Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34546 del 18/06/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 34546 Anno 2014
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
ROMA
nei confronti di:
CASTELLI ROBERTO N. IL 12/07/1946
avverso la sentenza n. 9019/2008 TRIBUNALE di ROMA, del
06/11/2009
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
0(444,tet gatusuij0 ert,c ,),(utit,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. ft

Data Udienza: 18/06/2014

RITENUTO IN FATTO

Castelli era stato imputato di avere pronunciato espressioni lesive dell’onore e della
reputazione di Diliberto, all’epoca parlamentare, nel corso della trasmissione televisiva
Telecamere, trasmessa il 21 marzo 2004, sul tema della riforma dell’ordinamento giudiziario,
cui il primo partecipava, assieme a Diliberto e ad altri ospiti, ricoprendo- all’epoca- la carica di
Ministro della Giustizia dopo la rielezione al Parlamento.
In particolare, in risposta alla richiesta di Diliberto di chiarire i motivi della sua presenza ad una
manifestazione di giovani padani, nel corso della quale aveva pronunciato la frase “chi non
salta italiano è”, Castelli aveva replicato “piuttosto che mandare in giro a sprangare come fai
tu, preferisco saltare”. Nel prosieguo della trasmissione Castelli aveva detto a Diliberto:
“fascisti, borghesi, ancora pochi mesi: ti ricordi? Poi hanno sparato e i tuoi amici sono in
Francia”. In una terza occasione aveva accusato Diliberto di avere operato illegalmente per
favorire il rientro in Italia di terroristi allorchè aveva svolto le funzioni di Ministro della’
giustizia.
Proseguiva il Procuratore Generale, osservando che il Pubblico ministero aveva investito il
Tribunale dei Ministri della questione della ministerialità del reato in esame, trasmettendo gli
atti ai sensi dell’art. 6 I. cost. n. 1 del 1989, ma il Collegio (ord. del 13 dicembre 2004) aveva
declinato la propria competenza, ritenendo le frasi espressione di un personale convincimento
del Castelli che, in quel momento, aveva parlato come cittadino comune e non quale
rappresentante del Governo.
Il procedimento aveva subito una prima sospensione quando si era appreso che il Senato, con
deliberazione del 30 giugno 2004, aveva dichiarato la insindacabilità ex art. 68 Cost., delle
espressioni del sen. Castelli, ai sensi della I. n. 140 del 2003, affermando la estensibilità della
delibera tanto alla causa civile intentata dal Diliberto, quanto al procedimento penale vertente
sul medesimo oggetto: il Gip, con ordinanza-ricorso depositata 1’8 giugno 2005, aveva quindi
sollevato il conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato, chiedendo alla Corte costituzionale di
pronunciarsi sulla delibera della Camera di appartenenza.
La Corte costituzionale con sentenza del 10 luglio 2007, n. 304, aveva accolto il ricorso.
Ne era conseguito il rinvio a giudizio del sen. Castelli, ma il 30 ottobre 2008 egli aveva adito il
Presidente del Senato, chiedendo che la vicenda venisse riesaminata alla luce dell’art. 96 Cost.
in quanto le dichiarazioni incriminate sarebbero state connesse con la sua attività di Ministro
della Giustizia pro-tempore. E, nella seduta del 22 luglio 2009, il Senato aveva accolto le
conclusioni, a maggioranza, della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari,
dichiarando il carattere ministeriale dei reati contestati al sen. Castelli, ministro pro-tempore, e
la sussistenza, in ordine ai medesimi, della finalità di cui all’art. 9 comma 3 legge cost. n. 1 del
1989.

1

Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Roma aveva proposto
ricorso per cassazione,per saltum, avverso la sentenza del Tribunale di Roma in data 6
novembre 2009 che aveva assolto, ex art. 129 cpp, Roberto Castelli , dai reati di ingiuria e
diffamazione.
Si trattava di delitti contestati come commessi, con il mezzo televisivo, ai danni di Oliviero
Diliberto, e l’assoluzione era stata pronunciata con la formula “perché non punibile trattandosi
di opinioni espresse per il perseguimento di un preminente interesse pubblico, nell’esercizio
della funzione di governo”.

