal controllo del territorio operato dal gruppo
associativo, anche in grado di alterare le fonti di prova (testimonianze degli
acquirenti).

3. L’indagato propone ricorso per cassazione avverso l’anzidetta ordinanza
corredato da due motivi di censura.

3.1. Con il primo motivo, denunziante violazione di legge e vizio motivazionale, il
ricorrente deduce, in sintesi, quanto appresso: il Tribunale, il quale si era limitato
a descrivere le attività investigative sulla sola base delle riprese visive effettuate
dalla P.G., era venuto meno all’obbligo di provare il vincolo associativo e, di
conseguenza, non era rimasto provato

l’affectio societatis,

la pretesa

:

suddivisione in turni dipendeva dal travisamento del contenuto delle immagini,
non era rimasta provata la sussistenza di un accordo permanente; inoltre, il
sequestro operato nel fondo Rubino Muratore doveva considerarsi riferibile al
solo soggetto che aveva la disponibilità dell’immobile. Infine l’arco di tempo
interessato (aprile/maggio 2013) era troppo ristretto per potersi affermare la
sussistenza dell’associazione.

3.2. Con il secondo motivo il ricorrente evidenzia gli stessi vizi in relazione al

della nuova formulazione del comma 3 dell’art. 275, cod. proc. pen., dopo
l’intervento operato dalla Corte cost. con la sentenza n. 231/2011; né che si
versava nell’ipotesi attenuata di cui al comma 6 dell’art. 74 cit. Infine, dopo la
recentissima sentenza della Corte cost. che aveva dichiarato incostituzionale la
parificazione a fin i sanzionatori fra c.d. droghe leggere e pesanti, le pene
detentive per lo spaccio di cui qui si discute erano state assai ridimensionate.

4. Il ricorso può essere accolto solo in parte.

4.1. La prospettazione con la quale il ricorrente assume l’insussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza a carico, in definitiva, propongono diversa ricostruzione
fattuale e valutazione di merito, puntualmente disattesa dal Tribunale.
Assai di recente questa Corte (Sez. V, 5/6/2012, n. 36079) ha avuto modo di
chiarire che la nozione di gravi indizi di colpevolezza non è omologa a quella che
serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza
finale. Al fine dell’adozione della misura è sufficiente l’emersione di qualunque
elemento probatorio idoneo a fondare <> in ordine ai reati addebitati. Pertanto, i detti
indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio
di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (per questa ragione l’art. 273,
comma lbis, cod. proc. pen. richiama i commi 3 e 4 dell’art. 192, cod. proc.
pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravità,
richiede la precisione e concordanza degli indizi).
Deve, peraltro, chiarirsi, siccome affermato dalla massima che si trae dalla
sentenza n. 37878, emessa il 6/7/2007 proprio da questa stessa Sezione, che la
valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di
merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata
unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità
della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure che, pure
investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una

z

punto concernente le esigenze cautelari. Il Tribunale non aveva tenuto conto

diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice, spettando alla
corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato
adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità
del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della
motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni
della logica e ai principi del diritto che governano l’apprezzamento delle
risultanze probatorie. Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere
«all’interno>> del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere

degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate.
In altri termini, l’ordinamento non conferisce alla Corte di cassazione alcun
potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi
compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle
caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle
esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti
rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta
l’applicazione della misura, nonché al tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto
impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti,
uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto
incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente
significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti,
risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato, ossia la
congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.

4.2. Più in dettaglio può essere utile osservare quanto appresso.
Il Tribunale, con analisi esauriente e scevra dai gravi vizi rappresentati in ricorso,
riprendendo analiticamente le emergenze istruttorie (e, talune risultanze
assicurano risultati difficilmente opinabili), ha evidenziato i capisaldi di riscontro
all’accusa, dandosi carico d’individuare, con motivazione in questa sede
incensurabile, gli elementi sintomatici costitutivi del sodalizio (basi logistiche,
continui contatti tra gli accoliti, frequenti e programmati viaggi finalizzati al
rifornimento, beni messi a disposizione, forma organizzativa, attuazione di un
programma criminoso rodato).
Il Tribunale, come in sintesi si è sopra richiamato, ha tratto gravi indizi di
colpevolezza in ordine alla partecipazione del ricorrente al sodalizio criminale non
solo utilizzando le univoche inferenze ricavabili dalle riprese filmate (le quali di
per sé ben possono soddisfare l’obbligo motivazionale ove testimoni oggettive
della condotta tenuta e del complessivo intreccio di attività), ma anche ulteriori

a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame

precipue indicazioni derivanti dall’individuazione dei luoghi di detenzione per lo
spaccio “aperti” agli associati (e il fondo Rubino Muratore non era il solo) e dalla
pluralità dei reati fine commessi dagli associati. Quanto alla posizione del
Bagnasco è stata evidenziata la sua pronta ed eclettica disponibilità a svolgere
compiti e ruoli al posto di altri accoliti impediti (pag. 6).
A fronte della predetta analisi devesi, per contro, registrare, una critica
avversativa largamente assertiva e, comunque priva di apporti che siano in
grado di porre in effettiva crisi la costruzione accusatoria, tesa, al più, ad una

4.3. La sussistenza delle esigenze cautelari deve ritenersi non illogicamente
individuata dal Tribunale valorizzando la pervasività territoriale dell’associazione,
la sua capacità di modulare la propria attività e difendersi in relazione
all’offensiva delle forze dell’ordine, continuando l’illecito commercio e mostrando
capacità d’inquinare le fonti di prova.
Quel che appare censurabile in questa sede deve ritenersi la motivazione con la
quale il Giudice del merito ha reputato di non potere far fronte alle esigenze
cautelari con una misura cautelare, se del caso, meno gravosa della custodia in
carcere, in applicazione della regola di cui al comma 1 dell’art. 275, cod. proc.
pen.
Se, per vero, il ricorrente, limitandosi a riportare solo un lacerto del dispositivo
decisorio di cui alla sentenza n. 231/2011 della Corte cost., ne ha alterato
radicalmente il senso, tuttavia, non può farsi a meno di evidenziare che la
portata della disposizione, dopo l’intervento manipolativo-additivo del Giudice
delle leggi, esclusa l’obbligatoria restrizione cautelare in carcere in presenza di
esigenze cautelari di qualsivoglia spessore, ha, tuttavia, ritagliato una
presunzione di contenimento carceraria, ove non risultino <

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