Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34544 del 04/06/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 34544 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI MAURO ANGELO N. IL 09/09/1966
avverso la sentenza n. 2788/2005 CORTE APPELLO di MILANO, del
05/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
1 -Pc?
ett.Leo
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udii i difensor Avv.

Data Udienza: 04/06/2014

o

FATTO E DIRITTO

dichiarata fallita il 27 ottobre 1992.
Al ricorrente sono state anche negate le attenuanti generiche.
Allo stato attuale, tenuto conto dell’addebito, il reato è destinato a prescriversi non prima del
27 aprile 2015.
Deduce
1) l’inosservanza dell’articolo 216 e dell’articolo 217 legge fallimentare.
Ricorda, il difensore, come la giurisprudenza di legittimità sottolinei la differenza fra tali
due reati- che presentano la stessa oggettività giuridica- individuandola nell’ elemento
psicologico, il quale deve formare oggetto di specifica motivazione;
2) il vizio della motivazione sull’elemento psicologico del reato addebitato.
Il dolo di tale reato è stato affermato, nella sentenza impugnata, su base meramente
presuntiva mentre il solo dato certo è la omessa tenuta delle scritture contabili,
elemento che la giurisprudenza di legittimità (vedi sentenza n. 172 del 2006 e n. 25093
del 2012) ritiene debba essere accompagnata’ dalla illustrazione dello specifico
atteggiamento psicologico richiesto dal precetto di rilievo.
La sentenza impugnata, al riguardo, si è invece limitata a citare elementi storici privi di
significato indiziario e a non considerare la giovane età dell’imputato che può avere no
compreso la gravità del comportamento tenuto.
È, piuttosto, accaduto che il giudice dell’appello abbia sopravvalutato indizi che però
non presentavano il carattere dell’univocità;
3)

il vizio della motivazione in ordine alle attenuanti generiche- non riconosciute- e al
trattamento sanzionatorio.
Erano state male intese le allegazioni difensive ed in particolare il fatto che l’imputato,
all’epoca dei fatti, avesse poco più di vent’anni e fosse stato una mera “testa di legno”
come dimostrato dal fatto che, in epoca successiva al 1992, non era stato più coinvolto
in reati della stessa specie.
Infine difensore lamenta non essere stata valutata la richiesta di riduzione della pena
accessoria della interdizione dai pubblici uffici, inflitta per la durata di cinque anni.
In data29 maggio è stata depositata una memoria difensiva volta a rinnovare le
precedenti doglianze.

Il ricorso è fondato e merita di essere accolto.
Occorre premettere che la contestazione mossa all’imputato è quella dell’art. 216 comma 1 n.
2 I. fall., nella duplice forma, evidentemente ipotizzata come alternativa, della sottrazione
delle scritture finalizzata al raggiungimento di un ingiusto profitto per sé o per altri- reato a
dolo specifico- e della tenuta delle stesse scritture in guisa da non rendere possibile la
ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari- reato a dolo generico.
Ciò posto, va anche ricordato come la giurisprudenza di questa Corte, ben citata dal ricorrente,
abbia affermato che la differenza tra la bancarotta fraudolenta documentale ( nella forma a
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Propone ricorso per cassazione Di Mauro Angelo, avverso la sentenza della Corte di appello di
Milano in data 5 dicembre 2011 con la quale è stata confermata quella di primo grado ( del 18
gennaio 2005), di condanna in ordine al reato di bancarotta fraudolenta documentale
impropria, nella forma della sottrazione delle scritture e dei libri contabili, allo scopo di recare
a sé o ad altri un ingiusto profitto, di fatto impedendo alla curatela la ricostruzione degli affari.
Tale reato gli è stato addebitato nella qualità di amministratore unico di SEAV Cargo srl,

dolo generico) prevista dall’art. 216 comma primo n. 2, L. fall. e quella semplice prevista

