Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34767 del 04/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34767 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Bisulli Raffaele n. il 2.9.1945
avverso la sentenza n. 901/2010 pronunciata dalla Corte d’appello di
Bologna il 7.5.2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 4.7.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. P. Gaeta, che ha
concluso per la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso;
udito, per le parti civili, gli avv.ti M. Micele del foro di Bologna e
M.N. Barbarossa del foro di Forlì, che hanno concluso per la dichiarazione d’inammissibilità ovvero, in via gradata, per il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv.to G. Fabbri del foro di Forlì che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 04/07/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza resa in data 23.9.2009, il tribunale di Forlì
ha condannato Raffaele Bisulli alla pena di un anno di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, in
relazione al reato di omicidio colposo commesso, in violazione delle
norme sulla disciplina della professione medica, ai danni di Ercole
Fantini, in Cesena, il 18.3.2006.
All’imputato in qualità di medico curante della persona offesa,
era stata contestata la condotta colposa consistita nell’aver omesso di
adottare tutte le misure necessarie ad arrestare l’emorragia interna
provocata, a carico del Fantini, dall’accidentale lesione di un vaso
nella fossa iliaca destra, verificatasi nel corso dell’intervento chirurgico laparoscopico per recidiva di ernia inguinale condotto dal medico
chirurgo, Tiziano Berselli.
In particolare, al Bisulli (in qualità di medico curante del paziente e responsabile del monitoraggio successivo all’intervento chirurgico al quale lo stesso imputato aveva partecipato quale secondo
operatore) erano state contestate le negligenti e imperite modalità
con le quali lo stesso aveva proceduto alla rimozione del catetere c.d.
di Foley (applicato dal chirurgo immediatamente dopo la lesione dallo stesso provocata), senza averne previamente verificato l’efficacia
emostatica, e al carente monitoraggio post-operatorio del paziente, in
tal modo determinando l’aggravamento dell’emorragia da questi sofferta e il più rapido scompenso dell’equilibrio cardiocircolatorio dal
quale era conseguito il grave collasso e il decesso del Fantini.
Su appello dell’imputato, la corte d’appello di Bologna, con
sentenza in data 7.5.2013, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha disposto la riduzione della pena inflitta al Bisulli, determinandola in otto mesi di reclusione, confermando, nel resto, la
sentenza impugnata.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per (tassazione l’imputato sulla base di tre motivi
di impugnazione.
Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza
impugnata per vizio di motivazione, avendo la corte territoriale confermato la responsabilità penale dell’imputato sulla base di una scorretta interpretazione degli elementi di prova complessivamente ac2.1. –

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quisiti, avendo omesso di rilevare il carattere esclusivo della responsabilità del chirurgo Berselli nella causazione del decesso del paziente
(siccome autore della lesione ch’ebbe a provocarne l’emorragia interna, senza adottare tutte i necessari comportamenti correttivi del caso), viceversa sovrastimando altri elementi in nessun modo espressivi
della colpa del Bisulli, vieppiù trascurando il dato costituito dalla sostanziale irriconoscibilità dell’emorragia in corso a carico del paziente e l’inesistenza di segni clinici univocamente diretti a evidenziarne un obiettivo stato di sofferenza.
Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione di legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice d’appello nel non tener conto dell’effettiva esecuzione, da parte
dell’imputato, di un costante monitoraggio post-operatorio del paziente, dell’avvenuta misurazione della relativa pressione arteriosa e
dell’esecuzione di un emocromo, con esiti tali da escludere l’evidenza
di alcuna anomalia, e tanto meno di un’emorragia in atto, di per sé in
nessun modo rilevabile, con la conseguente riconoscibilità, a tutto
voler concedere, di una mera colpa lieve dell’imputato, penalmente
irrilevante, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 189/2012.
2.2. –

2.3. – Con l’ultimo motivo d’impugnazione, il ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione, per avere la corte
territoriale inadeguatamente commisurato, il trattamento sanzionatorio dell’imputato, alla lieve partecipazione dello stesso alla determinazione dell’evento letale ai danni della persona offesa.
3. – Con memoria depositata in data 18.6.2014, le parti civili
costituite hanno concluso per la dichiarazione d’inammissibilità del
ricorso e, in via gradata, per il relativo rigetto.

