Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34769 del 14/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34769 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Marcaurelio Pino n. il 25.3.1980
avverso la sentenza n. 2640/2012 pronunciata dalla Corte d’appello
di L’Aquila il 6.3.2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 14.7.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. A.P. Pompeo, che
ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 14/07/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza resa in data 6.3.2013, la corte d’appello di
L’Aquila ha confermato la sentenza in data 21.10.2010, con la quale il
tribunale di Chieti, sezione distaccata di Ortona, ha condannato Pino
Marcaurelio alla pena di due anni di reclusione ed euro 500,00 di
multa in relazione al reato di furto aggravato commesso, in concorso
con Gianluca Baldassarre, in Francavilla al Mare, in data 22.1.2007.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione il Marcaurelio, dolendosi della
violazione di legge in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata per
aver ritenuto utilizzabile, a carico dell’imputato, le dichiarazioni accusatorie emesse dalla teste Pomposo, la quale non era stata sentita
con le garanzie previste per l’indagato in procedimento connesso o
collegato, bensì, appunto, quale teste semplice, nonostante la stessa
figurasse quale indagata per reati intimamente connessi, o comunque
collegati, con l’episodio criminoso contestato al Marcaurelio.
Ciò posto, l’eventuale stralcio delle dichiarazioni della teste
Pomposo avrebbe certamente condotto all’assoluzione dell’imputato,
attesa la decisività del relativo tenore.
Sotto altro profilo, il ricorrente censura la sentenza impugnata
per vizio di motivazione, con particolare riguardo all’illogicità della
giustificazione dettata in relazione all’entità della pena allo stesso inflitta.
Considerato in diritto
2. – Il ricorso è infondato.
Con riguardo alle censure relative alla pretesa inutilizzabilità
delle dichiarazioni rese dalla teste Pomposo, osserva il collegio come
la corte territoriale, sulla scia della decisione sul punto adottata dal
giudice di primo grado, si sia correttamente allineata al consolidato
insegnamento della giurisprudenza di legittimità (da questo collegio
integralmente condiviso e riproposto), ai sensi del quale il regime di
inutilizzabilità assoluta di cui all’art. 63, co. 2, c.p.p., non concerne le
dichiarazioni riguardanti persone coinvolte dal dichiarante in reati
diversi, non connessi o non collegati con quello o quelli in ordine ai
quali esistevano fin dall’inizio indizi a suo carico (v. ex plurimis,
Cass., Sez. 3, n. 16856/2010, Rv. 246985), avendo congruamente sottolineato, in termini logico-giuridici, come, nella fattispecie in esame,

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la Pomposo avesse reso dichiarazioni a carico dell’imputato in ordine
a un fatto (consistito in una rapina, successivamente derubricata in
furto aggravato) assolutamente privo di legami con i fatti (concernenti fattispecie criminose del tutto avulse dal primo) in relazione ai quali la stessa Pomposo era stata prospettata come indagata o indagabile
(cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
Lo stesso ricorrente, del resto, neppure individua correttamente gli eventuali criteri di connessione o di collegamento tra i diversi
fatti criminosi in esame, essendosi limitato a prospettare, in termini
inammissibilmente congetturali, la sola possibilità dell’eventuale
coinvolgimento della Pomposo negli stessi fatti ascritti all’imputato.
Del tutto priva di consistenza, sotto altro profilo, deve ritenersi
la doglianza sollevata dal ricorrente con riguardo all’entità della pena
allo stesso inflitta, avendo la corte territoriale espressamente giustificato la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato al Marcaurelio, attraverso il richiamo al valore dei considerevoli precedenti penali dell’imputato e delle stesse modalità dell’azione criminosa, la cui
gravità è emersa sulla base della relativa descrizione contenuta nella
sentenza impugnata: circostanze non adeguatamente contraddette in
forza dell’inammissibile genericità delle censure di merito sul punto
illustrate dal ricorrente.
3. — Al riscontro dell’infondatezza di tutti i motivi di doglianza
avanzati dall’imputato segue il rigetto del ricorso e la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14.7.2014

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