Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34550 del 17/07/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 34550 Anno 2014
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Coppola Romolo, nato a Matino il 10/02/1953
avverso la sentenza emessa il 22/02/2013 dalla Corte di appello di Lecce
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Mario Pinelli, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità, in subordine
il rigetto, del ricorso;
udito per la parte civile Romano Antonio Giorgio l’Avv. Luigi Rella, il quale ha
concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità, ovvero il rigetto, del ricorso
dell’imputato;
udito per il ricorrente l’Avv. Francesco Galluccio Mezio, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso, e l’annullamento della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO
1. Romolo Coppola ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante
la conferma della sentenza emessa nei suoi confronti il 02/11/2010 dal Tribunale

Data Udienza: 17/07/2014

di Lecce, sezione distaccata di Casarano: l’imputato risulta essere stato
condannato alla pena di 1 anno di reclusione perché ritenuto responsabile di più
addebiti di minaccia, ingiuria e tentata violenza privata, in ipotesi commessi in
danno di Antonio Giorgio Romano (nonché perché autore di una presunta
minaccia grave nei confronti di altro soggetto, Mario Caputo). I fatti si
riferiscono a problemi di vicinato, con il Coppola che – stando alla prospettazione
accusatoria recepita dai giudici di merito – avrebbe cercato di indurre il Romano,
a mezzo di minacce ed altre intemperanze verbali, a vendere un fondo di sua

Il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione delle norme
incriminatrici contestategli in rubrica, segnalando che nel caso di specie le
presunte minacce poste in essere dal Coppola non sarebbero comunque state tali
da ingenerare timori di sorta nei soggetti passivi, avendo costoro «sempre
continuato ad utilizzare il loro fondo ed a vivere tranquillamente la loro vita» e
non risultando provato che gli stessi ne riportarono un qualsivoglia turbamento
psichico; peraltro, sarebbe stata conferita rilevanza a quanto il Caputo aveva
riferito su fatti in ordine ai quali aveva inteso rimettere la querela, e che pertanto
non avrebbero dovuto essere presi in considerazione.
Il Coppola deduce altresì difetto di motivazione su una richiesta di
trascrivere le registrazioni consegnate dal Romano su supporto magnetico
(recanti, secondo la persona offesa, la riproduzione di frasi pronunciate dallo
stesso imputato), essendone rimasta non provata l’attribuibilità al ricorrente.

2. Con atto depositato il 06/02/2014 (a seguito della comunicazione di una
prima assegnazione del processo alla Settima Sezione di questa Corte), il
difensore dell’imputato ha presentato un motivo nuovo di ricorso, rilevando che
nel caso in esame avrebbe dovuto ravvisarsi – in luogo della contestata ipotesi
di tentativo di violenza privata – la meno grave fattispecie di esercizio arbitrario
delle proprie ragioni mediante minaccia alle persone. Evocando riferimenti
giurisprudenziali di legittimità, e considerando che le stesse sentenze di merito
avrebbero individuato il movente della condotta del Coppola in una contesa di
carattere civilistico derivante dai ricordati rapporti di vicinato, la difesa del
ricorrente segnala che il reato di cui all’art. 610 cod. pen. «non può ritenersi
integrato – e men che meno nella forma del delitto tentato – allorché, come nel
caso di specie, il comportamento minaccioso sarebbe stato commesso nella
convinzione, fondata o meno che sia, di star azionando, sia pure in forme non
consentite dall’ordinamento, una pretesa giuridicamente rilevante».

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proprietà o comunque ad astenersi dall’accedervi.

3. Con memoria depositata il 19/05/2014, il difensore della parte civile
Antonio Giorgio Romano segnala l’inammissibilità dei motivi di doglianza
sviluppati dal Coppola, perché involgenti «valutazioni in fatto e circostanze
irrilevanti per il thema decidendum».

Laddove l’imputato contesta che sia

emersa prova del dolo necessario per la ravvisabilità dei reati de quibus, e si
intendesse che egli – come sostenuto in sede di motivi aggiunti – volesse
rappresentare di avere agito nella convinzione di esercitare legittime ragioni
civilistiche, il difensore del Romano rappresenta che fra le parti non è mai

a carico del Coppola per violazioni della normativa urbanistica, nel corso del
quale era emerso che il Romano aveva cercato di impedire lo stravolgimento
dell’assetto del territorio cui l’odierno ricorrente mirava e che aveva iniziato a
realizzare.

