Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34725 del 10/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 34725 Anno 2014
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: RAGO GEPPINO

Data Udienza: 10/07/2014

SENTENZA
su ricorso proposto da:
WIND TELECOMUNICAZIONI SPA avverso la sentenza del 28/06/2013
della Corte di Appello di Potenza pronunciata nei confronti di DURANTE
NUNZIA nata il 01/07/1979;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Mario Fraticelli che ha
concluso per il rigetto;
FATTO
1.

Con sentenza del 02/04/2012, il giudice monocratico del

tribunale di Matera assolveva DURANTE Nunzia dal reato di cui all’art.
640 e 61 n° 11 cod. pen. perché il fatto non costituisce reato.

2.

Avverso la suddetta sentenza, la parte civile Wind

Telecomunicazione s.p.a. proponeva appello, ai soli effetti civili.
Con sentenza del 28/06/2013, la Corte di Appello di Potenza, in
riforma della sentenza impugnata, dichiarava, ai soli effetti civili, che il

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reato si era estinto in data 11/09/2011 e, quindi, prima della pronuncia
della sentenza di primo grado, sicchè, rigettava l’impugnazione.

3. Avverso la suddetta sentenza, la parte civile Wind
Telecomunicazione s.p.a. proponeva ricorso per cassazione deducendo i

3.1.

VIOLAZIONE DELL’ART.

576

COD. PROC. PEN.: la

ricorrente, infatti,

afferma che «non vi è alcun dubbio che il reato si è prescritto prima
della sentenza di primo grado, ma la Corte, anche senza emettere una
decisione, specifica sul risarcimento del danno, avrebbe ben potuto
“entrare nel merito” della vicenda al fine di accertare incidentalmente i
fatti, così come richiesto dalla parte civile. Così facendo, infatti, i diritto
della parte civile tesi a rimuovere un provvedimento pregiudizievole al
fine di ottenere, di contro, una sentenza dal contenuto favorevole (e da
utilizzare in sede civile per la quantificazione del danno) sono stati
irrimediabilmente compromessi»;
3.2.

VIOLAZIONE DELL’ART.

592

COD. PROC. PEN.

per avere la Corte

erroneamente condannato la parte civile al pagamento delle spese
processuali.
DIRITTO
1. VIOLAZIONE DELL’ART.

576

COD. PROC. PEN.: la

censura è infondata

per le ragioni di seguito indicate.
In punto di fatto, è pacifico che la prescrizione era maturata prima
della decisione di primo grado.
Di fronte a tale evenienza, il primo giudice (non avendo l’imputata
rinunciato alla prescrizione), si trovava di fronte a due possibilità:
a) dichiarare, ex art. 531 cod. proc. pen., la prescrizione, sicchè,
ex art. 538/1 cod. proc. pen. (letto a contrario) non avrebbe potuto
pronunciare alcuna statuizione a favore della parte civile, la quale,
quindi, avrebbe potuto far valere le sue ragione, ex novo, in sede civile
sia in ordine all’an che al quantum debeatur: in terminis SSUU civ
1768/2011 Rv. 616366 secondo le quali «in tema di giudicato, la

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seguenti motivi:

A

disposizione di cui all’art. 652 cod. proc. pen., cosi come quelle degli
artt. 651, 653 e 654 dello stesso codice costituisce un’eccezione al
principio dell’autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile e
non è, pertanto, applicabile in via analogica oltre i casi espressamente
previsti. Ne consegue che soltanto la sentenza penale irrevocabile di

l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto
nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima),
pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel
giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del
danno, mentre le sentenze di non doversi procedere perché il reato è
estinto per prescrizione o per amnistia non hanno alcuna efficacia
extrapenale, a nulla rilevando che il giudice penale, per pronunciare la
sentenza di proscioglimento, abbia dovuto accertare i fatti e valutarli
giuridicamente; ne consegue, altresì, che, nel caso da ultimo indicato il
giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede
penale, deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in
contestazione»;
b) assolvere con formula piena, nonostante la causa di estinzione
del reato, l’imputato, ex art. 129/2 cod. proc. pen., stante l’evidenza
della prova a suo favore, con ovvio e consequenziale rigetto della
domanda della parte civile.
Il primo giudice, ha ritenuto di assolvere l’imputata con la formula
perché il fatto non costituisce reato, nonostante la causa di estinzione.
A fronte di una tale situazione processuale, la parte civile non ha
alcun interesse ad impugnare la sentenza di primo grado perché,
qualunque sia l’esito del giudizio di appello, in ogni caso la sua domanda
non potrebbe essere accolta.
Infatti, il giudizio di appello, non può che avere due alternativi
esiti:
a) la Corte conferma l’assoluzione, nonostante la prescrizione: in
tal caso, la domanda della parte civile, ovviamente, non può che essere
respinta così come lo era stata in primo grado;

