Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3476 del 07/10/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3476 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
HABACHI TAREK N. IL 05/10/1982
avverso la sentenza n. 6982/2012 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di PERUGIA, del 26/03/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
lette/se te le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 07/10/2014

RITENUTO IN FATTO
1. L’imputato ricorre per cassazione contro la sentenza di applicazione
concordata della pena in epigrafe indicata, deducendo carenza di motivazione
della medesima in ordine all’insussistenza di una delle “cause di non punibilità” di
cui all’articolo 129 cod. proc. pen., alla qualificazione giuridica dei fatti

e

dolendosi dell’omessa valutazione della congruità della pena applicata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è inammissibile, ex articolo 606, comma 3, cod. proc. pen.,

1, lettera c), cod. proc. pen., perché i motivi sono privi del requisito della
specificità, consistendo nella generica esposizione della doglianza senza alcun
contenuto di effettiva critica alla decisione impugnata.
Come questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr. ex plurimis Sez. U, n.
10372 del 27/09/1995 – dep. 18/10/1995, Serafino, Rv. 202270), l’obbligo della
motivazione della sentenza di applicazione concordata della pena va conformato
alla particolare natura della medesima e deve ritenersi adempiuto qualora il
giudice dia atto, ancorché succintamente, di aver proceduto alla delibazione degli
elementi positivi richiesti (la sussistenza dell’accordo delle parti, la corretta
qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione di eventuali circostanze ed il
giudizio di bilanciamento, la congruità della pena, la concedibilità della
sospensione condizionale della pena ove la efficacia della richiesta sia ad essa
subordinata) e di quelli negativi (che non debba essere pronunciata sentenza di
proscioglimento a norma dell’articolo 129 cod. proc. pen.).
In particolare, il giudizio negativo in ordine alla ricorrenza di una delle ipotesi
di cui all’articolo 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una specifica
motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nell’enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta
la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per una
pronuncia di proscioglimento ai sensi della disposizione citata.
Nel procedimento speciale di applicazione della pena su richiesta delle parti,
il giudice decide, invero, sulla base degli atti assunti ed è tenuto, pertanto, a
valutare se sussistano le anzidette cause di proscioglimento soltanto se le stesse
preesistano alla richiesta e siano desumibili dagli atti medesimi.
Non è consentito, dunque, all’imputato, dopo l’intervenuto e ratificato
accordo, proporre questioni in ordine alla mancata applicazione dell’articolo 129
cod. proc. pen., senza precisare per quali specifiche ragioni detta disposizione
avrebbe dovuto essere applicata nel momento del giudizio.

2

perché proposto per motivi manifestamente infondati e, ex articolo 591, comma

Quanto alla congruità della pena,

è opportuno ricordare che

nel

“patteggiamento”, una volta che il giudice abbia ratificato l’accordo, non è più
consentito alle parti prospettare, in sede di legittimità, questioni con riferimento
– non solo alla sussistenza ed alla qualificazione giuridica del fatto, alla sua
attribuzione soggettiva, alla applicazione e comparazione delle circostanze, ma
anche- alla entità e modalità di applicazione della pena (salvo che non si versi in
ipotesi di pena illegale) (ex pluribus, Sez. 6, n. 44909 del 30/10/2013 – dep.
07/11/2013, P.G. in proc. Elmezleni, Rv. 257152). Ciò che qui deve escludersi.

l’imputato non può prospettare con il ricorso per cassazione censure che
coinvolgono il patto dal medesimo accettato.
Nella concreta fattispecie, la pena è stata applicata nella misura richiesta e
la valutazione in ordine alla congruità della medesima risulta effettuata.
Resta, pertanto, preclusa ogni successiva doglianza al riguardo.

3. Pur tuttavia, la pena inflitta all’imputato risulta determinata avendo quale
riferimento la disciplina recata dall’art. 73 T.U. Stup. previgente alla declaratoria
di illegittimità costituzionale formulata dal giudice delle leggi con la sentenza n.
32/2014 con riguardo agli artt. 4 bis e 4vicies ter del d.l. 272/2005, come
introdotti dalla legge di conversione n. 49/2006.
Com’è noto, per effetto della menzionata sentenza ha ripreso vigenza la
disciplina recata dall’art. 73 T.U. Stup. come recata dalla cd. legge IervolinoVassalli, caratterizzata, per quel che qui interessa, dalla diversificazione del
trattamento sanzionatorio in rapporto alla tipologia dell’oggetto materiale del
reato.
In particolare, le ipotesi aventi ad oggetto hashish, come nel caso in esame
numerosi tra i fatti ascritti, risultano punite con la pena della reclusione da due a
sei anni (oltre alla multa), mentre il medesimo fatto risulta(va) punito dalla cd.
legge Fini-Giovanardi con la reclusione da sei a ventanni (oltre alla multa).
Le parti – e con esse il giudice – hanno quindi assunto a riferimento una
cornice edittale che, in forza dell’art. 2, co. 4 cod. pen., risulta illegale, anche se
non è possibile affermare, perché non esplicitato dal Giudice per le indagini
preliminari, se la illegalità concerna la pena base e/o quella relativa ai reati
avvinti da continuazione. Sicchè non è possibile neppure svolgere quella prognosi
che, in presenza di affermata continuazione tra i reati, impone l’annullamento
della sentenza impugnata solo qualora sia possibile ritenere che la pena inflitta
possa essere rideterminata dal giudice del rinvio per effetto dell’applicazione del
principio di prevalenza della legge penale più favorevole al reo (Sez. 4, n. 44791
del 11/07/2014 – dep. 27/10/2014, Colombo, Rv. 260639; per l’annullamento in

3

Ne consegue, come questa Corte ha più volte avuto modo di affermare, che

ogni caso è Sez. 4, n. 30475 del 17/06/2014 – dep. 10/07/2014, Libretti e altro,
Rv. 260631).
La sentenza impugnata va quindi annullata senza rinvio, e va disposta la
trasmissione degli atti al Tribunale di Perugia.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata senza rinvio e dispone trasmettersi gli atti al
Tribunale di Perugia per l’ulteriore corso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7/1/2014.

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