La richiamata memoria riporta poi ampi stralci della decisione

impugnata, confermando la correttezza delle considerazioni ivi formulate sulla
valenza intimidatoria delle condotte poste in essere dal Coppola.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi di ricorso non possono trovare accoglimento, ma si impone
comunque l’annullamento della sentenza impugnata, per le ragioni appresso
evidenziate, afferenti la necessità di considerare assorbiti gli addebiti di minaccia
ex art. 612 cod. pen. – limitatamente a quelli che vedono quale persona offesa il
Romano – nelle contestazioni di tentata violenza privata.

2. Quanto alle doglianze effettivamente proposte, va considerato che il
Coppola non censura le valutazioni operate dai giudici di merito sulla credibilità
del Romano o del Caputo, limitandosi a rappresentare in termini apodittici che
non vi sarebbe stata in concreto alcuna minaccia, visto che le persone offese
continuarono ad osservare le medesime abitudini di vita pregresse, senza
tuttavia considerare che già ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 612
cod. pen. è sufficiente la prospettazione di un male ingiusto percepito come
verosimile, senza che la vittima ne debba risultare necessariamente condizionatck
(e, non a caso, nella fattispecie oggi in esame le ulteriori ipotesi criminose di
violenza privata si assumono realizzate solo in forma tentata, proprio sul
presupposto che il fine perseguito dall’agente non fu raggiunto).

Del tutto

inconsistente appare la pretesa di non dover riconoscere alcuna rilevanza al
narrato del Caputo per effetto della successiva remissione di querela, di fronte
ad una ricostruzione di fatti considerata attendibile – senza che, si ribadisce, il

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esistita alcuna controversia in sede civile: vi era stato invece un processo penale

ricorrente esprima sul punto un avviso contrario –

e tale da descrivere

l’intervenuta commissione di reati procedibili ex officio.
In ordine ai nastri prodotti dalla parte civile, nella sentenza impugnata si
chiarisce che il contenuto di quelle registrazioni non era stato considerato
utilizzabile già dal giudice di prime cure, per cui non poteva ritualmente porsi
alcun problema di trascrizione: ad assumere dignità di prova era invece «quanto
riferito dalla persona offesa sull’esistenza di quelle minacce perpetrate per
telefono, avendole concretamente rievocate attraverso una narrazione

Senz’altro infondate appaiono poi le deduzioni della difesa circa la
configurabilità di una ipotesi di ragion fattasi: come correttamente rilevato dalla
difesa di parte civile, fra i protagonisti della vicenda non vi era alcuna
controversia di carattere civilistico, avendo il Romano soltanto lamentato
(legittimamente, per quanto è dato evincere dalla sentenza penale prodotta nel
corso del giudizio di primo grado) che il Coppola stava realizzando abusi edilizi.
Peraltro, a fronte di motivi originari di ricorso in cui l’imputato si era limitato a
rappresentare che il suo comportamento non era idoneo ad arrecare turbamento
nelle persone offese, o che non ne era stata provata la natura dolosa, la
doglianza sviluppata dal suo difensore in vista dell’udienza da tenersi dinanzi alla
Sezione Settima involge profili del tutto eterogenei.
In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte insegnano che «i “motivi nuovi”
a sostegno dell’impugnazione, previsti tanto nella disposizione di ordine generale
contenuta nell’art. 585, quarto comma, cod. proc. pen., quanto nelle norme
concernenti il ricorso per cassazione in materia cautelare (art. 311, quarto
comma, cod. proc. pen.) ed il procedimento in camera di consiglio nel giudizio di
legittimità (art. 611, primo comma, cod. proc. pen.), devono avere ad oggetto i
capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario
atto di gravame ai sensi dell’art. 581, lett. a), cod. proc. pen.» (sent n. 4683 del
25/02/1998, Bono, Rv 210259). In applicazione del principio ora richiamato,
pronunce successive vi hanno espresso costante adesione, giungendo
recentemente ad affermare che «in tema di ricorso per cassazione, la
presentazione di motivi nuovi è consentita entro i limiti in cui essi investano capi
o punti della decisione già enunciati nell’atto originario di gravame, poiché la
“novità” è riferita ai “motivi”, e quindi alle ragioni che illustrano ed argomentano
il gravame su singoli capi o punti della sentenza impugnata, già censurati con il
ricorso» (Cass., Sez. I, n. 40932 del 26/05/2011, Califano, Rv 251482).
Esemplificando in relazione a questioni di carattere peculiare, si è fra l’altro
ritenuto che «costituiscono punti distinti della decisione, come tali suscettibili di
autonoma considerazione, la questione relativa all’adeguatezza del giudizio di