i
,

Il Procuratore generale, come anticipato in premessa, ha quindi denunciato, con ricorso a
questa Corte, la violazione dell’art. 96 cost. in relazione alla corretta interpretazione della
categoria di reato ministeriale; la violazione della I. cost. n. 1 del 1989 in relazione alla
individuazione dell’organo cui spetta stabilire la ministerialità dei reati; la erronea applicazione
dell’art. 134 Cost. sulla individuazione dell’organo cui è riconosciuta la competenza a dirimere i
conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato;
La difesa ha chiesto, durante la discussione in udienza, dichiararsi inammissibile il ricorso
perché sarebbero state da considerare precluse le questioni in esame, non rappresentate in
primo grado ed inoltre in quanto le stesse comunque erano state dedotte nella forma del vizio
di motivazione, con ricorso per saltum, e quindi in violazione dell’art. 569 cpp.
Questa Corte, con ordinanza del 5 giugno 2011, ha premesso che il ricorso non era
inammissibile atteso che il PG aveva denunciato violazioni di legge – deducibili con ricorso per
saltum- peraltro già proposte al giudice di primo grado.
Ha anche osservato che la sentenza impugnata, fondata su una autonoma applicazione delle
guarentigie ex art. 96 Cost., appariva censurabile in quanto, in primo luogo, il Tribunale non
aveva fatto corretta applicazione dei principi normativi che sovrintendono alla individuazione
del reato ministeriale ed alla differenza rispetto al reato comune, pur ipotizzato in presenza dei
requisiti soggettivi in capo al suo presunto autore.
Ritenendo pertanto , in violazione di legge, la decisione del Tribunale di Roma che aveva
ritenuto espressione delle funzioni proprie del Ministro della Giustizia la condotta contestata al
sen. Castelli, questa Corte osservava che, nell’ottica dell’annullamento della sentenza
impugnata, era rilevante considerare la avvenuta adozione della delibera del Senato del 22
luglio 2009, con la quale era stato parimenti dichiarato il carattere ministeriale dei reati
contestati al sen. Castelli, ministro pro-tempore, delibera sulla quale era poi stata fondata la
ulteriore decisione sulla sussistenza, in ordine ai medesimi reati, della finalità di cui all’art. 9
comma 3 legge cost. n. 1 del 1989.
Tale atto risultava posto in essere in assenza dei poteri legittimanti, data la attribuzione al
Senato di prerogative non spettanti, e si riteneva necessario sottoporre il caso alla Corte
Costituzionale sollevando conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, ai sensi dell’art. 37,
L. n. 87/1953.
Con sentenza n. 29 del 25 febbraio 2014, la Corte costituzionale ha accolto il ricorso e
dichiarato che non spettava al Senato della Repubblica deliberare, ai fini dell’esercizio della
prerogativa di cui all’art. 96 della Costituzione, il carattere ministeriale delle ipotesi di reato
contestate al senatore Roberto Castelli, all’epoca dei fatti Ministro della Giustizia, per le frasi da
questi pronunciate nel corso della trasmissione televisiva “Telecamere”, andata in onda il 21

2

Il Tribunale , dinanzi al quale il processo aveva, alfine, ripreso il suo corso, pur rilevando una
serie di anomalie procedurali destinate però a non produrre effetti nel caso concreto, ribadiva
che le frasi pronunciate dal sen. Castelli erano state ispirate dalla necessità di difendere le sue
funzioni ministeriali e la riforma dell’ordinamento giudiziario, dagli attacchi provocatori portati
dall’on. Diliberto: pertanto osservava ancora il Giudice che ricorrevano effettivamente i
presupposti per ritenere la natura ministeriale del reato attribuito al Castelli ed altresì i
presupposti per la applicazione immediata e diretta della guarentigia prevista dall’art. 9 comma
3 I. n. 1 del 1989, ossia l’avere egli agito per il perseguimento di un preminente interesse
pubblico nell’esercizio della funzione di governo. Assolveva pertanto l’imputato ai sensi dell’art.
96 Cost.

I

marzo 2004, nei confronti dell’on. Oliviero Diliberto e oggetto del procedimento penale in
relazione al quale pende ricorso per cassazione .

