Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34729 del 14/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 34729 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI NAPOLI
nei confronti di:
LONGOBARDI GENNARO
inoltre:
BENEDUCE GAETANO N. IL 01/01/1952
RUSSOLILLO GIACOMO N. IL 16/04/1955
avverso l’ordinanza n. 9338/2013 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
16/12/2013
slta la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;
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l e/sentite le conclusioni del PG Dott. —f14.2d z o pugszlz1 jAt 14c2. 4:‘,.to

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RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del Riesame di Napoli:
– ha annullato l’ordinanza emessa dal GIP del Tribunale della stessa città nei
confronti di LONGOBARDI GENNARO in ordine al delitto di estorsione di cui al
capo A) delle imputazioni provvisorie, per carenza dei gravi indizi di
colpevolezza (in proposito, il Tribunale del riesame, a prescindere dalle
incertezze relative alla data di commissione del fatto ipotizzato – in origine
cadente in epoca nella quale l’indagato era detenuto, e successivamente
anticipata all’anno 1997 -, aveva valorizzato l’incertezza dell’identificazione del

– ha confermato la predetta ordinanza coercitiva nei confronti di BENEDUCE
GAETANO e RUSSOLILLO GIACOMO.

Contro tale provvedimento, il P.M. territoriale (in danno del solo
LONGOBARDI GENNARO) e gli indagati BENEDUCE GAETANO e RUSSOLILLO
GIACOMO (entrambi con l’ausilio di un avvocato iscritto all’apposito albo
speciale) hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi,
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto
dall’art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.:
(ricorso F.M.):
I – mancanza e manifesta illogicità della motivazione;

(ricorso BENEDUCE GAETANO):
I – contraddittorietà della motivazione;

(ricorso RUSSOLILLO GIACOMO):
I – contraddittorietà della motivazione.

In data 8 maggio 2014 è stata depositata una memoria di replica
nell’interesse dell’indagato LONGOBARDI, con la quale è stata chiesta
declaratoria di inammissibilità del ricorso del P.M.

All’odierna udienza camerale, celebrata ex art. 127 c.p.p., si è proceduto al
controllo della regolarità degli avvisi di rito; all’esito, le parti presenti hanno
concluso come da epigrafe, e questa Corte Suprema, riunita in camera di
consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti.

LONGOBARDI – f. 13 ss.);

CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono tutti inammissibili perchè presentati per motivi non consentiti
e comunque generici e manifestamente infondati.

I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITA’ SULLA MOTIVAZIONE
DELLE ORDINANZE APPLICATIVE DI MISURE CAUTELARI PERSONALI
1. E’ necessario preliminarmente determinare i limiti entro i quali questa

ordinanze applicative di misure cautelari personali.

1.1. Secondo l’orientamento che il Collegio condivide e reputa attuale anche
all’esito delle modifiche normative che hanno interessato l’art. 606 c.p.p. (cui
l’art. 311 c.p.p. implicitamente rinvia), in tema di misure cautelari personali,
allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del
provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei
gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta <> (Cass. pen., Sez. un.,
sentenza n. 11 del 22 marzo 2000, CED Cass. n. 215828; nel medesimo senso,
dopo la novella dell’art. 606 c.p.p., Sez. IV, sentenza n. 22500 del 3 maggio
2007, CED Cass. n. 237012).

Considerato che la richiesta di cui all’art. 309 c.p.p., quale mezzo di
impugnazione sia pure atipico, ha la specifica funzione di sottoporre a controllo
la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati
nell’art. 292 c.p.p. e ai presupposti ai quali subordinata la legittimità del
provvedimento coercitivo (Cass. pen., Sez. Un., sentenza n. 11 dell’8 luglio
1994, CED Cass. n. 198212), si è sottolineato che, dal punto di vista
strutturale, la motivazione della decisione del tribunale del riesame deve essere
conformata al modello delineato dall’art. 292 c.p.p., che ricalca il modulo
configurato dall’art. 546 c.p.p., con gli adattamenti resi necessari dal
particolare contenuto della pronuncia cautelare, che non è fondata su prove ma
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su indizi e tende all’accertamento non di responsabilità ma di una qualific

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Corte Suprema può esercitare il sindacato di legittimità sulla motivazione delle

probabilità di colpevolezza (Cass. pen., Sez. Un., sentenza n. 11 del 21 aprile
1995, CED Cass. n. 202002).

1.2. Si è, più recentemente, osservato, sempre in tema di impugnazione
delle misure cautelari personali, che il ricorso per cassazione è ammissibile
soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la
manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della

riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Cass. pen., Sez.
V, sentenza n. 46124 dell’8 ottobre 2008, CED Cass. n. 241997; Sez. VI,
sentenza n. 11194 dell’8 marzo 2012, CED Cass. n. 252178).

