Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34754 del 25/03/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34754 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: FOTI GIACOMO

Data Udienza: 25/03/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FULGENZI PAOLO CAMILLO N. IL 17/12/1957
avverso la sentenza n. 180/2012 CORTE APPELLO di
CAMPOBASSO, del 08/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO FOTI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv 114{1 VtettO s•b4
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1. Con sentenza del 1° dicembre 2011, il Tribunale di Campobasso ha condannato alle
pene di legge Fulgenzi Paolo Camillo e Norelli Pasquale per il delitto di cui all’art. 449 c.p. e
per l’omicidio colposo in danno di Testa Giovannina (acc. in Oratino il 1.11.2006).
Agli imputati era stato addebitato, nelle rispettive qualità: di utilizzatore dell’abitazione
sita in via Crispi n. 34 il Fulgenzi e di proprietario dell’immobile il Norelli, di avere cagionato
per colpa il crollo degli immobili siti al civico n. 34 e 32 di via Crispi di Oratino, con
conseguenti danni sia agli appartamenti che ad autovetture, nonché la morte della Testa,
che dormiva nell’appartamento del civico 32. In particolare, al Fulgenzi è stato addebitato
di non avere controllato, uscendo da casa, che il rubinetto del gas, non collegato al piano di
cottura, fosse completamente chiuso; al Norelli, di non avere munito il terminale
dell’impianto di un tappo di chiusura; pertanto, a seguito dell’accumulo di gas
nell’immobile e di un suo accidentale innesco, si era verificata un’esplosione che aveva
determinato il crollo dei fabbricati e la morte della Testa.
Gli imputati sono stati condannati, inoltre, al risarcimento dei danni in favore delle
costituite parti civili.
2. Con sentenza dell’ 8 ottobre 2012, la Corte di Appello di Campobasso, in parziale
riforma della sentenza di primo grado, ha assolto il Norelli per non aver commesso il fatto
e, confermando la condanna del Fulgenzi, ha ridotto ad anni due di reclusione la pena allo
stesso inflitta dal primo giudice, concedendo la sospensione condizionale della pena.
Ha osservato il la corte di merito che dall’istruttoria, in particolare dalle deposizioni dei
testi, dei C.T. del P.M. e del perito di ufficio, era emerso che il terminale dell’impianto era f
dotato di un rubinetto con manopola, di colore giallo, che costituiva un presidio di
sicurezza equivalente al tappo. Pertanto nessun addebito di negligenza poteva essere posto
a carico del proprietario Norelli.
Quanto al Fulgenzi, ha soggiunto la stessa corte, la sua responsabilità emergeva dalle
seguenti circostanze :
– subentrato nell’uso dell’immobile, in data 3 ottobre aveva fatto riattivare l’utenza del
gas distaccata dal precedente inquilino;
– frequentando l’immobile non in modo continuativo, aveva utilizzato il gas solo per il
riscaldamento e l’acqua calda; non aveva invece ancora collegato, con l’apposito tubo, il
rubinetto del gas di cucina al piano cottura;
– dopo l’incidente, attraverso l’espletamento di accertamenti tecnici, era stato acclarato
che il rubinetto del gas non era completamente chiuso;
– ciò aveva determinato una sua fuoriuscita, riscontrata dal fatto che il contatore
segnalava un consumo eccessivo rispetto al periodo di utenza;
– l’eccessivo accumulo di gas nell’appartamento si era maturato tra il 29 ottobre 2006, dì
in cui il Fulgenzi era uscito da casa per recarsi in Germania, senza farvi ritorno, ed il 1°
novembre, giorno dell’esplosione.
Ha quindi ritenuto la corte territoriale, conformemente al giudice di primo grado, che la
responsabilità del fatto doveva essere attribuita al Fulgenzi, il quale non aveva controllato,
prima di uscire da casa, che il rubinetto erogatore del gas, peraltro non allacciato al piano
cottura, fosse completamente chiuso.
3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il difensore del Fulgenzi, che
deduce :

Ritenuto in fatto.

4. Con memoria pervenuta in cancelleria il 22.3.14, i difensori delle parti civili chiedono
che il ricorso venga dichiarato inammissibile, ovvero venga rigettato.
Considerato in diritto.