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intrinsecamente attendibile» (v. pag. 11 della pronuncia oggetto di ricorso).

bilanciamento tra le circostanze, investita dall’appello originario, e quella
inerente alla configurabilità dell’aggravante dell’ingente quantità di sostanza
stupefacente ex art. 80, comma secondo, del d. P.R. n. 309/1990, oggetto del
motivo aggiunto proposto in sede di gravame» (Cass., Sez. VI, n. 73 del
21/09/2011, Aguì, Rv 251780); e che «al ricorrente in cassazione non è
consentito, con i motivi nuovi di cui all’art. 611 cod. proc. pen., dedurre una
violazione di legge se era stato originariamente censurato solo il vizio di

3. Il collegio ritiene comunque doveroso, trattandosi di questione
concernente la corretta qualificazione giuridica delle condotte contestate
all’imputato, rilevare che le identiche, presunte minacce di cui il Romano sarebbe
rimasto vittima risultano prese in considerazione sia ai fini degli addebiti ex art.
612 cod. pen., sia quali comportamenti attraverso i quali il Coppola avrebbe
cercato di indurre la parte civile a vendere od abbandonare i terreni di sua
proprietà. In particolare, vi è perfetta sovrapponibilità anche spazio/temporale
tra le minacce indicate (come tali) nel capo A) e quelle descritte, ex artt. 56, 610
e – ancora – 612 cod. pen. nel capo D): analogamente, coincidono in toto le
frasi riportate agli identici, rispettivi fini nei capi B) ed E), salvo dover prendere
atto che in quest’ultimo capo le espressioni appaiono riportate in italiano,
piuttosto che in dialetto.
In definitiva, dal momento che le uniche minacce prese in esame dalla
rubrica, a parte quelle sub C), risultano essere state strumentali a costringere il
soggetto passivo all’adozione di dati comportamenti, deve necessariamente
derivarne l’assorbimento delle contestazioni ex art. 612 cod. pen. in quelle di
tentata violenza privata, stante la pacifica natura di reato complesso da
riconoscere alla fattispecie astratta disegnata dal precedente art. 610.
Dall’anzidetto assorbimento non può che conseguire l’eliminazione delle pene
irrogate all’imputato in ragione del correlato cumulo giuridico: operazione cui
tuttavia non è possibile dare corso in questa sede in quanto (nella sentenza del
Tribunale come confermata in grado di appello) l’aumento disposto ai fini della
ritenuta continuazione appare unitario, muovendo da una pena base riferita al
reato di cui all’art. 610 cod. pen. e senza precisare quale tra i fatti sub D) od E)
debba intendersi il più grave. Perciò, dall’aumento de quo, per complessivi mesi
3 di reclusione, il giudice di merito dovrà – previa specificazione del reato
ritenuto di maggiore gravità – defalcare quanto ritenuto ascrivibile agli addebiti
di minaccia, facendo invece salvi gli aumenti per l’ulteriore ipotesi di tentata
violenza privata, per le ingiurie contestate al capo B) e per le minacce gravi sub
C), in danno del Caputo.

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motivazione» (Cass., Sez. V, n. 14991 del 12/01/2012, Strisciuglio, Rv 252320).

4. Il ricorrente, essendo soccombente in punto responsabilità (da
considerare statuizione definitiva, visto che il rinvio alla Corte di appello di Lecce
va disposto solo ai fini della rideterminazione del trattamento sanzionatorio),
deve essere condannato alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio
di legittimità dalla parte civile che ha rassegnato conclusioni. La relativa
liquidazione, non essendo stata depositata una formale notula, può essere

P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente ai reati di minaccia di
cui ai capi A), B), D) ed E), e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di
Lecce per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
Rigetta nel resto il ricorso, e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di
parte civile, liquidate in complessivi euro 800,00.
Così deciso il 17/07/2014.

disposta in via equitativa nei termini di cui al dispositivo che segue.

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