Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3463 del 19/12/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3463 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GARLANDA ALESSANDRO N. IL 13/11/1979
avverso la sentenza n. 1547/2013 CORTE APPELLO di TORINO, del
10/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/12/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.

Maria Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso;

arditt~ r-A-vv)

Data Udienza: 19/12/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Torino, con sentenza del 10/01/2014, ha riformato
la sentenza emessa in data 18/07/2012 dal Tribunale di Vercelli nei confronti di
Garlanda Alessandro, ritenuto responsabile del reato previsto dall’art. 624 bis
cod. pen., escludendo l’aggravante di cui all’art.61 n.7 cod. pen. e dichiarando le
circostanze attenuanti generiche prevalenti sull’altra aggravante contestata,
prevista dall’art.61 n.11 cod. pen. L’imputato è stato ritenuto responsabile di

aprile 2004, di alcuni indumenti di pregio sottraendoli dall’abitazione di Griffa
Giovanna, con l’aggravante dell’abuso della relazione di ospitalità derivante
dall’abituale frequentazione della casa, e condannato in grado di appello alla
pena di mesi otto di reclusione ed euro 200,00 di multa.

2. Alessandro Garlanda ricorre per cassazione censurando la sentenza
impugnata per vizio di omessa motivazione. Secondo il ricorrente, pur avendo la
Corte di Appello riformato la sentenza di primo grado accogliendo tutte le istanze
dell’appellante, la pronuncia sarebbe, tuttavia, carente sul punto concernente la
mancata assoluzione. Richiama, a sostegno del motivo d’impugnazione, la
giurisprudenza di legittimità secondo la quale il giudice di appello che riformi,
anche solo parzialmente, la sentenza impugnata ha il dovere di indicare
specificamente le ragioni giustificative della decisione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è inammissibile.

2. Come costantemente affermato dalla Corte di Cassazione (ex plurimis,
Sez.6, n.8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584), la funzione tipica
dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui
si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di
motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod.proc.pen.), devono
indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono
ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto,
innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica
indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il
dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.
Il motivo di ricorso in cassazione, poi, è caratterizzato da una duplice specificità.
Deve essere sì anch’esso conforme all’art. 581 lett.c) cod.proc.pen. (e quindi
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essersi impossessato, in epoca antecedente e prossima alla prima decade di

contenere l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che
sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell’impugnazione); ma quando
censura le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì,
contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, così che
esso sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall’art. 606,comma 1,
lett. e) cod.proc.pen., deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della
sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per

3. La censura mossa nel ricorso è in palese contrasto con il testo della
sentenza impugnata, che a pag.8 ha espressamente esaminato il motivo di
appello concernente l’asserita insufficienza del compendio istruttorio a
dimostrare la colpevolezza dell’imputato; la Corte territoriale ha, in proposito,
ricordato come fosse stata acquisita la prova che Alessandro Garlanda si fosse
impossessato di una copia delle chiavi di casa della vittima custodite in luogo
facilmente accessibile e si fosse, quindi, introdotto nel locale destinato a
lavanderia contro la volontà della proprietaria, successivamente restituendo alla
persona offesa parte della refurtiva ed indicando ai Carabinieri dove fossero gli
altri indumenti sottratti, da tali elementi desumendo la conferma del giudizio di
colpevolezza espresso dal giudice di primo grado.

4. A ciò deve aggiungersi l’evidente inconferenza del richiamo contenuto nel
ricorso all’orientamento interpretativo del giudice di legittimità che impone un
particolare obbligo di motivazione nel caso in cui il giudice dell’appello ritenga di
riformare la sentenza di primo grado. Si tratta di un principio interpretativo
espresso con riferimento all’interesse del pubblico ministero ad impugnare per
vizio di motivazione la sentenza assolutoria emessa dal giudice di appello in
riforma della sentenza di condanna in primo grado (Sez. U, n.33748
del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013,
dep.2014, Ricotta, Rv. 258005), ovvero all’interesse dell’imputato a censurare
per vizio di motivazione la sentenza di appello che abbia riformato in peius la
sentenza assolutoria del primo giudice. Mette conto, infatti, sottolineare come la
codificazione di tale principio abbia assunto, nella giurisprudenza della Corte,
particolare rilievo nel giudizio di legittimità circa la motivazione della sentenza di
appello che abbia riformato la sentenza di assoluzione in primo grado (Sez.
6,n.1266 del 10/10/2012, dep. 2013, Andrini, Rv. 254024; Sez. 2, n.11883 del
8/11/2012, dep. 2013, Berlingeri, Rv. 254725; Sez.6, n.8705 del 24/01/2013,
Farre, Rv. 254113), anche in relazione ai principi affermati in materia dalla CEDU
(Corte EDU 5/07/2011, Dan c. Moldavia, parr. 32 e 33), imponendo, in tale
3

giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente.

ipotesi, particolare rigore metodologico ed argomentativo al giudice di secondo
grado. Si tratta, pertanto, di un principio che non può essere validamente
invocato dall’imputato che lamenti la riforma in senso favorevole della pronuncia
di primo grado sul mero presupposto del rigetto dei motivi di gravame tendenti
all’assoluzione.

5. Tenuto conto della sentenza Corte Cost. n.186 del 13 giugno 2000 e
rilevato che non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto

inammissibilità”, alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art.616
cod.proc.pen. l’onere delle spese del procedimento e del versamento di una
somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione
delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di €.1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 19/12/2014

ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di

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