Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34810 del 23/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34810 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SAMMARCO MATTEO N. IL 09/08/1994
avverso l’ordinanza n. 95/2014 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
10/02/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
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Data Udienza: 23/05/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Palermo, sezione per il
riesame, decidendo sull’appello proposto dalla Procura della Repubblica presso il
Tribunale del capoluogo, ha disposto nei confronti di Sammarco Matteo la misura
cautelare della custodia in carcere, avendolo giudicato raggiunto da gravi indizi
di reità in ordine al reato di cui all’art. 74 T.U. Stup., quale partecipe.
Ad avviso del Collegio distrettuale, dalle attività di indagine svolte dai CC. di
Palermo S. Lorenzo, e riferite al P.M. con informativa del 6.9.2013, emerge

all’interno del quartiere Zisa di Palermo, nella zona dove incrociano le vie
Cipressi, D’Aiello e Regina Bianca. Attraverso la registrazione di immagini
effettuata da alcune telecamere installate nelle vie sopra indicate sono stati
documentati numerosissimi episodi di spaccio di sostanze stupefacenti poste in
essere da vari soggetti residenti nell’area. In particolare è emersa l’esistenza di
un gruppo di persone dedito per tutte le ore del giorno al traffico di stupefacenti,
i cui componenti sono stati progressivamente identificati dai carabinieri, i quali
hanno ricostruito il modus operandi del sodalizio.
Le attività erano suddivise per turni nell’ambito dei quali i sodali espletavano
le attività di spaccio, di raccolta dei soldi provento del reato, di vedetta e di
rifornimento di stupefacenti. Nel caso di arresto di un elemento
dell’organizzazione veniva in breve tempo individuato il sostituto, in modo da
non interrompere il ciclo di rifornimento e la vendita della droga ai numerosi
acquirenti che giungevano nelle vie di spaccio. L’organizzazione era capace di
dislocare l’attività di vendita temporaneamente in una zona piuttosto che in
un’altra, a seconda della pressione esercitata dagli inquirenti. In particolare il
Tribunale ha ricordato che il singolo venditore prendeva contatto con
l’acquirente, gli indicava dove fermarsi ad aspettare, eventualmente ricevendo
già il corrispettivo in denaro; si recava quindi a prelevare la singola dose da
spacciare; effettuava la cessione; quando era stata raggruppata una certa
somma di denaro la consegnava ad altro soggetto con funzioni di cassiere e di
rifornitore, il quale provvedeva a depositare il danaro in un deposito; quand’era
terminata la riserva di sostanze stupefacenti il venditore chiedeva di essere
rifornito al soggetto sopra indicato, il quale si approvvigionava delle scorte
occultate nei pressi della zona di spaccio oppure si recava in uno dei depositi di
stoccaggio del materiale siti – come avevano fatto emergere le successive
indagini – nel cortile Napoli, nel fondo Rubino Muratore, in via Re Tancredi n. 76.
I sequestri avevano anche portato ad accertare che le dosi di sostanza
stupefacente erano confezionate in modo del tutto identico; per l’hashish si
trattava di stecche di circa 10 cm. del peso approssimativo di 2 g., prive di

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l’esistenza di una fiorente attività di commercio di sostanze stupefacenti

confezionamento e avvolte con pellicola trasparente, generalmente, in confezioni
da dieci; la marijuana era in bustine di plastica trasparente chiuse con spille da
spillatrice contenenti poco più di 1 g. di sostanza.
Come già accennato, era stata accertata la disponibilità di più luoghi per
l’occultamento delle sostanze stupefacenti. Nel periodo monitorato dall’indagine
era stato documentato un numero molto elevato di cessione a terzi di sostanza
stupefacente, tutte avvenute nell’ambito dell’area ripresa dalle telecamere ed era
stato altresì accertato che l’organizzazione era caratterizzata dal vincolo