Considerato in diritto
4. — Il ricorso è manifestamente infondato.
Osserva il collegio come dall’esame dello sviluppo motivazionale seguito in entrambe le decisioni di merito (che, concordando
nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, valgono a saldarsi in un unico complesso corpo argomentativo: cfr. Cass., Sez. 1, n. 8868/2000, Rv.

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216906 e successive conformi) è emerso come la prova della responsabilità dell’imputato sia stata raggiunta sulla base di un’articolata
considerazione critica di tutti i fatti sottoposti a giudizio, a loro volta
ricostruiti secondo coerenti e logicamente ineccepibili linee argomentative.
Nel caso di specie, vale evidenziare — con particolare riguardo
al riscontro della correttezza logico-giuridica della motivazione dettata dai giudici del merito in relazione allo sviluppo causale ch’ebbe a
determinare il decesso del paziente e all’identificazione dei profili di
colpa in tale contesto ascrivibili all’imputato – come la corte territoriale abbia congruamente dato conto, in termini puntuali, della piena
conoscenza, da parte dell’odierno imputato, della condizione patologica del Fantini, paziente da tempo del Bisulli, essendo stato da
quest’ultimo operato pochi mesi prima per la medesima patologia, ed
essendo stato dallo stesso imputato nuovamente ricoverato per
l’ulteriore intervento con la diversa tecnica laparoscopica affidata al
chirurgo Berselli, lo stesso Bisulli, secondo il rilievo opportunamente
sottolineato dalla corte territoriale, era (o avrebbe certamente dovuto
essere) a conoscenza che il paziente era ancora sottoposto a terapia
con anticoagulanti orali, sostituiti, in previsione del nuovo intervento
chirurgico, con terapia eparinica.
L’imputato aveva quindi presenziato all’intervento chirurgico
condotto dal dottor Berselli, quale secondo operatore, venendo pertanto a conoscenza della lesione all’arteria del paziente e della conseguente emorragia temporaneamente (e in modo verosimilmente
inopportuno) tamponata attraverso il ricorso al catetere c.d. di Foley.
Ciò posto, la corte distrettuale ha coerentemente evidenziato
come il Bisulli disponesse di tutti gli elementi di conoscenza utili a
rendersi conto che la rimozione troppo tempestiva, o senza cautele,
del catetere di Foley avrebbe potuto avere, nella specie, conseguenze
assai problematiche, poiché i caratteri dell’emorragia provocata a carico del paziente avevano assunto dimensioni riconosciute come
‘anomale’ (cfr. pag. n della sentenza impugnata), sì che il rimedio costituito dal catetere di Foley non aveva (né avrebbe) potuto svolgere
alcuna funzione risolutiva del problema (limitandosi a tamponare la
fuoriuscita di sangue), avendo i sanitari altresì trascurato di provvedere all’adozione dell’unico rimedio definitivo, costituito
dall’isolamento e dalla sutura chirurgica della lesione.

