Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34726 del 10/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 34726 Anno 2014
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Bertolami Salvatore,
avverso la sentenza 29.4.13 del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Antonio Manna;
udito il Procuratore Generale nella persona del Dott. Mario Fraticelli, che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore d’ufficio del ricorrente – Avv. Michele Gatto -, che ha concluso
per l’annullamento dell’impugnata sentenza in virtù dei motivi di cui al ricorso.

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza 29.4.13 il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, in parziale
riforma della sentenza dell’Ufficio del g.d.p. della stessa sede, dichiarava non
doversi procedere nei confronti di Salvatore Bertolami in ordine al reato p. e p. ex
art. 635 c.p., commesso ai danni della costituita parte civile Giuseppe Ferrara,
perché estinto per prescrizione, confermando le statuizioni civili emesse in prime
cure.
Salvatore Bertolami ricorre personalmente contro la sentenza, di cui chiede
l’annullamento per i seguenti motivi:

Data Udienza: 10/07/2014

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a) erronea applicazione dell’art. 635 c.p. e violazione del principio di
offensività, atteso che il danneggiamento aveva riguardato soltanto le
legature con filo di ferro con cui il Ferrara aveva unito il paletto fisso e
quello mobile d’un cancelletto;
b) vizio di motivazione ed omesso riconoscimento della causa di
giustificazione dell’art. 54 c.p., poiché il danneggiamento era scriminato
dallo stato di necessità, avendo quel giorno il ricorrente tagliato le legature

e quello mobile del predetto cancelletto, aveva di fatto impedito che il
Bertolami potesse uscire dal proprio fondo; del mancato riconoscimento
dell’esimente l’impugnata sentenza non aveva fornito motivazione alcuna.
Con memoria depositata il 1°.7.14 il difensore d’ufficio del ricorrente ha chiesto
di essere rimesso in termini (a cagione d’un proprio precedente stato di malattia)
al fine di far valere, quale ulteriore argomento a favore del proprio assistito, anche
l’aver il Bertolami reagito all’illegittimo spoglio del possesso da lui sofferto.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1- Il ricorso è fondato nei sensi qui di seguito chiariti.
Dall’accertamento del mero fatto processuale (consentito a questa S.C.) emerge
che nel proprio atto d’appello il Bertolami non si era limitato a contestare la
valutazione della deposizione della persona offesa operata dalla pronuncia di
primo grado, ma aveva altresì espressamente e motivamente invocato tanto
l’applicazione del principio di offensività — per escludere il reato – quanto
l’esimente dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p.
L’impugnata sentenza ha invece del tutto taciuto su tali specifiche doglianze,
coltivate con il ricorso per cassazione.
E si trattava di censure potenzialmente idonee ad escludere l’illiceità (penale e
civile) della condotta addebitata all’odierno ricorrente.
Quanto al principio di offensività, basti ricordare che questa S.C. ha già avuto
modo di affermare (cfr. Cass. Sez. II n. 6492/2003) che l’offensività in astratto
deve essere intesa come limite di rango costituzionale alla discrezionalità del
legislatore in materia di previsione delle fattispecie penalmente rilevanti e che
l’art. 25 Cost. postula un ininterrotto operare del principio di offensività, dal
momento dell’astratta predisposizione della norma incriminatrice a quello della

di fil di ferro a causa del fatto del Ferrara, il quale, legando il paletto fisso

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sua applicazione concreta da parte del giudice, al quale compete l’impedire,
attraverso un prudente apprezzamento della lesività in concreto, un’arbitraria
dilatazione della sfera dei fatti da ricondurre al modello legale.
Nello stesso senso è anche la giurisprudenza costituzionale (v., ex aliis, Corte
cost. n. 360/1995, n. 247/1997, n. 263/2000; riguardo alla verifica della lesività in
concreto, v., ancora, le sentenze nn. 519 e 531 del 2000).
Tale apprezzamento – benché ritualmente sollecitato dal Bertolami – è stato

pronunciarsi sull’invocato riconoscimento dell’esimente di cui all’art. 54 c.p.
Né emerge una qualche motivazione implicita a riguardo, atteso che sia la
sentenza di primo grado che quella d’appello si sono limitate a concentrare la
propria attenzione soltanto sull’avvenuto taglio del fil di ferro ad opera del
Bertolami: non hanno però chiarito l’esatto contesto in cui l’azione è avvenuta,
l’esistenza o meno d’un improvviso spoglio a suo danno di una servitù attiva di
passaggio (che avrebbe legittimato l’applicazione in sede possessoria del
principio secondo cui vim vi repellere licet, in tal caso penalmente traducibile
come esercizio del diritto e, quindi, come scriminante ex art. 51 c.p.), oppure una
situazione di impossibilità — per l’odierno ricorrente — di uscire dal proprio fondo
se non recidendo il fil di ferro di cui si è detto (con conseguente ravvisabilità della
scriminante di cui all’art. 54 c.p.).
In breve, la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione non
esimeva il giudice d’appello dal fornire — in risposta a specifici motivi di gravame
– un’adeguata motivazione sulla responsabilità dell’imputato ai fini delle
statuizioni civili, sicché il ricorso va accolto.
Consegue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice civile
competente per valore in grado di appello, a norma dell’art. 622 c.p.p. (cfr. Cass.
S.U. n. 40109 del 18.7.13, dep. 27.9.13).
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale,
annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore
in grado di appello.
Così deciso in Roma, in data 10.7.14.

,

completamente omesso dalla sentenza impugnata, che ha altresì trascurato di

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