Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34760 del 17/04/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34760 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
A)MACALUSO GIUSEPPINA (RINUNCIANTE) N. IL 08/07/1954 NON
RICORRENTE
SARDO TERESA ILENIA (RINUNCIANTE) N. IL 18/08/1985 NON
RICORRENTE
nei confronti di:

9

COSTANZO CHIATTILLA CARMELO N. IL 30/06/1960
COMUNE DI RIPOSTO
, inoltre:
3,2 GALIANO MARIO FRANCO N. IL 23/06/1955 R(<..AÌBONIFACIO ANTONIO N. IL 26/07/1953 avverso la sentenza n. 2953/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del 14/12/2012 visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/04/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE Jle \'toilyd>.■
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
\),)k,,,Q.z;
che ha concluso per 4

Data Udienza: 17/04/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 4.12.2012 la Corte di Appello di Catania ha
parzialmente riformato quella pronunciata dal Tribunale di Catania, sezione
distaccata di Giarre, che aveva condannato Alfieri Giuseppe, Bonifacio Antonio,
Chiattilla Costanzo Carmelo e Galiano Mario Franco alla pena ritenuta equa e al
risarcimento dei danni in favore delle parti civili per la morte del lavoratore
Giuseppe Sardo, avvenuta il 27.1.2003 mentre questi si trovava all’interno di
uno scavo profondo circa 2,6 metri, la cui parete franava.

non aver commesso il fatto; dichiarato non doversi procedere nei confronti dei
restanti imputati, per essere il reato loro ascritto estinto per prescrizione, previa
concessione delle attenuanti generiche valutate equivalenti alla contestata
aggravante; determinato la provvisionale concessa in euro centomila ed infine
revocato le statuizioni civili nei confronti del Comune di Riposto, responsabile
civile.

2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato Galiano Mario
Franco a mezzo del difensore di fiducia, avv. Sergio Iacona.
2.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 129
cod. proc. pen., lamentando che la Corte di Appello ha affermato di non poter
pronunciare sentenza assolutoria di merito perché l’art. 129 cod. proc. pen. lo
prevede solo in caso di evidenza della prova nonostante la giurisprudenza di
legittimità abbia puntualizzato che l’adozione di una formula liberatoria di merito
possa costituire la conclusione logico-giuridica dell’esame degli atti.
2.2. Con un secondo motivo si deduce vizio motivazionale in relazione
all’applicazione dell’art. 62bis cod. pen., risultando omessa ogni motivazione in
merito al pronunciato giudizio di equivalenza delle circostanze del reato,
nonostante in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche la
difesa avesse formulato specifico motivo di appello.
2.3. Con un terzo motivo si deduce vizio motivazionale per aver la Corte di
Appello identificato la posizione di garanzia del Galiano nel ruolo di
amministratore della società dalla quale dipendeva il Sardo e al contempo
ritenuto che l’Alfieri era stato regolarmente nominato capocantiere. Rileva ancora
l’esponente che il solo Bonifacio era rappresentante legale della Altarello s.r.l. e
che esisteva una ATI tra le aziende di proprietà del Bonifacio e del Galiano, il cui
legale rappresentante era il solo Bonifacio.

3. Propone ricorso per cassazione l’imputato Bonifacio e con unitario motivo
deduce violazione di legge in relazione agli artt. 5 d.lgs. n. 494/96 e 4 d.p.r.

2

Il Collegio distrettuale, infatti, ha assolto il Chiattilla dal reato ascrittogli per

547/55 nonché all’art. 129 cod. proc. pen. e vizio motivazionale. L’esponente
ritiene che si sia incorsi nei predetti vizi pronunciando l’assoluzione del Chiattilla
e non dei datori di lavoro, posto che “la non puntuale osservanza delle misure
vigenti in materia di sicurezza … non possa imputarsi esclusivamente ai datori di
lavoro.., con la conseguenza che l’esclusione di colpevolezza di uno dei titolari
della medesima posizione di garanzia, doveva necessariamente estendersi anche
a tutti gli altri”. E alla medesima conclusione perviene rilevando che la stessa
Corte di Appello ha affermato, nel motivare l’assoluzione del Chiattilla, che

