Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34758 del 17/04/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34758 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FALBO RAFFAELE N. IL 03/01/1973
avverso la sentenza n. 8/2013 CORTE APPELLO di CATANZARO, del
11/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Cfr, 32,vat rt.wzry.41>
che ha concluso per 9 I i’ tApt~A
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Data Udienza: 17/04/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Catanzaro ha
confermato la condanna pronunciata dal Tribunale di Crotone nei confronti di
Falbo Raffaele, condannato alla pena ritenuta equa per il reato di furto,
aggravato dalla destrezza, di 425 euro.
Ad avviso del Collegio distrettuale il Falbo aveva perpetrato il furto
all’interno dell’esercizio commerciale ‘Flamingo’ mediante apertura della cassa ed
asportazione del relativo contenuto approfittando del fatto che il titolare ed i suoi

della ritenuta aggravante. Al Falbo sono state negate le attenuanti generiche per
i numerosi e specifici precedenti penali ed è stata esclusa la ricorrenza del danno
di speciale tenuità, trattandosi della sottrazione di quattroventicinque euro.

2.1. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore
dell’imputato deducendo violazione di legge e vizio motivazionale in relazione al
giudizio di sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625, co. 1 n. 4 cod. pen.
Si contesta che le modalità esecutive del reato siano connotate dalla
destrezza in quanto: a) non è emerso che il Falbo fosse a conoscenza del fatto
che il titolare ed i suoi stessero pranzando; b) l’entrata nel locale non è avvenuta
in modo clandestino; c) la cassa era aperta e con la chiave inserita; d) egli fece
rumore nello scavalcare il bancone. Risulta poi contraddittorio ed illogico
affermare che il Falbo stava uscendo pacatamente dal locale e che egli causò
rumore e si diede alla fuga.
2.2. Con un secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio
motivazionale in relazione al diniego delle attenuanti generiche e di quella di cui
all’art. 62, n. 4 cod. pen. Il riferimento ai soli precedenti penali dell’imputato non
può essere risolutivo; la Corte costituzionale ha giudicato incostituzionale
derivare un inasprimento del trattamento sanzionatorio dal solo fatto dell’essere
l’autore dell’illecito gravato da una pluralità di precedenti penali, dovendosi tener
conto anche del comportamento successivo alla commissione del reato.
Si assume, poi, che la somma sottratta non può provocare un rilevante
danno patrimoniale, che è anzi di tenue entità e non è dato comprendere da
dove la Corte di Appello abbia ricavato che si tratta di somma destinata ad
essere reinvestita nell’attività imprenditoriale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
3.1. Il primo motivo di ricorso pretende di affermare una situazione di fatto
diversa da quella accertata nei gradi di merito ed esplicata con puntuale
motivazione, senza neppure denunciare il travisamento della prova, e rimanendo

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familiari erano a pranzo in una sala attigua; in ciò la ragione della sussistenza

peraltro non autosufficiente. Si propone, pertanto, una ricostruzione alternativa a
quella operata dalla sentenza impugnata.
Vale ricordare che compito di questa Corte non è quello di ripetere
l’esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il
ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza
strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla
presenza di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della
logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti

ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo
dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall’aver assunto
dati inconciliabili con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e
che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la
loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al
suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere
manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del
23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del
20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del
05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006,
imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).
Nel caso che occupa l’aggravante della destrezza è stata ritenuta perché
accertato che il Falbo aveva approfittato del fatto che il titolare dell’esercizio ed i
suoi familiari erano intenti a pranzare in una sala attigua al locale nel quale era
collocata la cassa, dalla quale l’imputato aveva sottratto il denaro.
Intorno al concetto di destrezza, valevole ai fini dell’integrazione della
fattispecie circostanziale di cui all’art. 625, n. 4 cod. pen., si sono formulate
numerose affermazioni di principio, le quali appaiono avere in comune l’enfasi
posta sulla necessità che la condotta esprima “l’approfittamento di una
qualunque situazione di tempo e di luogo idonea a svisare l’attenzione della
persona offesa, distogliendola dal controllo e dal possesso della cosa” (Sez. 4, n.
42672 del 10/05/2007 – dep. 20/11/2007, Aspa, Rv. 238296; tra le molte, anche
Sez. 5, n. 15262 del 23/03/2005 – dep. 22/04/2005, Gabriele, Rv. 232140).
Ad avviso di questa Corte si tratta di indirizzo che merita di essere ribadito;
con la sola precisazione che la ricostruzione della nozione di destrezza deve
muovere dalla necessità di dare alla medesima una reale capacità di selezionare
condotte meritevoli di una maggiore offensività del bene protetto, rifuggendo da
ogni interpretazione che valorizzi una particolare callidità o pericolosità
dell’autore del fatto. Tanto risulta imposto dal principio di materialità e dal
ripudio di una responsabilità penale fondata sul ‘tipo di autore’. Va quindi
-)

