Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34722 del 14/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 34722 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SOLERI EMANUELE N. IL 13/02/1970
avverso la sentenza n. 257/2010 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
24/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. -Fu& io har2ett
che ha concluso per 2 i
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 14/05/2014

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RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Bologna, in
parziale riforma della sentenza emessa in data 18 giugno 2008 dal Tribunale
di Rimini (che aveva dichiarato l’odierno ricorrente EMANUELE SOLERI
colpevole del reato di truffa aggravata commesso in danno di MASSIMO e
ROBERTO BUFFAGNI, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, oltre alle
statuizioni accessorie, anche in favore delle parti civili), ha dichiarato estinto
per intervenuta prescrizione il reato ascritto all’odierno ricorrente,

Contro tale provvedimento, l’imputato (con l’ausilio di due avvocati iscritti
nell’apposito albo specia!e) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i
seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.:
I – «vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione: travisamento di prove decisive ai fini della decisione con
riferimento al capo della sentenza attinente [al]la declaratoria di estinzione
del reato per intervenuta prescrizione e la conseguente conferma delle
statuizioni civili. Erronea applicazione dell’art. 640 c.p. con riferimento
all’elemento costitutivo degli artifici e raggiri del reato di truffa»;
Il – «vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione: travisamento di prove decisive ai fini della decisione con
riferimento al capo della sentenza attinente [al]la declaratoria di estinzione
del reato per intervenuta prescrizione e la conseguente conferma delle
statuizioni civili. Erronea applicazione dell’art. 640 c.p. con riferimento
all’elemento costitutivo della “induzione in errore” nel reato di truffa»;
III – «vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione: travisamento di prove decisive ai fini della decisione con
riferimento al capo della sentenza attinente [al]la declaratoria di estinzione
del reato per intervenuta prescrizione e la conseguente conferma delle
statuizioni civili. Erronea applicazione dell’art. 640 c.p. con riferimento
all’elemento soggettivo del reato di truffa»;
IV – «erronea applicazione dell’art. 640 c.p. con riferimento all’elemento
costitutivo del reato di truffa rappresentato dall’atto di disposizione
patrimoniale del soggetto passivi»;

confermando le statuizioni civili.

V – «erronea applicazione dell’art. 640 c.p. con riferimento all’elemento

costitutivo del reato di truffa rappresentato dal “danno”»;
VI – «contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con

riferimento alle incertezze della Corte circa la qualificazione del fatto come
truffa tentata o consumata. Conseguente contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione in ordine alla conferma delle statuizioni civili».
In data 23 aprile 2014 è stata depositata memoria nell’interesse delle

chiesto il rigetto integrale del ricorso, con conferma delle statuizioni civili.

All’odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di
rito; all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e questa
Corte Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo
in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è integralmente inammissibile, perché presentato per motivi in
parte non consentiti, in parte generici e manifestamente infondati.

1. E’ necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità
sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati
dall’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., come vigente a seguito delle
modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che, a parere di questo collegio, la
predetta novella non ha comportato la possibilità, per il giudice della legittimità,
di effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a
sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito,
dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza delle
considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo
convincimento.

La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali può,
soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d.
«travisamento della prova»

(consistente nell’utilizzazione di

un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova,
accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il
carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a
critica), purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si
pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla

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parti civili MASSIMO e ROBERTO BUFFAGNI, che hanno conclusivamente

natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura
senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata
una monca individuazione od un esame parcellizzato.
Permane, al contrario, la non deducibilità, nel giudizio di legittimità, del

travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di
sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta
nei precedenti gradi di merito (Sez. VI, sentenza n. 25255 del 14 febbraio 2012,

1.1. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art. 606,
comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far valere il vizio di «travisamento della
prova>> deve, a pena di inammissibilità (Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 20344
del 18 maggio 2006, CED Cass. n. 234115; Sez. VI, sentenza n. 45036 del 2
dicembre 2010, CED Cass. n. 249035):
(a)

identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la

doglianza;
(b)

individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto

emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta
nella sentenza impucinata;
(c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio
invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova
si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del
dibattimento;
(d)

indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e

compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della
motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno

CED Cass. n. 253099).

dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.

1.2. Questa Corte Suprema ha anche già chiarito che è inammissibile, per
difetto di specificità (Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile
2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8
agosto 2013, CED Cass. n. 256133), il ricorso che riproponga pedissequamente
le censure dedotte come motivi di appello (ai più con l’aggiunta di frasi
incidentali contenenti contestazioni, meramente assertive ed apodittiche, della

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correttezza della sentenza impugnata) senza prendere in considerazione, per

3

confutarle, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano
stati accolti.
Si è, infatti, esattamente osservato (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21
gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584) che «La funzione tipica
dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento
cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di
motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare
specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni
PgSenziale

dell’atto di impugnazione è, pertanto,

innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica
indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il
dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si
contesta).

Il motivo di ricorso in cassazione è caratterizzato da una “duplice
specificità”: «Deve essere sì anch’esso conforme all’art. 581 c.p.p., lett. C (e
quindi contenere l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che
sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell’impugnazione); ma quando
“attacca” le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì,
contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo
che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall’art. 606 c.p.p.,
comma 1, lett. e), deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della
sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per
giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente»
(Sez. VT, sentenza n 8700 dei 21 gennaio – 21 febbraio 2013 ; CED Cass. n.