all’oggetto dell’appalto: tale circostanza, conclude l’esponente, doveva condurre
all’assoluzione anche del datore di lavoro.
Sotto diverso profilo, rilevato che non è stato possibile risolvere l’alternativa
tra due diverse ipotesi in ordine alle ragioni per le quali il Sardo si era trovato
all’interno dello scavo, censura che la Corte di Appello abbia optato per una delle
due ricostruzioni senza alcuna motivazione. Denuncia quindi il ‘travisamento dei
fatti’ laddove la Corte di Appello ha affermato che il giorno del sinistro i lavori
erano terminati e conclude per l’illogicità manifesta e la violazione dell’art. 129
cod. proc. pen. della sentenza, perché posto che le opere erano estranee
all’appalto e che i lavori erano terminati, atteso che ciò aveva fondato
l’assoluzione del Chiatilla, anche i datori di lavoro avrebbero dovuto essere
assolti.
Si lamenta poi che la Corte di Appello abbia fatto discendere la
responsabilità del Bonifacio dalla sola commissione della violazione
prevenzionistica, con l’effetto di porre in capo al medesimo il delitto a titolo di
responsabilità oggettiva. Alla base di tale assunto vi è la tesi che la normativa
prevenzionistica abbia previsto una serie di posizioni di garanzia “predisposte
proprio al fine di colmare eventuali deficit conoscitivi del datore di lavoro”; sicchè
nel caso di specie non si poteva pretendere dal datore di lavoro una condotta che
mirasse a scongiurare l’evento lesivo da parte di coloro – coordinatore dei lavori
e capocantiere – che erano titolari di autonomi obblighi di garanzia nei confronti
del lavoratore.

4. Ricorrono per cassazione le parti civili Macaluso Giuseppina, in proprio e
nella qualità di genitore di Sardo Giovanni, e Sardo Teresa Ilenia, in relazione ai
capi e ai punti della sentenza qui in esame sulla base dei quali è stata esclusa la
responsabilità penale di Chiattilla per il reato di cui all’art. 589, co. 2 cod. pen. e
quindi la responsabilità civile del Comune di Riposto.

3

l’opera nel cui scavo il Sardo aveva trovato la morte era del tutto estranea

5. Il responsabile civile Comune di Riposto ha depositato “controricorso”
avverso l’impugnazione descritta al precedente paragrafo, chiedendo la conferma
della sentenza impugnata nella parte concernente l’assoluzione del Costanza
Chiantilla.
CONSIDERATO IN DIRITTO
6. In via preliminare deve darsi atto che con dichiarazione recante la data
del 6.6.2013, Macaluso Giuseppina, in proprio e nella qualità di genitore di Sardo
Giovanni (deceduto) e Sardo Teresa Ilenia hanno manifestato la volontà di

della compagnia assicurativa Allianz S.p.A., ha depositato, oltre a copia della
predetta dichiarazione di rinuncia, l’atto di quietanza rilasciato dalle menzionate
Macaluso Giuseppina e Sardo Teresa in favore della Allianz s.p.a., del Comune di
Riposto e di Chiattilla Carmelo Costanzo.
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso delle parti civili e del Comune di
Riposto.

7. I ricorsi degli imputati sono infondati.
Risultando dichiarata l’estinzione per prescrizione del reato ascritto agli
imputati i soli motivi ammissibili sono quelli che investono l’applicazione dell’art.
129, co. 2 cod. proc. pen. e le confermate statuizioni civili. Ogni altra deduzione
non considera che la sentenza pronunciata dalla Corte di Appello propone una
particolare struttura, incentrata sulla mancanza di evidenza della prova
dell’innocenza. Pertanto, rilievi, osservazioni e censure che tendano a minare la
motivazione impugnata, senza però riuscire a ribaltare l’assunto del Collegio
distrettuale della non evidenza della prova dell’innocenza, sono di per sé stessi
inammissibili.

8.1. Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse del Galiano è
aspecifico, non individuando gli elementi che avrebbero dovuto condurre il
giudice ad affermare l’evidenza dell’innocenza dell’imputato.
Ai sensi dell’art. 581, co. 1 lett. c) cod. proc. pen., l’impugnazione deve
enunciare, tra gli altri, “i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto
e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”. L’art. 591, co. 1, lett. c)
cod. proc. pen., commina la sanzione dell’inammissibilità dell’impugnazione
quando venga violato, tra gli altri, il disposto dell’art. 581 cod. proc. pen.
Come costantemente affermato da questa Corte (tra le altre, sez. 6,
30/10/2008, Arruzzoli ed altri, rv. 242129), in materia di impugnazioni,
l’indicazione di motivi generici nel ricorso, in violazione dell’art. 581 lett. c)
c.p.p., costituisce di per sè motivo di inammissibilità del proposto gravame.

