Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34600 del 09/06/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 34600 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DEBARRE CRISTINA N. IL 07/01/1975
DEBARRE MARIA TERESA N. IL 04/06/1968
avverso la sentenza n. 3036/2012 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 14/06/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;

Data Udienza: 09/06/2014

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Bologna ha confermato la sentenza emessa in
data 17 gennaio 2008 dal Tribunale di Modena, appellata da DEBARRE Cristina e DEBARRE
Maria Teresa, dichiarate responsabili del delitto di furto aggravato in concorso, commesso il 22
dicembre 2005.
Propongono ricorso per cassazione le imputate deducendo violazione di legge sul ritenuto ricorrere dell’aggravante della violenza alle cose ed, in caso di accoglimento del primo motivo, per
l’inidoneità della proposta querela presentata da soggetto non autorizzato.
Osserva il Collegio che il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato in entrambe le prospettazioni.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, n. 40354 del 18/7/2013 Rv. 255975) il bene
giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali
personali o di godimento, ma anche nel possesso – inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità – che si configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino
quando esso si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la legittimazione a proporre querela; sulla base del principio di cui sopra ben è riconoscibile al responsabile
di un supermercato la legittimazione a proporre querela per il delitto di furto commesso in danno
del punto vendita di cui è responsabile.
Manifestamente infondata anche la doglianza relativa al sussistere dell’aggravante, considerato
che come hanno osservato i giudici del merito, l’azione delle imputate nei confronti del portellone chiuso del veicolo da cui era stato sottratto il computer e la restante refurtiva, era pur sempre
stata connotata dalla violenza e, in ogni caso, aveva comportato la forzatura di una serratura
chiusa, non aperta con le chiavi in dotazione, unico mezzo per un’apertura che si possa qualificare non violenta.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna delle ricorrenti
al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità
dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in €. 1.000,00# per ognuna.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuna al versamento della somma di C. 1.000,00# alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il giugno 2014.

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