Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34759 del 17/04/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34759 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TOSI ANTONELLA N. IL 25/07/1972
avverso la sentenza n. 1845/2009 CORTE APPELLO di TORINO, del
19/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Ci vs3-4^) &te )-67irry-41._
che ha concluso per -a

d’It’5èT_ od Udit i-rge(rg-oT-A-V577-

e

Data Udienza: 17/04/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Torino, in
parziale riforma della condanna pronunciata nei confronti di Tosi Antonella dal
Tribunale di Verbania, sezione distaccata di Domodossola, ha rideterminato la
pena inflitta all’imputata in euro centocinquanta di multa.
Alla Tosi è stato ascritto di aver cagionato per colpa, nella qualità di datore
di lavoro, lesioni personali colpose al dipendente Edoardo Rigo, il quale mentre
operava ad un’altezza di mt. 2,27 dal piazzale sottostante alla propria postazione

bordo dell’escavatore in dotazione perdeva l’equilibrio e cadeva al suolo,
riportando le menzionate lesioni.

2.1. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore
dell’imputata deducendo, con un primo motivo, violazione di legge e vizio
motivazionale in relazione alle norme prevenzionistiche ritenute violate. Si
assume che l’art. 16 d.p.r. 154/56, che pone la prescrizione di adottare
impalcature o ponteggi per lavori eseguiti ad un’altezza superiore ai due metri,
non ha valenza di norma generale, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte
di Appello, incorrendo in violazione di legge. Il vizio motivazionale si rinviene
invece nel fatto che l’art. 13, co. 6 d.p.r. 154/56 (ed oggi l’art. 119, co. 6 d.lgs.
n. 81/2008) prescrive che un impalcato di sicurezza sia predisposto nel caso di
lavori in pozzi di fondazione profondi oltre tre metri; nella specie non vi è dubbio
che l’altezza dello scavo era di 2,27 mt. Tale norma dovrebbe trovare
applicazione nel caso in esame perché il Rigo aveva la qualifica di escavatorista
ed era addetto agli ‘scavi e fondazioni’.
2.2. Con un secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio
motivazionale in relazione agli artt. 40, 41 e 43 cod. pen., per aver la Corte di
Appello escluso che il comportamento del lavoratore abbia avuto natura di causa
da sola efficiente a produrre l’evento, nonostante si trattasse di comportamento
abnorme. L’affermazione del Collegio distrettuale, per la quale l’operazione
nell’attendere alla quale il Sardo si infortunò veniva ripetuta ogni mese, risulta
priva di riscontro nel materiale di prova disponibile quanto alla ripetizione delle
specifiche modalità attuatesi in occasione del sinistro.
2.3. Infine si lamenta che la Corte di Appello abbia inflitto la pena pecuniaria
nel massimo edittale, senza dare conto dei criteri utilizzati per la determinazione
della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.

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di lavoro, costituita da blocchi di sassi priva di ripari, nel tentativo di salire a

3.1. La contestazione della base giuridica assunta dai giudici di merito per la
fondazione dell’obbligo cautelare gravante sull’imputata nella menzionata qualità
e dalla medesima disatteso si muove lungo le direttrici già percorse nei giudizi di
merito. Ciò non di meno, trattandosi di questione di diritto, essa è
legittimamente riproposta in questa sede.
Orbene, la giurisprudenza di questa Corte si è consolidata nel senso della
valenza di regola generale dell’art. 16 d.p.r. 164/56, certamente applicabile
anche oltre il perimetro dei lavori di costruzione edile. Il principio espresso al

l’applicazione dell’art. 16 del d.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, che impone
l’adozione di precauzioni per l’esecuzione di lavori ad una “altezza superiore ai
metri due”, non è limitata al settore delle costruzioni edilizie, ma riguarda tutte
le attività in quota che possano determinare cadute dall’alto dei lavoratori. Nella
specie è stata ritenuta penalmente rilevante la mancata adozione di accorgimenti
volti ad impedire la caduta di un lavoratore che si era inerpicato su un motore
industriale di notevoli dimensioni (Sez. 4, n. 21268 del 03/10/2012 – dep.
17/05/2013, Ciraci’ e altri, Rv. 255277).
Ciò in quanto la regola in parola viene ritenuta rispondente ai generali
principi di diligenza e di prudenza, che impongono a chiunque assuma, in
qualsiasi momento ed in qualsiasi occasione, una posizione di garanzia rispetto
ad un’attività di lavoro, di operare per prevenire ogni prevedibile ed evitabile
rischio e per garantire la sicurezza del luogo di lavoro.
Si può solo puntualizzare che tale generale valenza risulta meglio
identificata tenendo presente il campo di applicazione del d.p.r. n. 164/56, come
descritto dagli artt. 1 e 2.
Peraltro, l’art. 27 del d.p.r. 547/55 (che trova applicazione nel caso di specie
ratione temporis) dispone che i posti di lavoro sopraelevati devono essere
provvisti su tutti i lati aperti di parapetti normali con arresto al piede o di difesa
equivalenti, ove il piano di caricamento sia di altezza pari o superiore a 1,50
metri. E alle norme del d.p.r. 547/55 si richiama, in funzione integrativa, il citato
d.p.r. 164/56.
Ne deriva che correttamente la Corte di appello ha fatto riferimento al
menzionato art. 16 e che l’insistita evocazione dell’art. 119 d.lgs. n. 81/2008 è
del tutto impropria, poiché il Rigo – se pur avente qualifica di escavatorista – non
era intento al momento dell’infortunio alle attività di ‘scavo e fondazione’.
3.2. Il secondo motivo di ricorso è all’inverso una inammissibile
riproposizione pedissequa della censura già avanzata all’indirizzo della sentenza
di primo grado. Esso risulta sostanzialmente elusivo della argomentazione
utilizzata dalla Corte di Appello per dare risposta al rilievo mosso con l’atto di

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riguardo afferma che “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro,

appello: il lavoratore ha tenuto una condotta ‘imprudente e disavveduta’ ma non
abnorme, posto che l’operazione per la quale si era trovato sul ciglio del dislivello
era consueta. Tal ultima affermazione rimanda ad un accertamento del merito,
precluso a questa Corte.
3.3. Quanto all’ultimo motivo, è sufficiente rammentare che nel caso in cui
venga, come nella specie, irrogata una pena pecuniaria prevista come alternativa
alla pena detentiva, la commisurazione della pena in misura prossima al
massimo edittale non deve accompagnarsi dalla diffusa esposizione delle relative

conclusiva e determinante in basa alla quale è stata adottata la decisione (cfr.
sez. 4, sent. n. 40176 del 1.10.2009, Russo, rv. 245353).
La Corte di Appello ha chiaramente indicato il carattere isolato del fatto
illecito quale ragione dell’opzione a favore della pena pecuniaria.

4.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Segue, a norma

dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17/4/2014.

ragioni, essendo sufficiente che dalla motivazione risulti la considerazione

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