La difesa di Castelli ha parimenti richiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Ciò posto, va dato atto della fondatezza della tesi del PG originariamente impugnante,
secondo cui la sentenza del Tribunale di Roma è stata emessa in violazione di legge, non solo
perché ha recepito il contenuto e lo spirito della delibera adottata dal Senato il 22 luglio 2009,
poi dichiarata dalla Corte costituzionale esorbitante dai poteri spettanti al Senato stesso; in
più, la sentenza del Tribunale si è posta in contrasto con l’ordinanza del Tribunale dei Ministri
del 13 dicembre 2004- organo competente a decidere secondo le forme previste per i reati
ministeriali- che aveva escluso il carattere ministeriale della condotta tenuta dall’on. Castelli e
non aveva comunque fatto – lo stesso Tribunale ordinario- corretta applicazione dei principi
normativi che sovrintendono alla individuazione del reato ministeriale ed alla differenza rispetto
al reato comune, pur ipotizzato in presenza dei requisiti soggettivi in capo al suo presunto
autore.
Costituisce, invero, orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, tanto da
costituire diritto vivente, quello secondo cui, ai sensi dell’art. 96 Cost. e dell’art. 1 della legge
16 gennaio 1989, n. 1, gli elementi che caratterizzano la categoria dei “reati ministeriali” sono
la particolare qualificazione giuridica soggettiva dell’autore del reato nel momento in cui questo
è commesso e il rapporto di connessione fra la condotta integratrice dell’illecito e le funzioni
esercitate dal ministro, rapporto che sussiste tutte le volte in cui l’atto o la condotta siano
comunque riferibili alla competenza funzionale del soggetto.
Deve, quindi, ritenersi che siano esclusi, dalla categoria in questione, quei reati in cui sia
ravvisabile un mero rapporto di occasionalità tra la condotta illecita del ministro e l’esercizio
delle funzioni ( Sez. U, Sentenza n. 14 del 20/07/1994 Cc. , Rv. 198223; conf. Sez. 6,
Sentenza n. 8854 del 20/05/1998, Rv. 211998).
In altri termini, soltanto il rapporto oggettivo e strumentale con l’esercizio delle funzioni può
essere il criterio da utilizzare per la delimitazione della categoria dei reati ministeriali.
E, con riferimento al caso concreto, risulta dunque in violazione di legge la decisione del
Tribunale di Roma che ha ritenuto espressione delle funzioni proprie del Ministro della Giustizia
quantomeno la condotta contestata al sen. Castelli, consistita nell’apostrofare l’on. Diliberto
con la frase “piuttosto che mandare in giro a sprangare come fai, tu preferisco saltare”:
espressione in relazione alla quale si rileva un nesso di mera occasionalità con l’esercizio delle
funzioni proprie del Ministro. Funzioni che, per quanto ben possano consistere nella
illustrazione e nella difesa, in una trasmissione televisiva, di un progetto di legge o di una
legge e della linea politica che con essa si intende esprimere, restano però estranee a
tematiche coinvolgenti contestazioni personali o attacchi a comportamenti che nulla hanno a
che vedere con lo svolgimento dell’incarico ministeriale.

3

Alla nuova udienza di trattazione del procedimento, fissata dinanzi a questa Corte di
cassazione, il Procuratore Generale di udienza, pur richiedendo una pronuncia di accoglimento
del ricorso del Procuratore generale della Corte di appello, non ha mancato di rilevare che la
sentenza della Corte Costituzionale avrebbe addirittura aperto uno spiraglio, – subito, però,
richiuso agli effetti della decisione adottata- sulla possibilità di ritenere consumato il potere
dello stesso imputato di effettuare la “vindicatio” della guarentigia costituzionale ex art. 96
Cost., una volta che la precedente ed omologa iniziativa – formulata, però ex art. 68 Cost.- era
stata materia di pronuncia della Corte costituzionale.


Ne consegue, ai sensi dell’art. 569 comma 4 cpp, l’annullamento della sentenza impugnata,

termine prescrizionale coincide con quella in cui gli atti sono restituiti al giudice remittente
(Sez. 5, Sentenza n. 7553 del 14/11/2012 Ud. (dep. 15/02/2013 ) Rv. 255017).
Tali evenienze risultano verificate, nel primo caso, non prima del 10 luglio 2007 ( data,
peraltro, della sola decisione della Corte Costituzionale) e nel secondo caso, non prima del 25
febbraio 2014.
Il totale delle cause di sospensione menzionate, e considerate le ulteriori per gg 103,
dipendenti da anche da impedimento dell’imputato, assomma, in conclusione, secondo
quanto risulta a questa Corte e salva la possibilità di marginali errori materiali, in anni 5,mesi 3
e gg 3 con la conseguenza che il reato non è destinato a prescriversi prima di dicembre 2016.
PQM
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Roma per il giudizio.
Così deciso in Roma il 18 giugno 2014
Il Presidente
il Cons. est.

con rinvio alla Corte di appello di Roma, per il giudizio di secondo grado da effettuarsi sulla
linea dei principi enunciati, dovendosi anche tenere conto , nella prospettiva della prescrizione,
che il relativo termine ha subito sospensioni, tra l’altro, per effetto delle corrispondenti
sospensioni del processo, dovute alla duplice rimessione alla Corte Costituzionale e previste ex
lege ( art.23 comma 2 I. n. 87 del 1953) : la prima rimessione, disposta con ordinanza del Gip
di Roma del 25 maggio 2005 e la seconda, disposta con l’ordinanza di questa Corte del 5
maggio 2011. In relazione ad entrambi i casi vale il principio secondo cui, in tema di
prescrizione, nel caso di sospensione del procedimento a seguito di trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale per la risoluzione di una questione di legittimità costituzionale, la data di
cessazione dell’effetto sospensivo e, pertanto, la data finale del periodo di sospensione del

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