4

rinunciare al ricorso. In data 25.6.2013 l’avv. Massimiliano Di Stallo, quale legale

Non sembra inutile rammentare che la giurisprudenza di questa Corte è
consolidata nel senso che in presenza di una causa estintiva del reato, il giudice
può pronunciare sentenza di assoluzione ex art. 129, comma secondo, cod. proc.
pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del
fatto, la sua rilevanza penale ovvero la non commissione del medesimo da parte
dell’imputato emergano dagli atti in modo assolutamente incontestabile; la
“evidenza” richiesta dall’art. 129, comma secondo, cod. proc. pen., presuppone,
infatti, la manifestazione di una verità processuale così chiara, manifesta ed

di più di quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia (Sez. 2, n. 9174 del
19/02/2008 – dep. 29/02/2008, Palladini, Rv. 239552). Orientamento avallato
anche dalle S.U., per le quali deve trattarsi di circostanze idonee ad escludere
l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la
sua rilevanza penale in modo assolutamente non contestabile, così che la
valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto
di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di
“apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di
accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 – dep.
15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244274).
8.2. Inammissibile per carenza di interesse è il motivo concernente il
giudizio di equivalenza delle attenuanti generiche. Il ricorrente lamenta
unicamente la mancata valutazione ripartita per ciascun imputato della incidenza
delle menzionate attenuanti; un rilievo che non ha fondamento giuridico e che,
soprattutto, non è in grado di determinare, ove accolto, alcuna utilità per il
ricorrente, stante la dichiarata estinzione del reato (alla quale la concessione
delle attenuanti generiche come equivalenti non è estranea).
8.3. Per ciò che concerne la motivazione resa in punto di posizione di
garanzia del Galiano, vale quanto osservato ai paragrafi 7 e 8.1. In ogni caso,
alcuna contraddizione vi è nelle affermazioni della Corte di Appello, che fissa il
Galiano nel ruolo di amministratore della società dalla quale dipendeva il Sardo
mentre menziona una nomina dell’Alfieri quale capocantiere: nomina che nulla
ha a che vedere con la delega di funzioni prevenzionistiche, la quale determina il
trasferimento di funzioni proprie del datore di lavoro (l’amministratore, in questo
caso) ad altro soggetto. La nomina a capocantiere individua soltanto un
preposto.
Il rilievo in merito al ruolo del Bonifacio attinge l’accertamento di merito,
precluso in questa sede, e pertanto è inammissibile.

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obiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi in qualcosa

9. Il motivo di ricorso del Bonifacio riposa su una premessa del tutto
infondata, ovvero che il datore di lavoro sia titolare della medesima posizione di
garanzia del coordinatore per la sicurezza.
Si tratta di ruoli distinti, in corrispondenza dei quali si identificano diverse ed
autonome posizioni di garanzia, non paritetiche, risultando quella datoriale
posizione apicale, corrispondentemente all’ampiezza dei poteri che si
concentrano su tale figura. Conseguentemente, anche gli obblighi
prevenzionistici sono ben diversi; ed è del tutto fisiologico che l’uno possa essere

conoscenza da parte del datore di lavoro (in più passi prospettata dal ricorrente),
quand’anche trovi origine anche nell’inadempimento dei propri compiti da parte
del coordinatore per la sicurezza, vale a deresponsabilizzarlo; chè, anzi, quel
difetto di conoscenza deve ascrivere – salvo condotte dolose dell’ulteriore
garante – alla propria inadeguata organizzazione delle strutture e delle
procedure per la gestione dei rischi intrinseci all’attività lavorativa.
Quanto sinora evidenziato vale in particolare nei rapporti tra datore di
lavoro-committente e coordinatore per la sicurezza che questi venga a nominare.
Nel caso di specie, tuttavia, la irriducibilità della posizione del Bonifacio (e del
Galiano) a quella del Chiattilla è ancor più palese, atteso che quest’ultimo era
stato investito del compito dal Comune di Riposto e che il Bonifacio era datore di
lavoro appaltatore, alle cui dipendenze lavorava il Sardo.
Gli ulteriori rilievi mossi dal ricorrente evidenziano – insieme alla
prospettazione di una ricostruzione dei fatti alternativa a quella accreditata dai
giudici di merito, non ricevibile in questa sede – una non sufficiente
considerazione della natura della pronuncia impugnata, secondo quanto
segnalato ai precedenti paragrafi 7 e 8.1.

10. In conclusione, i ricorsi degli imputati devono essere rigettati. Segue, a
norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese
processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi delle parti civili e del responsabile civile.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17/4/2014.

ritenuto responsabile mentre l’altro risulta esente da addebito. Né l’assenza di

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