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alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro

preferita, nel rispetto del testo della legge, quell’interpretazione che ponga in
risalto le modalità della condotta piuttosto che meri attributi soggettivi
dell’agente (quali furbizia, scaltrezza, et similia).
Per tale motivo, il solo dato dell’approfittamento, inteso come sfruttamento
di una condizione di minorata difesa della vittima, non può ritenersi sufficiente a
delimitare il perimetro applicativo della fattispecie in parola (in tal senso cfr.
(Sez. 4, n. 14992 del 17/02/2009 – dep. 07/04/2009, Scalise, Rv. 243207, che
ha escluso l’aggravante della destrezza qualora il ladro si impossessi di un bene

proprietario); l’ulteriore elemento che appare necessario è quello del ricorso, da
parte dell’agente, a modalità esecutive che implichino particolare abilità, intesa
come qualsiasi comportamento in grado di superare la vigilanza sulla cosa da
parte del suo detentore. Il dato è presente a diverse pronunce. Nella già citata
sentenza in causa Aspa, la Corte ha ritenuto che, essendo il denaro custodito
senza alcuna protezione o sicurezza, la condotta non presentava particolari
elementi di astuzia o di abilità, e dunque non aveva le caratteristiche della
destrezza. Si può in questa sede aggiungere che l’astuzia non assume rilievo di
per sé, ma quale connotato di una condotta particolarmente abile [in tal senso si
è statuito che è configurabile l’aggravante della destrezza “allorché l’attività di
sottrazione sia caratterizzata da una particolare abilità dell’agente (anche
espressa attraverso astuzia e rapidità), tale da menomare apprezzabilmente la
capacità difensiva e la vigilanza del proprietario della cosa”: la già citata Sez. 5,
n. 15262/2005]). Nel medesimo senso, si è ritenuto ravvisabile la destrezza in
presenza di una condotta connotata da particolare agilità e sveltezza, con mosse
o manovre particolarmente scaltre, tali da eludere la sorveglianza dell’uomo
medio, impedendogli di prevenire la sottrazione delle cose in suo possesso (Sez.
4, n. 10184 del 10/12/2004 – dep. 16/03/2005, Illoni, Rv. 230991).
Il tracciamento della linea di confine tra l’aggravante in esame e quella del
mezzo fraudolento permette di ribadire il dato caratterizzante della destrezza,
posto che la seconda si caratterizza per la idoneità della condotta a trarre in
inganno la vittima, mentre tale elemento non è necessario per l’ipotesi della
destrezza. E’ quindi ben possibile che l’abilità costituisca il nucleo dell’una come
dell’altra circostanza; ma mentre ricorre la destrezza se quell’abilità non si erge
a causa della minorata difesa della vittima ma la sfrutta, grazie ad una
particolare sveltezza, manualità ecc., ove l’abilità si ponga quale causa della
minorata difesa della vittima si profila il mezzo fraudolento.
Nel caso che occupa, quindi, la Corte di Appello ha fatto corretta
applicazione dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità.

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presente all’interno di un autoveicolo lasciato temporaneamente incustodito dal

3.2. Parimenti infondati gli ulteriori rilievi. In merito alla attenuante di cui
all’art. 62, n. 4 cod. pen. il criterio delle condizioni economiche della persona
offesa può valere solo in via sussidiaria e solo in senso escludente l’attenuante,
pur in presenza di un danno di speciale tenuità oggettiva (cfr. sez. 5, sent. n.
20729 del 24.3.2010, Di Munno, rv. 247475). Pertanto, il riferimento fatto dalla
Corte di Appello al rapporto tra la somma sottratta e l’esercizio dell’attività di
impresa da parte del derubato è del tutto irrilevante, stante l’oggettiva non
tenuità di un danno pari a 425 euro.

sovrappone distinti piani, essendo consolidato l’orientamento interpretativo
secondo il quale nel motivare tale diniego non è necessario che il giudice prenda
in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o
rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti
decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale
valutazione (Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010 – dep. 23/09/2010, Giovane e
altri, Rv. 248244).
Nella specie, la Corte distrettuale ha fatto riferimento all’esistenza di una
pluralità di precedenti penali specifici; pertanto risulta compiutamente adempiuto
l’onere motivazionale.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Segue, a norma
dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17/4/2014.

Quanto al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il ricorrente

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