Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34765 del 23/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34765 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

IBB,A STEFANO N. IL 09/03/1972
avverso la sentenza n. 58/2009 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del
03/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.

che ha concluso per
„e

Udito, per la p
Uditidifeso v .

(

, l’Avv

Data Udienza: 23/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Cagliari, con sentenza del 25/9/2008, dichiarato
Ibba Stefano colpevole del reato di cui all’art.73 del d.P.R. n. 309/1990, per
avere illecitamente detenuto sostanze stupefacenti del tipo hashish,
riconosciuta l’ipotesi attenuata di cui al comma 5 del cit. art. 73 e la
diminuzione di pena per la seminfermità mentale, ed effettuata, infine, la
riduzione del rito abbreviato, condannò l’imputato alla complessiva pena di

1.1. La Corte d’appello di Cagliari, investita dell’impugnazione
dell’imputato, con statuizione del 3/12/2012, confermò la prima statuizione.

2. L’imputato propone ricorso per cassazione avverso quest’ultima
determinazione, corredato da unitaria censura, con la quale viene prospettato
vizio motivazionale, adducendosi la destinazione dello stupefacente ad
esclusivo uso personale: il solo parametro quantitativo, il quale non tenga
conto di altre circostanze, non avrebbe potuto condurre ad affermare che lo
stupefacente non era destinato ad esclusivo uso personale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. La censura è destituita di fondamento.
La tesi difensiva prende base da una mera congettura assertiva, non solo
inverificabile, ma anche inverosimile: esclusa l’acquisizione rocambolesca ed
implausibile proposta (rinvenimento casuale), a fronte di un quantitativo non
irrisorio, capace di produrre, nonostante la scarsa qualità della sostanza, 119
dosi, l’imputato non ha spiegato sulla base di quali risorse economiche aveva
operato l’acquisto. Di conseguenza, la motivazione spesa sul punto dalla Corte
territoriale si mostra esente dai gravi vizi prospettati con il ricorso.

5. Non di meno la statuizione, in punto di determinazione
sanzionatoria, emessa nei confronti di tutti gli imputati deve essere annullata.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 32/014 ha dichiarato
costituzionalmente illegittima l’equiparazione trattamentale, a prescindere
dalla qualità delle sostanze stupefacenti, operata con la novella apportata
all’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990 dall’art. 4bis, comma 1, lett. b, D.L.
30/12/2005, convertito nella L. 21/2/2006, n. 49, con la consequenziale
riviviscenza della pregressa disciplina regolante la materia, la quale prevede
trattamento sanzionatorio differenziato a seconda che l’illecito concerna le c.d.
1

due anni di reclusione ed €. 2.000,00 di multa.

droghe leggere o pesanti, cioè quelle rientranti, rispettivamente, nelle tabelle
H e IV (comma 4) e I e III (comma 1), prevedendo per l’ipotesi reputata più
grave una pena detentiva (per comodità si trascura l’indicazione di quella
pecuniaria) da otto a venti anni e per quella minore, da due a sei anni.
Inoltre all’imputato è stata riconosciuta l’ipotesi (all’epoca costituente
attenuante) di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, che,
secondo la disciplina al tempo vigente, importava una pena da uno a sei anni
di reclusione e da 3.000 a 26.000 euro.