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I dati obiettivi hanno quindi consentito di evidenziare – secondo il coerente discorso giustificativo dipanato nella motivazione della
sentenza impugnata — come l’emorragia patita dal Fantini, pur parzialmente tamponata dal catetere, non si era mai fermata, come puntualmente confermato dagli esiti dell’esame autoptico, nel corso del
quale sono emersi i segni di un’imponente emorragia interna, difficilmente producibile nei pochi minuti intercorsi tra la rimozione del
catetere, da parte dell’imputato, e la morte del Fantini.
Del tutto coerentemente la corte territoriale ha quindi evidenziato come la circostanza, sostenuta dall’imputato, che l’esame
dell’emocromo fosse stato tempestivamente eseguito, era rimasta documentalmente smentita dalle risultanze di causa, essendo stato, detto emocromo, eseguito solo in via d’urgenza dopo che il paziente aveva subito il collasso cardiocircolatorio (cfr. pag. 13 della sentenza impugnata); allo stesso modo, la corte d’appello ha evidenziato come il
referto delle ore 9,49 aveva evidenziato valori di emoglobina tali da
attestare un calo corrispondente a 1500 ml. di sangue, suscettibile di
ammonire sull’opportunità di non procedere alla rimozione del catetere con i tempi e le modalità nella specie seguite dall’imputato.
Il mancato monitoraggio, in termini di costante e diuturno
controllo, delle condizioni post-operatorie del paziente (accompagnato dal continuo accertamento dei parametri ematologici; dal ricorso
all’esame ecografico; dal controllo specillare dell’orifizio al fine di verificare la persistente fuoriuscita di sangue; della messa a dimora di
drenaggi affidabili nel rilievo delle perdite ematiche) e la successiva
imprudente e superficiale rimozione del catetere di Foley, hanno
dunque significativamente costituito una causa decisiva (sia pure
concorrente con l’iniziale lesione provocata dal chirurgo) della prosecuzione dell’emorragia, sì da assumere progressivamente le proporzioni successivamente emerse nell’irrimediabile provocazione del decesso del paziente: evento certamente riconducibile al comportamento colposo del Bisulli, che i giudici del merito hanno qualificato (nel
disattendere l’invocata applicazione dell’art. 3 della legge n.
189/2012) in termini di irriducibile gravità, avuto riguardo al consistente scostamento, della condotta dallo stesso nell’occasione tenuta,
rispetto ai parametri di diligenza e di prudenza dallo stesso concretamente esigibili.

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Deve pertanto ritenersi che la corte territoriale — con particolare riguardo alla conduzione del giudizio controfattuale – abbia esattamente evidenziato come l’eventuale osservanza, da parte
dell’imputato, delle regole cautelari ricostruite sulla base delle leges
artis, avrebbe consentito con certezza, secondo un giudizio di elevata
probabilità logica corroborato dalle evidenze probatorie del caso di
specie, di evitare l’evento lesivo sulla base dell’oggettivo criterio della
relativa prevedibilità e prevenibilità, secondo la miglior scienza ed
esperienza del momento storico nello specifico settore, apparendo
d’intuitiva evidenza come un più attento e scrupoloso monitoraggio
della fase post-operatoria avrebbe consentito il tempestivo accertamento dell’emorragia in atto, con la conseguente concreta praticabilità di un salvifico intervento terapeutico a beneficio del paziente.
Del tutto priva di pregio, da ultimo, deve ritenersi la doglianza
sollevata dal ricorrente con riguardo al trattamento sanzionatorio allo
stesso inflitto (limitata all’illustrazione di inammissibili censure in
fatto, non valutabili in questa sede di legittimità), avendo la corte territoriale in ogni caso provveduto all’opportuna riduzione della pena
inflitta all’imputato dal giudice di primo grado, evidenziando l’opportunità di determinarla in quella di otto mesi di reclusione, in coerenza alla gravità della colpa (ritenuta ‘non minimale’) concretamente
riscontrata a carico dell’imputato.
5. — Il riscontro della manifesta infondatezza del ricorso proposto dal Bisulli, nell’attestarne la radicale inammissibilità ai sensi
dell’art. 6o6, comma 3, c.p.p., impedisce il rilievo dell’eventuale ricorso di cause di estinzione del reato, ai sensi dell’art. 129 c.p.p..
Sul punto, vale richiamare quanto dedotto dalle Sezioni Unite
di questa Corte sin dalla pronuncia n. 32 del 22 novembre 2000 (Rv.
217266), secondo cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi
di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma
dell’art. 129 c.p.p..
6. – Alla dichiarazioni d’inammissibilità del ricorso segue la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di euro imoo,00 in favore della cassa delle ammende, oltre

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Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende,
nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili Mencagli
Patrizia, Fantini Mattia, Fantini Laura, Pasqualone Luciana e Fantini
Giuseppe per questo giudizio di cassazione, liquidate in euro
3.000,00 oltre accessori come per legge, nonché della somma di euro
2.500,00 oltre accessori come per legge per Fantini Roberto e Fantini
Lisa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4.7.2014.

alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

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