Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34558 del 07/05/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 34558 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
INGRASSIA FABRIZIO FEDERICO N. IL 24/07/1975
avverso la sentenza n. 2004/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
27/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

H.

Aeg

Udito, per 1 3arte
– civile, l’Avv
Uditi difeydor Avv.

Data Udienza: 07/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 27 gennaio 2012, la Corte d’Appello di Milano ha
confermato la sentenza del 13 dicembre 2010, con la quale il Tribunale di Busto
Arsizio condannava – a seguito di rito abbreviato – Ingrassia Fabrizio Federico
in relazione ai reati di cui agli artt. 81 cpv, 337 e 341 bis cod. pen. (capo A) e di
cui agli artt. 81 cpv, 582 e 585 in relazione all’art. 61 n. 2 cod. pen. (capo B),
commessi in data 31 ottobre 2010.

della sentenza per violazione dell’art. 449, comma 4, cod. proc. pen.,
evidenziando come il termine ivi previsto si riferisca esclusivamente al pubblico
ministero, che deve presentare l’arrestato in udienza davanti al giudice entro il
termine indicato e non all’inizio effettivo del dibattimento: nel caso di specie, il
pubblico ministero ha messo, in data 11 novembre 2010, l’imputato a
disposizione del Tribunale, che ha fissato la celebrazione del giudizio direttissimo
per il 6 dicembre 2010.
La Corte ha quindi rilevato che, nella fattispecie, sussiste l’aggravante di cui
all’art. 61 n. 2 cod. pen. sicché il reato è procedibile d’ufficio; che dagli atti di
P.G. emerge una serie di comportamenti violenti e minatori posti in essere
dall’imputato allo scopo di impedire agli operanti di procedere all’atto dell’ufficio,
sicché ricorrono gli estremi del reato di resistenza a pubblico ufficiale e che non
v’è materia per ritenere sussistente sotto alcun profilo l’invocata scriminante
della reazione legittima all’atto arbitrario del pubblico ufficiale; che la pena è
stata congruamente determinata.

2. Avverso il provvedimento ha presentato personalmente ricorso Ingrassia
Fabrizio Federico, difeso di fiducia dall’Avv. Fortunata Copelli, chiedendone
l’annullamento per i seguenti motivi:
2.1. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ed
inosservanza di norme processuali in relazione alla violazione degli artt. 449 e
452 cod. proc. pen., atteso che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte
d’appello, nel caso di specie, l’assistito è stato arrestato in flagranza il 31 ottobre
2010, l’udienza di convalida si è tenuta in data 3 novembre 2010 ed il giudizio
direttissimo è stato celebrato il 6 dicembre 2010, dunque ben oltre 30 giorni
dall’arresto e dall’iscrizione della notizia di reato, con conseguente nullità della
sentenza, essendo il vizio stato eccepito nel termine indicato dall’art. 491 comma
1 cod. proc. pen.
2.2. Inosservanza o erronea applicazione di norma penale, in relazione agli
artt. 337 e 341 bis cod. pen., atteso che la condotta dell’assistito non ha

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In primo luogo, il giudice di secondo grado ha rigettato l’eccezione di nullità

impedito in concreto l’attività del pubblico ufficio, in quanto antecedente e non
simultanea rispetto ad essa; nella fattispecie, fa inoltre difetto l’elemento
soggettivo, costituendo l’agire dell’assistito soltanto una forma di contestazione
dell’attività svolta dai pubblici ufficiali; è comunque integrata la scriminante
dell’atto arbitrario.
2.3. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione
all’art. 133 cod. pen. quanto alla commisurazione della pena.

inammissibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
1.1. Con riguardo all’eccezione in rito, va evidenziato come il termine
previsto dall’art. 449, comma 4, cod. proc. pen. (che recita: “Il pubblico
ministero, quando l’arresto in flagranza è già stato convalidato, procede al
giudizio direttissimo presentando l’imputato in udienza non oltre il trentesimo
giorno dall’arresto, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini”) si riferisca,
secondo il chiaro disposto normativo, all’atto con il quale il pubblico ministero
presenta l’imputato in udienza.
Orbene, nel caso di specie, Ingrassia è stato arrestato in data 31 ottobre
2010, l’udienza di convalida si è tenuta in data 3 novembre 2010 e, per quanto
qui rileva, il pubblico ministero ha chiesto al Presidente del Tribunale di indicare
la data dell’udienza per la celebrazione del giudizio direttissimo I’ll novembre
2010: si deve pertanto ritenere che l’imputato sia stato “presentato” al giudice
per il giudizio in tale data poiché è in tale momento che l’arrestato è stato messo
a disposizione dell’organo giudicante. La circostanza che il giudizio direttissimo
sia stato celebrato il 6 dicembre 2010 è invero da ricondurre non ad un colpevole
ritardo dell’inquirente nel presentare l’arrestato al giudice, avvenuta entro il
termine di legge, bensì ad una scelta – squisitamente organizzativa – del giudice
(segnatamente del Presidente del Tribunale), che ha indicato quale prima data
utile per la celebrazione del processo quella del 6 dicembre 2010. A conferma
della validità della conclusione ermeneutica si consideri il fatto che la difesa non
avrebbe avuto alcuna possibilità di eccepire alcunché qualora il Presidente anziché fissare la suddetta data – avesse indicato al pubblico ministero una data
entro il termine di trenta giorni ed il giudice investito del processo ne avesse poi
rinviato la celebrazione, per ragioni organizzative, al 6 dicembre.

3

3. In udienza, il Procuratore Generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato

1.2. Sotto diverso profilo, non può non essere rilevato come, quand’anche
fosse configurabile il dedotto vizio, esso darebbe luogo ad una nullità di carattere
relativo, ormai sanata.
Come ha avuto modo di chiarire questa Corte, la violazione da parte del P.M.
del termine per la presentazione dell’imputato al giudice per il procedimento con
il rito direttissimo non comporta una nullità di ordine generale, ma relativa, che,
in quanto tale, deve essere denunciata ai sensi e nei termini di cui all’art. 491
comma primo cod. proc. pen., rientrando fra quelle previste dall’art. 181 stesso

eccezione che la difesa avrebbe dovuto dedurre ai sensi e nei termini dell’art.
491, comma 1, cod. proc. pen., e che risulta pertanto sanata dall’opzione per il
rito abbreviato.

2. Il secondo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
Il ricorrente lamenta la violazione di legge quanto alla ritenuta integrazione
del reato di resistenza a pubblico ufficiale, nella sostanza riproponendo rilievi di
natura squisitamente di merito, volti a sollecitare una diversa valutazione in
fatto, preclusa in questa fase dalle funzioni di legittimità.
Del resto, la Corte territoriale ha dato conto, con una motivazione completa
e immune da censure logiche, dei fatti così come ricostruiti sulla base degli atti
del fascicolo processuale e della loro sussumibilità nella fattispecie incriminatrice
in contestazione, evidenziando, in particolare, la circostanza che “i
comportamenti violenti e minatori” venivano “posti in essere dall’imputato allo
scopo di impedire agli operanti di procedere alla sua audizione”, con ciò
correttamente concludendo nel senso della integrazione del reato ex art. 337
cod. pen.

3. Ad analoga conclusione si deve pervenire con riguardo al terzo motivo di
gravame concernente il trattamento sanzionatorio, per assoluta genericità delle
doglianze.
D’altra parte, la Corte territoriale ha, con motivazione immune da censure
logiche e conforme a diritto, confermato le statuizioni sul punto del giudice di
prime cure, rilevando come la pena base sia stata commisurata sul minimo
edittale, mentre l’aumento della pena di tre mesi complessivi per i due reati in
continuazione sia da ritenere del tutto congruo.

4. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

4

codice (Cass. Sez. 1, n. 10231 del 26/09/1995, Rv. 202684). Trattasi dunque di

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 7 maggio 2014

nte

Il consigliere estensore

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