16/5/2014, n. 79, alla fattispecie in esame, riscritta come autonoma ipotesi di
reato, è stato attribuito un diverso e meno grave trattamento sanzionatorio:
da sei mesi a quattro anni di reclusione e da 1.032 a 10.329 euro di multa
(nella prima versione di reato autonomo minore introdotta con il D.L.
23/12/2013, n. 146, convertito nella L. 21/2/2014, n. 10, le cui previsioni
sono state prematuramente poste in crisi dalla citata sentenza della Corte
cost. n. 32/014, il reato risultava punito con la reclusione da un anno a cinque
anni e con la multa da 3.000 a 26.000 euro).
Si pone, quindi, l’esigenza di sottoporre, ai sensi dell’art. 2, comma 4,
cod. pen., al giudice del merito il più favorevole assetto normativo
sopravvenuto, pur non essendo al medesimo vietato (salvo, ovviamente, il
divieto di riforma peggiorativa) mantenere il trattamento penale così come
disposto (ove compatibile con il nuovo range sanzionatorio), a condizione che
dimostri di tenere debitamente conto nella determinazione della pena dei
nuovi parametri sanzionatori introdotti dal legislatore.
In sede di legittimità, si è più volte chiarito (Cass., Sez. V, n. 345 del
13/11/2002, Rv. 224220; Sez. I, n. 1711 del 14/4/1994, Rv. 197464) in
siffatti casi che il rispetto del principio di legalità della pena (comb. disp. art.
2, comma 4, cod. pen. e 129, comma 2, cod. proc. pen.) impone
annullamento d’ufficio della statuizione di merito. Salvo a registrasi contrasto
sull’idoneità del ricorso inammissibile a dar vita ad un tale esercizio officioso
(in senso contrario: Sez. II, n. 44667 dell’8/7/2013, Rv. 257612; Sez. V, n.
36293 del 977/2004, Rv. 230636; nel senso dell’ininfluenza: Sez. VI, n.
21982 del 16/5/2013).
Siccome condivisamente illustrato in profondità nella sentenza di questa
stessa Sezione n. 13903/14 del 28/2/2014, il principio di retroattività della
norma più favorevole si fonda sulla legge ordinaria (art. 2, comma 4, cod.
pen.) e, giudicata non pertinente l’evocazione degli artt. 13 e 25, Cost.,
sull’art. 3 Cost. Con la conseguenza che «Il livello di rilevanza dell’interesse
preservato dal principio di retroattività della lex mitior – quale emerge dal
grado di protezione accordatogli dal diritto interno, oltre che dal diritto

2

Con il decreto legge 20/3/2014, n. 36, ora convertito nella legge

internazionale convenzionale e dal diritto comunitario – impone di ritenere che
il valore da esso tutelato può essere sacrificato da una legge ordinaria solo in
favore di interessi di analogo rilievo (quali – a titolo esemplificativo – quelli
dell’efficienza del processo, della salvaguardia dei diritti dei soggetti che, in
vario modo, sono destinatari della funzione giurisdizionale, e quelli che
coinvolgono interessi o esigenze dell’intera collettività nazionale connessi a
valori costituzionali di primario rilievo; cfr. sentenze n. 24 del 2004; n. 10 del
1997, n.353 e n. 171 del 1996; n. 218 e n. 54 del 1993). Con la conseguenza

retroattività di una norma penale più favorevole al reo deve superare un
vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo a tal fine sufficiente che la
norma derogatoria non sia manifestamente irragionevole» (C. cost. sent. n.
393/2006; per la giurisprudenza di legittimità, Sez. 3, n. 34117 del
27/04/2006 – dep. 12/10/2006, Alberini e altro, Rv. 235051).
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 236 del 19/7/2011, dopo aver
ripreso le norme sovranazionali rilevanti in materia, ha escluso che l’art. 7
CEDU imponga una maggior tutela della retroattività della lex mitior, anzi
rilevando che nella CEDU si rinviene il limite del giudicato, valicabile, invece,
secondo lo stato dell’elaborazione interna, oltre a segnare un’incidenza, per
estensione di materia, inferiore all’area delineata dall’art. 2, comma 4, cod.
pen.
Ciò posto la sentenza impugnata, nel resto divenuta irrevocabile, deve
essere annullata in punto di trattamento sanzionatorio, non ostandovi
nessuna delle superiori esigenze individuate dalla Corte Costituzionale nella
sentenza n. 393, sopra citata.

P.Q.M.

Annulla la impugnata sentenza limitatamente alla determinazione della
pena e rinvia alla Corte di Appello di Cagliari per nuovo esame sul punto.
Rigetta nel resto.

Così deciso in Roma il 23/5/2014.

che lo scrutinio di costituzionalità ex art. 3 Cost., sulla scelta di derogare alla

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