1. Il ricorso è infondato.
1.1 Inesistenti sono i vizi denunciati con il primo motivo di ricorso che, malgrado il
riferimento anche alla violazione degli artt. 40 cod. pen. e 192 e 50 cpv cod. proc. pen., in
realtà contiene solo critiche alla motivazione della sentenza impugnata, sotto i profili della
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della stessa.
Orbene, in tema di vizio di motivazione, questa Corte ha costantemente affermato che il
vizio della mancanza o manifesta illogicità della motivazione, valutabile in sede di
legittimità, sussiste allorché il provvedimento giurisdizionale manchi del tutto della parte
motiva, ovvero la medesima, pur esistendo graficamente, sia tale da non evidenziare l’iter
argomentativo seguito dal giudice per pervenire alla decisone adottata. E’ stato, altresì,
affermato che il vizio è presente anche nell’ipotesi in cui dal testo della motivazione
emergano illogicità o contraddizioni di tale evidenza da rivelare una totale estraneità tra le
argomentazioni adottate e la soluzione decisionale prescelta.
L’indagine di legittimità sulla motivazione affidata a questa Corte è quindi volta solo ad
accertare se gli elementi probatori utilizzati dal giudice del merito siano stati
compiutamente valutati secondo le regole della logica, attraverso un iter argomentativo
congruo ed adeguato, idoneo a giustificare la decisione adottata; rimanendo estraneo ai
poteri del giudice di legittimità un intervento volto ad offrire una diversa interpretazione
delle prove o una revisione dell’analisi ricostruttiva dei fatti.
Tanto premesso, deve ammettersi che nel caso di specie nessuno di tali vizi è dato di
cogliere nella motivazione della sentenza impugnata che, seppur in termini sintetici, e
tuttavia sufficienti, richiamando la decisione di primo grado, più completa nell’esposizione
delle ragioni della condanna dell’imputato, ha osservato che le emergenze probatorie in
atti, compresa la perizia dell’ing. Romano, oltre che la consulenza disposta dal PM,
andavano nella direzione dell’accusa.

3.1. La erronea applicazione della legge ed il vizio di motivazione della sentenza
impugnata per avere la corte di merito confermato la condanna senza alcuna specifica
valutazione dei motivi formulati nell’atto di appello che, valorizzando le emergenze
istruttorie, dava spazio alla possibilità di cause alternative della fuga di gas, non
riconducibili ad una negligenza del Fulgenzi. La possibilità di cause alterantive era stata
adombrata dallo stesso perito d’ufficio ed era supportata dal fatto che ben era possibile
che la semiapertura del rubinetto fosse stata determinata dalla deflagrazione. Peraltro, non
poteva considerarsi riscontro il presunto consumo anomalo di gas, perché, anche se
effettivamente esistente, non era idoneo a identificarne le cause, che ben avrebbero
potuto esser ricondotte ad anomalie strutturali dell’impianto o a difetti delle guarnizioni.
3.2. La omessa motivazione in ordine all’attribuibilità al crollo della morte della Testa; a
tale proposito non erano state effettuate indagini. La condanna era stata basata solo
sull’affermazione testimoniale secondo cui, prima del fatto, la donna era in buona salute.
3.3. La omessa motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, fissato in misura
lontana dal minimo edittale, a fronte di una contestazione di mera colpa generica, e la falsa
applicazione dell’art. 81 u.c. e 99 co. 4 cod. pen.

In particolare, dall’esame di ambedue le sentenze di merito, che hanno anche richiamato i
giudizi espressi dal perito ing. Romano e le conclusioni dallo stesso rassegnate, emerge
essere stato accertato:
– a) che l’esplosione ha avuto origine nell’abitazione di proprietà del Norelli ed in uso al
Fulgenzi, come dedotto dalla conformazione delle macerie, dalle deformazioni riscontrate
nell’appartamento, dai danni prodotti nell’edificio confinante; tutte emergenze ritenute
univocamente decisive in punto di individuazione dell’abitazione utilizzata dal Fulgenzi
come il luogo nel quale si era accumulato il nucleo esplosivo che ha causato la
deflagrazione:
– b) che la stessa è stata determinata dalla fuoriuscita, all’interno di detta abitazione, di
gas metano che, mescolatosi con l’ossigeno presente nell’aria, ha generato la miscela
esplosiva;
– c) che la causa che ha innescato l’esplosione non è stata con certezza individuata,
potendo essa ricondursi ai più diversi fenomeni, come una carica elettrostatica, un
contatto del campanello d’ingresso dell’abitazione, l’attivazione del relè del frigorifero, nel
caso di specie lasciato funzionante; l’accertamento di detta causa, tuttavia, non è stato
ritenuto rilevante, atteso che la fonte del rischio non nasceva certo dalla scintilla che aveva
provocato lo scoppio, bensì dalla presenza della massa infiammabile accumulatasi
nell’appartamento;
– d) che il gas è fuoriuscito dal tubo di diramazione dell’impianto di distribuzione interna
del gas destinato ad alimentare il piano di cottura della cucina, lasciato tuttavia libero, cioè
non collegato ad alcun elettrodomestico e munito di rubinetto di chiusura ritrovato, dopo
l’esplosione, semiaperto (a 45 gradi);
– e) che nessuna alternativa sorgente di metano è stata ritrovata;
– f) che il contatore del gas dell’abitazione presentava un consumo ritenuto eccessivo ed
inspiegabile in considerazione del breve tempo trascorso in casa dall’imputato, del periodo
non invernale, caratterizzato da in clima mite, e del ridotto uso dell’impianto, utilizzato dal
Fulgenzi solo per l’acqua calda e, saltuariamente, per il riscaldamento;
– g) che era stato calcolato che la quantità di gas uscita dal rubinetto nelle 66 ore
intercorse tra l’allontanamento del Fulgenzi dall’appartamento ed il momento
dell’esplosione ha potuto raggiungere una condizione di saturazione compatibile con le
accertate modalità di esplosione e con le conseguenze realmente verificatesi;
– h) che non sono state rinvenute tracce riconducibili ad altro tipo di esplosione.
Tali circostanze sono state richiamate anche dal perito, ing. Romano, che, se è vero che
ha sostenuto che non potesse dirsi con certezza che da quella valvola rinvenuta semiaperta
fosse sfuggito il gas, è anche vero che lo stesso perito ha sostenuto che da nessun’altra
parte poteva essere uscito, posto che non si era trovata una sorgente di metano alternativa
rispetto a quella sicuramente individuata. Il perito, cioè, ha identificato nel rubinetto
semiaperto la causa della fuoriuscita del gas, e solo a titolo di ipotesi residuale non ha
potuto escludere che essa potesse essere attribuita a guasti dell’impianto. Ipotesi
chiaramente formulata in termini, appunto, del tutto residuali, che non risulta accennata
dai consulenti del PM, intervenuti sul posto ed incaricati delle verifiche tecniche ben prima
dell’intervento dell’ing. Romano (avvenuto a distanza di anni) e che erano quindi nelle
condizioni di avere più diretto e proficuo contatto con i tragici avvenimenti oggetto di
esame.
E dunque, perfettamente in sintonia con le emergenze processuali si presenta la sentenza
impugnata, caratterizzata da una motivazione che, letta unitamente alla sentenza di primo
grado, si presenta del tutto condivisibile e coerente sul piano logico. Mentre le osservazioni

2. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione, come da dispositivo, delle spese
sostenute dalle parti civili nel presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché
alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili per questo giudizio di cassazione,
liquidate in euro 10.000,00, oltre accessori come per legge, per le parti civili difese dall’avv.
to A. Ferri, con distrazione in favore di costui; e in euro 2.500,00 per la parte civile difesa
dall’avv.to Del Vecchio, oltre accessori come per legge e distrazione in favore dello stesso
avv. Del Vecchio.
Così deciso in Roma, il 25 marzo 2014.

e considerazioni svolte nel ricorso rappresentano solo il tentativo di una lettura alternativa
di dette emergenze, peraltro in termini del tutto generici e privi di consistenza probatoria.
Così, laddove vengono prospettate cause diverse della fuga di gas, dovute ad ipotetiche
anomalie strutturali dell’impianto, ovvero si ipotizza che la fuoriuscita potesse essere
avvenuta nell’appartamento della vittima, Testa Giovannina, dimenticando, tuttavia, a tale
ultimo proposito, non solo quanto accertato in sede di indagini tecniche, dalle quali era
chiaramente emerso che l’esplosione era avvenuta all’interno dell’abitazione del Fulgenzi,
ma anche che tra le macerie di casa Testa erano stati rinvenuti: la dichiarazione di
conformità dell’impianto alle norme di settore, il contratto di manutenzione programmata
dell’impianto e relativa documentazione firmata dall’installatore; documenti, dei quali
l’imputato era del tutto sprovvisto, che dimostrano la tenuta a norma dell’impianto
dell’abitazione della vittima.
Ed ancora, laddove si contesta, sempre in maniera generica, l’accertato anomalo
consumo di gas registrato nel relativo contatore, ovvero si ipotizza persino che la vittima
fosse deceduta per cause diverse dall’esplosione, malgrado la violenza della stessa, che
aveva causato il crollo di due fabbricati, e malgrado la testimonianza di una vicina di casa
che aveva riferito delle buone condizioni di salute della donna.
1.2 Infondate sono, altresì, le censure proposte con il secondo motivo di ricorso,
concernenti il trattamento sanzionatorio.
Il giudice del gravame, invero, in accoglimento dell’appello proposto dall’imputato, ha
ritenuto di ridurre, peraltro in maniera apprezzabile, la pena inflitta dal primo giudice
(concedendo anche il beneficio della sospensione condizionale della stessa), indicando con
assoluta congruenza e coerenza logica le ragioni che lo hanno indotto ad individuare la
pena concretamente irrogata; in misura, del resto, che si presenta ben rapportata alla
gravità della condotta colposa addebitata all’imputato ed alle gravissime conseguenze che
ne sono scaturite ed a quelle che ne sarebbero potute scaturire.
La corte territoriale ha fatto, cioè, buon governo del potere discrezionale che, in punto di
trattamento sanzionatorio, la legge gli attribuisce, in esito a considerazioni di merito che
solo a lui spettano e che, se accompagnate da coerente motivazione, sono insindacabili
nella sede di legittimità.

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