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assoluzione (per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che

b) la Corte, andando in contrario avviso del primo giudice, dichiara
la prescrizione: ma, in tal caso, la suddetta pronuncia, avrebbe un
effetto “retroattivo”, proprio perché la declaratoria di prescrizione
sarebbe effettuata con riferimento ad un momento antecedente al
giudizio di primo grado. In altri termini, la pronuncia di appello si

anche in questo caso, in virtù dell’art. 538/1 cod. proc. pen., la
domanda della parte civile non potrebbe trovare accoglimento.
Nel caso di specie, la Corte ha optato per quest’ultima soluzione,
sicchè la conclusione alla quale è pervenuta è del tutto corretta.
Errata è la pretesa della parte civile di ottenere un “giudizio
incidentale” nel merito: ciò è precluso proprio dalla circostanza che la
prescrizione era maturata prima della decisione di primo grado sicchè
alla suddetta pretesa è di ostacolo il disposto dell’art. 538/1 cod. proc.
pen.
In altri termini, una volta che la prescrizione sia maturata prima
della sentenza di primo grado, la parte civile – fatta salva l’ipotesi che
l’imputato rinunci alla prescrizione – si vede definitivamente preclusa la
possibilità di vedere tutelate, in sede penale, le sue ragioni, perché,
qualunque sia l’esito del giudizio (o declaratoria di prescrizione o
assoluzione ex art. 129/2 cod. proc. pen.), il giudice non può decidere
sulle statuizioni civili.
E la parte civile, ovviamente, non può rimediare alla suddetta
situazione, con l’impugnazione, perché in grado di Appello – dove il
giudice decide con gli stessi poteri e gli stessi limiti del giudice di primo
grado – qualunque sia la decisione, la situazione non può mutare a suo
favore.
Quanto appena detto trova un riscontro nella sentenza n°
19540/2013 Rv. 255668 che, nel ribadire il principio di diritto enunciato
da Cass. 47356/2009 Rv. 246795 («Il giudice d’appello, nel dichiarare
l’estinzione del reato per prescrizione su impugnazione della sentenza di
assoluzione ad opera della parte civile, non può condannare l’imputato
al risarcimento dei danni in favore di quest’ultima nel caso in cui la
prescrizione non sia sopravvenuta ma si sarebbe dovuta pronunziare fin

4

sostituirebbe integralmente a quella di primo grado, con l’effetto che,

dal primo grado in luogo dell’assoluzione»), ha appunto, ha statuito che
«la parte civile non è legittimata a proporre appello, neppure in via
incidentale, avverso la sentenza dichiarativa di estinzione del reato per
prescrizione, almeno quando quest’ultima sia maturata prima della
pronuncia della sentenza di primo grado».

censurare l’errore in cui è incorso il primo giudice nel computo della
prescrizione: in altri termini, la parte civile ha un interesse ad
impugnare solo ove sostenga che la prescrizione non è maturata prima
della sentenza di primo grado. In tale ipotesi, ha interesse
all’impugnazione proprio perché, tendendo a rimuovere l’errore in cui è
incorso il primo giudice, ha possibilità di ottenere una pronuncia nel
merito e, quindi, a rimuovere l’ostacolo processuale di cui all’art. 538/1
cod. proc. pen.

(in terminis Cass. 9263/2012 riv 252706; Cass.

40069/2013 Rv. 256356): ma non è questa la fattispecie in esame.

2.

VIOLAZIONE DELL’ART.

592

COD. PROC. PEN.:

corretta ed

incensurabile deve ritenersi, sul punto, la decisione della Corte
territoriale, non essendovi alcun dubbio sulla soccombenza
dell’appellante parte civile

3. In conclusione,

l’impugnazione deve rigettarsi con

conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese
processua li.
P.Q.M.
RIGETTA
il ricorso e
CONDANNA
la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma 10/07/2014

E’ ammissibile, invece, l’appello, ove la parte civile tenda a

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