L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p.) e delle
esigenze cautelari (art. 274 c.p.p.) è, quindi, rilevabile in cassazione soltanto se
si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o nella manifesta
illogicità della motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo
“all’interno” del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità non può,
infatti, riguardare la ricostruzione dei fatti.
Sarebbero, pertanto, inammissibili le censure che, pur formalmente
investendo la motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, dovendosi in sede
di legittimità accertare unicamente se gli elementi di fatto sono corrispondenti
alla previsione della norma incriminatrice.

1.3. Deve aggiungersi che sarebbe inammissibile anche il ricorso avverso il
provvedimento del Tribunale del riesame che deduca per la prima volta vizi di
motivazione inerenti ad argomentazioni presenti nel provvedimento genetico
della misura coercitiva che non avevano costituito oggetto di doglianza dinanzi
allo stesso Tribunale, non risultandone traccia né dal testo dell’ordinanza
impugnata, né da eventuali motivi o memorie scritte, né dalla verbalizzazione
delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate nell’udienza
camerale (Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 2927 del 22 aprile 1997, CED Cass.
n. 207759; Sez. I, sentenza n. 1786 del 5 dicembre 2003 – 21 gennaio 2004,
CED Cass. n. 227110; Sez. II, sentenza n. 42408 del 21 settembre 2012, CED
Cass. n. 254037), a nulla rilevando, in senso contrario, il fatto che il riesame sia
un mezzo di impugnazione totalmente devolutivo, poiché

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«in mancanza di

logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che

specifiche deduzioni difensive il Tribunale in sede di riesame legittimamente può
limitarsi, (…), a concordare “pienamente con la ricostruzione della sussistenza
del quadro indiziario risultante dalla richiesta del PM e dall’ordinanza del GIP”,
riassumendo, poi, i punti essenziali di tale quadro indiziario».

I RICORSI
2. Alla luce di queste necessarie premesse vanno esaminati gli odierni
ricorsi.

Sia il ricorso del P.M. che quelli degli indagati sollecitano una

rivalutazione degli elementi posti a fondamento della decisione impugnata,
proponendo una diversa ricostruzione dei fatti, senza’altro non consentita in
sede di legittimità, in difetto di travisamenti degli acquisiti elementi indiziari,
non documentati nei modi di rito e che, in verità, i ricorrenti neanche invocano.

2.2.

Le doglianze del P.M. – invero di per sé intrinsecamente

contraddittorie, poiché la motivazione del provvedimento impugnato non può
essere al tempo stesso promiscuamente censurata per mancanza e manifesta
illogicità, in quant.0 se tildliCa, non può essere inaiìifestainente illogica, e se è
manifestamente illogica, non manca – sono comunque meramente reiterative di
argomentazioni già motivatamente non accolte dal Tribunale del riesame, e
comunque manifestamente infondate.
La precisazione del PM in ordine alle ragioni per le quali – a dire dello stesso
PM – POTENZANO VINCENZO non aveva individuato il LONGOBARDI (f. 2 del
ricorso) non incide sulla situazione valorizzata dal provvedimento impugnato,
poiché, quale che ne fosse il motivo, il dichiarante non aveva comunque
identificato il LONGOBARDI.
Peraltro, il Tribunale, con rilievi esaurienti, logici e non contraddittori, come
tali incensurabili in questa sede, ha osservato che «vi è un’incertezza proprio
su un elemento fondamentale costituito dall’identificazione di LONGOBARDI
GENNARO, che non può fondarsi unicamente su quanto riferito de relato da un
soggetto che non lo conosceva in precedenza e che ne ha appreso l’identità in
modo non verificabile, poiché per rafforzare la pressione esercitata nei suoi
confronti è ben possibile che alcuno dei presenti abbia semplicemente speso il
nome di LONGOBARDI GENNARO, già allora conosciuto come uno degli elementi
di vertice del clan».
Il Tribunale ha, pertanto, motivatamente ritenuto, in difetto di una positiva
individuazione personale, l’insufficienza della dichiarazione de relato in oggetto’

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2.1.

non in astratto, bensì tenuto conto delle acquisite circostanze del caso concreto,
con apprezzamento in fatto esente da vizi censurabili in questa sede.

2.3. Estremamente generiche sono le doglianze degli indagati BENEDUCE
GAETANO e RUSSOLILLO GIACOMO.

2.3.1.

Il primo, sulla base di meri frammenti di dichiarazioni,

incompletamente riportate, pretende di evidenziare una contraddittorietà che
dal testo del provvedimento, al contrario esauriente e logico nel porre a

p.o. VINCENZO POTENZANO (che lo ha anche individuato in fotografia),
significativamente riscontrate (pur non essendovene processualmente bisogno)
da quelle di MASSIMILIANO POTENZANO); ed assolutamente non emerge
alcuna contraddizione sui tratti essenziali delle vicende riferite.

2.3.2. Il secondo, lamenta di essere stato <

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