Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34675 del 05/06/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 34675 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DEJU COSTEL CATALIN N. IL 06/08/1988
avverso la sentenza n. 4464/2011 GIP TRIBUNALE di AREZZO, del
03/11/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;

Data Udienza: 05/06/2013

Osserva

Ricorre per cassazione Deju Costei Catalin avverso la sentenza emessa in data 3.11.2011 ai
sensi dell’art. 444 c.p.p. dal G.i.p. del Tribunale di Arezzo con la quale veniva applicata al
predetto la pena concordata di anni due, mesi quattro di reclusione ed C 400,00 di multa per i
delitti di ricettazione e di furto pluriaggravato.
Deduce il vizio motivazionale in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti
generiche.

Come questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr. ex plurimis, Cass. pen. Sez. Un., n.
10372 del 27.9.1995, Rv. 202270, Serafino), l’obbligo della motivazione della sentenza di
applicazione concordata della pena va conformato alla particolare natura della medesima e
deve ritenersi adempiuto qualora il giudice dia atto, ancorché succintamente, come nel caso di
specie, di aver proceduto alla delibazione degli elementi positivi richiesti (la sussistenza
dell’accordo delle parti, la corretta qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione di eventuali
circostanze ed il giudizio di bilanciamento, la congruità della pena, la concedibilità della
sospensione condizionale della pena ove la efficacia della richiesta sia ad essa subordinata) e di
quelli negativi (che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma
dell’articolo 129 c.p.p.).
Nè può l’imputato che abbia consentito all’applicazione della pena, rimettere in discussione gli
altri profili oggettivi o soggettivi della responsabilità e non può, in particolare, proporre in sede
di legittimità eccezioni o censure attinenti al merito nè recriminare sulla qualificazione giuridica
del fatto e la ricorrenza delle circostanze o la congruità della pena a meno che si tratti di
statuizioni palesemente illegittime: evenienza questa che, nel caso di specie, è senz’altro da
escludere.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene
equo liquidare in C 1.500,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di
colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 5.6.2013

Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi manifestamente infondati.

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