254584).
Risulta, pertanto, evidente che,

«se il motivo di ricorso si limita a

riprodurre il motivo d’appello, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo
meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica
argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il
provvedimento ora formalmente ‘attaccato’, lungi dall’essere destinatario di
specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato. Nè tale forma di
redazione del motivo di ricorso (la riproduzione grafica del motivo d’appello)
potrebbe essere invocata come implicita denuncia del vizio di omessa
motivazione da parte del giudice d’appello in ordine a quanto devolutogli
nell’atto di impugnazione. Infatti, quand’anche effettivamente il giudice
d’appello abbia omesso una risposta, comunque la mera riproduzione grafica del
motivo d’appello condanna il motivo di ricorso all’inammissibilità. E ciò per
almeno due ragioni. È censura di merito. Ma soprattutto (il che vale anche per

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richiesta. Contenlito

l’ipotesi delle censure in diritto contenute nei motivi d’appello) non è mediata
dalla necessaria specifica e argomentata denuncia del vizio di omessa
motivazione (e tanto più nel caso della motivazione cosiddetta apparente che, a
differenza della mancanza “grafica”, pretende la dimostrazione della sua mera
“apparenza” rispetto ai temi tempestivamente e specificamente dedotti);
denuncia che, come detto, è pure onerata dell’obbligo di argomentare la
decisività del vizio, tale da imporre diversa conclusione del caso».
Può, pertanto, concludersi che

«la riproduzione, totale o parziale, del

circostanze costituisce incombente essenziale dell’adempimento dell’onere di
autosufficienza del ricorso), ma solo quando ciò serva a “documentare” il vizio
enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che,
ancora indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso e
con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta dei principi
consolidati in materia di “motivazione per relazione” nei provvedimenti
giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei parametri della prima
sentenza con i motivi d’appello e della seconda sentenza con i motivi di ricorso
per cassazione, trovano piena applicazione anche in ordine agli atti di
impugnazione» (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio
2013, CED Cass. n. 254584).

1.3. Il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni
svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono essere disattese per
implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente
incompatibilità con la ricostruzione effettuata (per tutte, Cass. pen., Sez. VI,
sentenza n. 1307 del 26 settembre 2002 – 14 gennaio 2003, CED Cass. n.
223061).
Inoltre, in presenza di una doppia conforma affermazione di responsabilità,
va ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza d’appello

per

relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le censure formulate
contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti
diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello,
nell’effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la
sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente
riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il
primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non
specificamente e criticamente censurate.

motivo d’appello ben può essere presente nel motivo di ricorso (ed in alcune

In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello,
fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed
inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della
congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano
esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo
grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi
logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due
gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., Sez. II, sentenza n.

sentenza n. 13926 del 1° dicembre 2011 – 12 aprile 2012, CED Cass. n.
252615).

2. Ciò premesso, i motivi (che possono essere esaminati congiuntamente):
– da un lato, sollecitano una rivalutazione degli elementi posti a fondamento
della decisione impugnata, proponendo una diversa ricostruzione dei fatti,
senza’altro non cons tta in sede di legittimità, in difetto di travisamenti degli
4

acquisiti elementi

Crt.;

meramente invocati, ma in realtà non documentati

(giacchè quelli cui il ricorrente ha fatto insistito riferimento sono, in realtà, meri
ed indeducibili travisamenti del fatto);

li

– dall’altro, si risolvono in una più o meno pedissequa reiterazione di
censure già costituenti oggetto dell’appello e già motivatamente disattese dalla
Corte di appello.
Inoltre, tutte le violazioni di legge dedotte sono del tutto insussistenti: le
relative doglianze sono, pertanto, manifestamente infondate.

2.1. La Corte di appello, con rilievi esaurienti, logici, non contraddittori, e
pertanto incensurabili in questa sede, con i quali il ricorrente non si confronta
con la necessaria specificità, limitandosi a reiterare più o meno
pedissequamente censure già costituenti oggetto di appello, e già
motivatamente ritenute infondate, ha compiutamente ricostruito le vicende de
quibus

ed indicato gli elementi posti a fondamento dell’affermazione di

responsabilità, valorizzando, in particolare, in accordo con la sentenza di primo
grado, come è fisiologico in presenza di una doppia conforme affermazione di
responsabilità (f. 7 ss.), la articolata condotta del SOLERI (in parte attiva, in
parte omissiva, ina nei compiesso certamente fraudolenta, e quindi idonea a
costituire i necessari raggiri od artifizi) consistita – nell’ambito del groviglio di
rapporti giuridici intercorrenti fra le parti (per la cui ricostruzione non può che
farsi rinvio al capo di imputazione ed alla parte descrittiva della sentenza
impugnata -:

6

1309 del 22 novembre 1993 – 4 febbraio 1994, CED Cass. n. 197250; Sez. III,

- nella predisposizione (agendo in questo momento in apparenza
nell’interesse dei BUFFAGNI) di un ordine di bonifico inesatto per difetto in
favore della COVIGNANO 260 s.a.s., del quale il SOLERI era al tempo stesso

dominus, unitamente al proprio genitore (la artata predisposizione del bonifico
insufficiente è stata incensurabilmente desunta dalla Corte di appello dalla altrimenti immotivata – dicitura <

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