Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34570 del 09/06/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 34570 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: SABEONE GERARDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
AVDURAMANI ALTIN N. IL 28/07/1973
avverso la sentenza n. 2580/2009 CORTE APPELLO di BARI, del
11/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GERARDO SABEONE ;

Data Udienza: 09/06/2014

RITENUTO IN FATTO
– che con l’impugnata sentenza la Corte di Appello di Bari ha riformato la
sentenza di prime ed ha mantenuto ferma la condanna di Avduramani Altin per il
reato di possesso di documento d’identificazione falso (articolo 497 bis
cod. pen.);

l’imputato, a mezzo del proprio difensore e con due distinti ricorsi, denunciando
una motivazione illogica in merito al trattamento sanzionatorio e una violazione
di legge riguardo alla qualificazione giuridica del reato di cui all’articolo 497 bis
cod.pen..
CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va dichiarato inammissibile poiché la quantificazione della
pena può essere sindacata avanti questi Giudici di legittimità soltanto
allorquando sia stata effettuata in limiti superiori a quelli edittali ovvero in
maniera illogica; la determinazione in concreto della pena, infatti, costituisce il
risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari
elementi offerti dalla legge, sicché l’obbligo della motivazione da parte del
Giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in
relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata
l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla
adeguata o non eccessiva; ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure
intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’articolo 133 cod.pen.
ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello;
– che il ricorso, inoltre, si sostanzia in una molto generica ed indebita
contestazione circa una presunta violazione di legge contenuta nell’impugnato
provvedimento; trattasi, però, di doglianza che, oltre ad essere meramente
assertiva, passa del tutto sotto silenzio la pur esistente motivazione offerta sul
punto dalla Corte territoriale con rispetto, peraltro, della pacifica giurisprudenza
sul punto della corretta qualificazione dell’ascritto reato di cui all’articolo 497 bis
cod.pen.; le fattispecie di possesso e fabbricazione di documenti d’identità falsi,
di cui all’articolo 497 bis cod.pen., sono state introdotte dal legislatore tra i reati
contro la fede pubblica nel capo dedicato a quelli concernenti le falsità personali
al fine di rendere più severa la repressione penale dei comportamenti tesi ad
ostacolare l’identificazione delle persone (come suggerisce la stessa rubrica
1

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione

dell’articolo del D.L. n. 144 del 2005 che ha configurato la nuova disposizione);
non può, dunque, dubitarsi che il bene giuridico oggetto delle nuove
incriminazioni sia la pubblica fede personale, ancorché tutelato in maniera
indiretta, tanto da rimanere sullo sfondo, attraverso la punizione di condotte che
sembrano anticipare perfino il pericolo di una lesione o che comunque si rivelano
solo astrattamente idonee a generarlo; ciò che rileva ai fini della sussistenza del

possesso del documento contraffatto e non anche l’uso dello stesso né l’effettivo
realizzarsi dell’espatrio (v. Cass. Sez. V 18 luglio 2012 n. 39408);
– che il falso c.d. grossolano non punibile sia soltanto quello facilmente
riconoscibile ictu oculi anche da persone del tutto sprovvedute, mentre non è
tale quello che richieda una certa attenzione per il riconoscimento della
falsificazione (v. da ultimo Cass. Sez. V 13 luglio 2011 n. 38349), il che non è
stato neppure posto in discussione con l’atto di appello;
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di
cui all’articolo 616 cod.proc.pen., ivi compresa, in assenza di elementi che
valgano ad escludere ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta
sanzione pecuniaria, il cui importo stimasi equo fissare in euro mille;
P. T. M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore
della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2014.

reato è infatti già la materiale falsificazione dell’atto certificativo o il mero

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