Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34549 del 02/07/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 34549 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI PRATO
SPARACINO FABRIZIO N. IL 23/06/1977
nei confronti di:
CORTELLESSA VINCENZO N. IL 26/08/1960
avverso la sentenza n. 1/2013 GIP TRIBUNALE di PRATO, del
16/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
re enera e in pers
che ha concluso per

Udito, per
Uditi

parte civile, l’Avv

fensor Avv.

Data Udienza: 02/07/2014

udito il PG in persona del sost.proc.gen. dott. E. Scardaccione che ha chiesto rigettarsi i ricorsi,
udito il difensore della PC, avv. D. Piccioni, in sost.ne dell’avv. G. Bardazzi, che, nel depositare
conclusioni scritte e nota spese, si è riportato al ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO

2. Con la sentenza di cui in epigrafe, il tribunale di Prato in funzione di giudice di
appello, in riforma della pronuncia di primo grado, ha assolto l’imputato perché il fatto non
sussiste.
3. Ricorrono per cassazione il procuratore della repubblica presso il tribunale di Prato e
la parte civile, con separati, ma identici, atti. Essi deducono erronea applicazione della legge
penale con violazione e falsa applicazione dell’articolo 192, commi primo e secondo e
dell’articolo 530 comma secondo cpp, nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione.
3.1. Premesso che la sentenza di secondo grado che riformi radicalmente quella di
primo, dovrebbe, nel proporre il proprio alternativo ragionamento probatorio, demolire
specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, si assume che
il tribunale non ha affatto seguito tale principio, atteso che esso ha completamente ignorato le
dichiarazioni della parte civile e del teste D’Amore Massimo e dello stesso imputato, il quale ha
ammesso di aver telefonato a Sparacino e di averlo rimproverato, essendo egli “molto
arrabbiato”, per il fatto di essere stato da costui denunciato per una precedente aggressione.
3.2. Il giudice di secondo grado pone in contrapposizione le dichiarazioni del maresciallo
dei carabinieri Ledda con la ricostruzione dei fatti operata dalla parte civile, ma non si rende
conto, da un lato, che le dichiarazioni del militare sono – in parte – imprecise, in quanto lo
stesso non ricorda il giorno e l’orario nei quali Sparacino si presentò in caserma, dall’altro, che
la discrasia è più apparente che reale, in quanto lo stesso maresciallo Ledda ricorda con
chiarezza che – comunque – la persona offesa si portò in caserma una seconda volta (a suo
dire, per una integrazione della denuncia). Ci si trova, allora, di fronte ad una carenza
motivazionale e ad un travisamento della prova, i quali emergono pacificamente dal testo
stesso della sentenza di secondo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono fondati e meritano accoglimento. Conseguentemente la sentenza
impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame al tribunale di Prato.
2. Va innanzitutto ricordato come sia giurisprudenza pacifica (es. ASN 200433162-RV
229755) quella in base alla quale le dichiarazioni rese dalla persona offesa – anche se costituita
parte civile (e dunque portatrice di pretese economiche) – sottoposte ad adeguato controllo di
credibilità, ben possono essere assunte, anche da sole (sci/. senza che sia indispensabile
applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 commi III e IV cpp) come prova della
responsabilità dell’imputato.
Nel caso in esame peraltro le dichiarazioni di Sparacino, per quel che si legge in entrambe le
sentenze di merito, avevano trovato riscontro in quelle a di D’Amore Massimo, il quale era in
auto con lui quando egli, secondo le sue dichiarazioni, ricevette la telefonata che ascoltò (e
fece ascoltare) con il sistema del “viva voce”.
2.1. La sentenza di appello dunque avrebbe dovuto, innanzitutto, chiarire per qual
motivo le dichiarazioni di Sparacino e D’Amore non meritassero credibilità.
E invero, come correttamente ricordano entrambi ricorrenti, la sentenza di appello che riformi
la decisione di primo grado deve confutare specificamente, per non incorrere nel vizio di
motivazione, le ragioni poste a sostegno della decisione riformata, dimostrando puntualmente

1. Cortellessa Vincenzo fu condannato dal giudice di pace di Prato alla pena di
giustizia e al risarcimento danni nei confronti della parte civile Sparacino Fabrizio perché
riconosciuto colpevole del delitto di minaccia per avere telefonicamente proferito la seguente
frase rivolta allo Sparacino: “tu mi hai denunciato, non sai chi sono io, io ti ammazzo, io ti
ammazzo, io ti ammazzo!”

I.

3. Orbene, la sentenza di secondo grado si limita, semplicemente, ad analizzare le
dichiarazioni del maresciallo Ledda, il quale ricorda un primo incontro, da lui patrocinato, in
caserma tra Cortellessa e Sparacino (all’esito della aggressione subita dal secondo), incontro
che, per quanto il carabiniere possa rammentare, si concluse con una stretta di mano tra i due.
Poiché, dalle stesse sentenze di merito, emerge che – sicuramente – vi fu un’aggressione o
quantomeno una denuncia per aggressione, che Sparacino sostenne aver subito ad opera di
Cortellessa, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto porsi il quesito se il ricordo del
maresciallo si riferisse a tale episodio, piuttosto che a quello (cronologicamente susseguente,
secondo quanto ritenuto dal giudice di pace) attinente alle minacce che Sparacino sostiene
aver ricevuto da Cortellessa. D’altronde, come entrambi i ricorrenti evidenziano, il Ledda
ricorda un secondo accesso dello Sparacino in caserma, accesso che egli, dubitativamente,
attribuisce alla necessità di integrare la denuncia originariamente presentata per l’aggressione
subita. Accesso che, tuttavia, sembra porsi in contrasto con la complessiva ricostruzione che lo
stesso militare opera. Invero: se egli riuscì ad ottenere una conciliazione tra Cortellessa e
Sparacino, non si vede perché e come il secondo avrebbe dovuto integrare la denuncia.
Avrebbe dunque il giudice di secondo grado dovuto porsi il problema se – in realtà – non di
un’integrazione di denuncia si sia trattato, ma di una nuova denuncia (o, rectius, querela) che
Sparacino era andato a presentare, con riferimento a un successivo episodio, così come lo
stesso e il teste D’Amore sostengono.
4. Le denunciate illogicità, incompletezze e contraddizioni della sentenza di secondo
grado, dunque, sussistono.
5. Le eventuali competenze della parte civile dovranno essere liquidate “al definitivo”.
PQM
annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al tribunale di Prato.

Così deciso in Roma 2 luglio 2014.

l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti ivi contenuti, anche
avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve
quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della
decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata
ad elementi di prova diversi o diversamente valutati.
Il principio, affermato in relazione a sentenza di condanna in secondo grado, deve trovare
applicazione , ricorrendo la eadem ratio ,anche nel caso in cui la riforma in appello abbia avuto
quale epilogo la assoluzione dell’imputato condannato in primo grado (SU sent. n. 33748 del
2005, RV 231679, conf. ASN 200842033-RV 242330).

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