appartengono principalmente alle famiglie Giardina e Bagnasco, Corradengo,
Gargano e Bertolino.
Tanto premesso il Tribunale ha rilevato che nei confronti del Sammarco
erano già stati riconosciuti dal Gip indizi di reità in merito ad una pluralità di reati
fine commessi nel periodo dall’aprile al maggio 2013. Dalle caratteristiche di tali
reati il Tribunale ha derivato l’inserimento stabile del Sammarco all’interno della
organizzazione con un ruolo operativo, non direttivo e tuttavia di fondamentale
importanza (cassiere-rifornitore). Infatti l’indagato era stato non solo
costantemente presente sul luogo di spaccio e attivo nel medesimo, in
particolare durante il turno mattutino, in correlazione con altri soggetti di vertice
del sodalizio criminale, ma aveva anche e soprattutto provveduto alla raccolta, al
conteggio e alla consegna del denaro nelle mani degli altri associati, del cui
specifico ruolo non poteva non essere a conoscenza.
In particolare il prevenuto era stato visto più volte ricevere in consegna e
trasportare quantitativi di sostanza da o verso i luoghi in cui poi sarebbero stati
rinvenuti i depositi di sostanza stupefacente. Il Sammarco aveva anche svolto
attività di stabile rifornitore, o direttamente o per interposta persona, della
catena di spaccio al minuto, ricevendone in maniera stabile e continuativa i
proventi.
Da tali elementi il Collegio distrettuale ha tratto il convincimento della
consapevolezza del Sammarco di partecipare, in modo stabile, al disimpegno di
attività di smercio di sostanze stupefacenti in forma sufficientemente
organizzata, perché esercitata in modo sistematico e continuativo con una
metodica osservanza di regole, di turni e di ruoli, da una pluralità di soggetti tra
loro collegati da una relazione gerarchico-funzionale, animati da uno scopo
comune.
Avendo quindi ritenuto il Sammarco gravato da gravi indizi di reato il
Collegio ha anche ritenuto che la presunzione di sussistenza delle esigenze
cautelari e della inidoneità di misura meno afflittiva di quella custodiale non
fossero superate ed ha quindi disposto la custodia in carcere del prevenuto.

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derivante dal rapporto familiare, in quanto diversi componenti dell’associazione

2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato con atto
personalmente sottoscritto.
2.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt.
273 cod. proc. pen. e 74 T.U. Stup.
Rileva il ricorrente che dalla visione delle immagini emerge che il ruolo
svolto dai singoli soggetti è tutt’altro che organico e continuativo; infatti, non vi
è alcun indizio che gli stessi periodicamente reclutassero gli spacciatori al

custodissero stabilmente lo stupefacente presso luoghi nella loro disponibilità,
sempre il tutto finalizzato ad una missione solidaristica piuttosto che
individualistica. Si rammenta che la partecipazione anche continuativa alla
perpetrazione di reati-fine non può condurre ad affermare l’effettiva adesione al
sodalizio, non potendosi escludere che l’organizzazione ricorra, di volta per volta,
a nuovi esecutori. Nel caso di specie, in considerazione del brevissimo lasso di
tempo che avrebbe visto agire il ricorrente, era necessario dimostrare come sia
possibile che in tale arco di tempo e con pochissime cessioni il Sammarco abbia
preso parte attiva nell’associazione per il raggiungimento di scopi associativi.
3.2. Con un secondo motivo si lamenta che il Tribunale ha affermato che il
reato per cui si procede ricade nella presunzione di cui all’articolo 275, comma 3
cod. proc. pen., in riferimento alle esigenze cautelari, nonostante la presunzione
di esclusività della misura cautelare in carcere sia stata dichiarata
incostituzionale con sentenza della Corte costituzionale del 19 luglio 2011,
numero 231.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.
4.1. Il primo motivo non può trovare accoglimento. Esso pretende di veder
sovrapposta alla valutazione della prova operata dal Tribunale una diversa
valutazione espressa da questa Corte.
Vale ricordare che compito di questa Corte non è quello di ripetere
l’esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il
ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza
strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla
presenza di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della
logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti
alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro
ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo
dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall’aver assunto
dati inconciliabili con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e

dettaglio e che questi ultimi vendessero secondo un’ottica solidaristica,

che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la
loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al
suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere
manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del
23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del
20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del
05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006,
imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).

evidenzia l’inidoneità delle osservazioni difensive a porre in luce la manifesta
illogicità della stessa. Il ricorrente offre una diversa valutazione della prova; la
quale, anche ove fosse plausibile, non per questo dimostrerebbe l’incongruità del
giudizio del Collegio distrettuale.
Peraltro, l’esponente sembra non tener in conto che la partecipazione al
reato associativo risulta integrata con l’adesione al pactum sceleris e che le
condotte illecite eventualmente accertate rappresentano essenzialmente la
manifestazione esteriore dell’esistenza di quell’adesione. Risulta quindi evidente
che è del tutto infondata l’affermazione per la quale “il contributo apportato deve
protrarsi per un apprezzabile periodo di tempo, con carattere di stabilità e
permanenza …” perché possa dirsi integrata la partecipazione al delitto
associativo. Infatti, il principio costantemente affermato da questa Corte è
piuttosto quello per il quale l’elemento oggettivo del reato di associazione
finalizzata al traffico di stupefacenti prescinde dal numero di volte in cui il singolo
partecipante ha personalmente agito, per cui il coinvolgimento in un solo
episodio criminoso non è incompatibile con l’affermata partecipazione dell’agente
all’organizzazione di cui si è consapevolmente servito per commettere il fatto
(tra le molte, Sez. 1, n. 43850 del 03/07/2013 – dep. 25/10/2013, Durand e
altri, Rv. 257800).
Pertanto, alcuna violazione di legge può rinvenirsi nella decisione
impugnata, quanto al punto in esame.
Muovendo dall’esposta, erronea, premessa, il ricorrente oppone al giudizio
espresso dal Collegio distrettuale – per il quale i gravi indizi di reità, tenuto conto
del quadro generale più volte rammentato, si traggono dalla individuazione del
Sammarco, mediante le videoriprese, quale soggetto che dall’aprile al maggio
2013 svolse il ruolo di cassiere-rifornitore, essendo costantemente presente sul
luogo di spaccio e attivo nel medesimo, in particolare durante il turno mattutino,
in correlazione con altri soggetti di vertice del sodalizio criminale, ed inoltre
provvedendo alla raccolta, al conteggio e alla consegna del denaro nelle mani
degli altri associati – il solo fatto che l’osservazione e quindi la partecipazione ai