La differenza tra le fattispecie richiamate consiste, piuttosto, nell’elemento psicologico che, nel
caso della bancarotta fraudolenta, viene individuato nel dolo generico, costituito dalla
coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda
impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore e, nel caso della
bancarotta semplice, dal dolo o indifferentemente dalla colpa, che sono ravvisabili quando
l’agente ometta, rispettivamente, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere
le scritture (Sez. 5, Sentenza n. 6769 del 18/10/2005 Ud. (dep. 23/02/2006 ) Rv. 233997).
Con riferimento al caso di specie, nel quale si attesta la situazione di “assenza” della scritture,
è indubbio che rilevasse, perciò, la illustrazione dell’atteggiamento psicologico dell’agente,
capace di consentire una analisi differenziale del comportamento in concreto accertato dai
giudical e contestato specificamente, nella sua effettiva essenza, dall’allora appellante.
A tale indagine si è sostanzialmente sottratta la Corte la quale, con motivazione che appare
non esaustiva e dunque nemmeno tale da raggiungere la soglia della sufficienza nel
prospettiva sollecitata dalla difesa che l’aveva adita, ha formulato una conclusione di tip
presuntivo sulla base di elementi non certi.
E’ pacifico che tale modo di argomentare sia ritenuto censurabile dalla Corte di legittimità che
ha anche aggiunto, nella medesima ottica, come l’indizio abbia valore probatorio se il dato di
fatto di cui si compone è connotato dal requisito della certezza, che implica la verifica
processuale della sua sussistenza (N. 8045 del 1992 Rv. 191303, N. 9916 del 1994 Rv.
199451, N. 736 del 1995 Rv. 201109, N. 7027 del 2000 Rv. 216181) .
Ebbene, il giudice a quo ha segnalato come il dolo del reato di bancarotta fraudolenta
contestato, ed in particolare ” la intenzionalità del comportamento del ricorrente nell’ occultare
le scritture al fine di impedire la ricostruzione del movimento degli affari”, sarebbe emersa in
primo luogo dalla scarsa ma significativa documentazione rintracciata (in particolare una
procura speciale che attestava la esistenza di rapporti dell’imputato con altra società avente
ragione e oggetto sociale pressoché identici a quelli della fallita, nonché amministratori
coincidenti con i destinatari della procura); ma, soprattutto, dal rilievo della esistenza di
rapporti di indebitamento della fallita, verso banche, rapporti che lasciavano trasparire flussi
verso la società per cifre rilevanti ( 500.000.000 di lire), non potute tracciare proprio per
effetto della evidenziata assenza delle scritture.
A ciò, la Corte territoriale ha aggiunto il rilievo del comportamento processuale dell’imputato
che non ha fornito giustificazioni plausibili e risulta essere non nuovo ad “esiti bancarottieri”.
E’ evidente che si tratta di un quadro di natura soltanto indiziaria, come pure sottolineato dal
giudice a quo, ma fondato su elementi che sono rimasti fumosi e non definiti nella stessa
ricostruzione del giudice, sicchè non può dirsi raggiunta e tantomeno motivata la prova della
certezza dei fatti storici sui quali il giudice stesso ha radicato il proprio ragionamento indiziario.
In altri termini, la Corte territoriale, oltre ad avere addebitato il reato contestato senza
neppure chiarire se intendesse optare per la fattispecie a dolo generico piuttosto che per quella
a dolo specifico- fattispecie delle quali ha operato una sorta di crasi- ha finito per individuare,
in termini niente affatto univoci, una certa ” fraudolenza” nel comportamento dell’agente alla
2

dall’art. 217, comma secondo, stessa legge, non sta nell’elemento oggettivo che, in entrambi i
casi, ben può coincidere nella tenuta dei libri e delle scritture contabili in maniera irregolare o
incompleta oppure nella omessa tenuta della contabilità interna : espressione, quest’ultima,
che, se si rinviene esplicitamente nel solo art. 217 comma 2 I. fall. e non anche nell’art. 216 I.
fall., non si dubita però che possa valere anche ad integrare la ipotesi di bancarotta
fraudolenta quando si accerti che scopo dell’omissione sia stato quello di recare pregiudizio ai
creditori (v. Sez. 5, Sentenza n. 25432 del 11/04/2012 Ud. (dep. 27/06/2012 ) Rv. 252992;
conformi: N. 9103 del 1992 Rv. 191662, N. 32173 del 2009 Rv. 244494).

Rimangono assorbiti gli ulteriori motivi.

PQM
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per
nuovo esame.
4
Così deciso in Roma il
2014
il P’ .idente
il Consigliere estensore

luce di presunti segnali indicatori della sua scaltrezza professionale nel tipo di reati in
discussione , attestati anche da una – altrimenti ingiustificabile- confusione nella gestione
anche di altra società gemella e da poco chiari rapporti di finanziamento bancario.
Ebbene, proprio tale ultimo elemento appare valorizzato in modo anche manifestamente
illogico, posto che lo si è ritenuto significativo, pur nella conclamata inidoneità dello stesso a
sorreggere probatoriamente la accusa di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Quanto ai rapporti con altra società “gemella” e con i suoi vertici, ugualmente si apprezza la
ingiustificata aspecificità della affermazione, che non risulta neppure illustrata nella sua
concreta idoneità a sostanziare la accusa, mossa al prevenuto, di avere voluto impedire,
fraudolentemente, la ricostruzione di affari della società fallita, non apparendo citati comunque
profili effettivi, di rilievo penale, derivanti dalla stessa gestione “confusa” delle due società.
La Corte di merito dovrà individuare, ove esistano, elementi ulteriori e diversi , capaci di
sostenere il proprio ragionamento probatorio, uniformandosi al principio di diritto enunciato,
arrestandosi, in mancanza di essi, alla ipotesi residuale.

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