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Orbene, quanto sopra riportato della motivazione resa dal Tribunale

reati scopo sarebbe stata limitata nel tempo. Si tratta di una mera rivalutazione
delle circostanze accertate e valutate dal Tribunale con motivazione immune da
censure in questa sede, siccome non manifestamente illogica.

4.2. Per contro risulta fondato l’ulteriore motivo, ancorchè per uno solo degli
aspetti individuati dal ricorrente, ovvero quello concernente il giudizio di
adeguatezza della sola misura della custodia in carcere.
Invero, diversamente da quanto asserito dal ricorrente, il Tribunale è stato

elementi in grado di vincere la presunzione relativa di adeguatezza della sola
misura della custodia in carcere. A tal riguardo, esso ha posto in rilievo la gravità
dei fatti e la personalità dell’imputato, giudicati tale da rendere altre misure
inidonee a fronteggiare le ritenute esigenze cautelari.
La motivazione al riguardo va esente da censure movibili in questa sede,
perché non solo esplicita che mancano elementi positivi che valgano a superare
la menzionata presunzione (e su tale punto il ricorrente tace), ma aggiunge una
estesa dimostrazione delle circostanze che valgono a fondare, al di là di ogni
presunzione, la sussistenza delle esigenze cautelari.
All’inverso, la motivazione resa in punto di adeguatezza della sola misura
carceraria è sostanzialmente apodittica, perché non viene esplicato quali specifici
profili del fatto e della personalità dell’indagato inducano a ritenere la custodia in
carcere la sola adeguata al caso.
La giurisprudenza di questa Corte è nel senso della non necessità che con il
provvedimento di custodia in carcere si dia analitica dimostrazione delle ragioni
che rendono inadeguata ogni altra misura, essendo sufficiente che il giudice
indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di
commissione dei reati nonché dalla personalità dell’indagato, gli elementi
specifici che inducono ragionevolmente a ritenere la custodia in carcere come la
misura più adeguata al fine di impedire la prosecuzione dell’attività criminosa,
rimanendo in tal modo assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità delle
altre misure coercitive (Sez. 6, n. 17313 del 20/04/2011 – dep. 05/05/2011,
Cardoni, Rv. 250060).
La motivazione che il giudice deve rendere, quindi, necessariamente deve
fare perno su elementi specifici inerenti al fatto, alle motivazioni ed alla
personalità del soggetto e la generica evocazione della gravità del fatto, così
come descritto ai fini del giudizio di sussistenza della gravità indiziaria, o di una
personalità che si vorrebbe automaticamente descritta da quella medesima
gravità non possono essere sufficienti allo scopo.

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ben consapevole della necessità di dare dimostrazione della inesistenza di

Il Tribunale non pare aver correttamente adempiuto all’indicato obbligo
motivazionale, avendo operato generici riferimenti, i quali non permettono di
apprezzare perché solo la custodia in carcere valga a preservare il Sammarco e
la collettività dalla probabile recidiva.

5. Pertanto, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di
Palermo, limitatamente al giudizio sull’adeguatezza della misura cautelare. Il
ricorso va rigettato nel resto.

competente Tribunale del riesame perché provveda a quanto stabilito dall’art. 92
disp. att. c.p.p.
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Palermo, limitatamente
al giudizio sull’adeguatezza della misura cautelare. Rigetta nel resto.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa
al competente Tribunale del riesame perché provveda a quanto stabilito dall’art.
92 disp. att. c.p.p.
Manda alla Cancelleria per gli immediati adempimenti a mezzo fax.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23/5/2014.

Va anche disposto che copia del presente provvedimento sia trasmessa al

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