Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3454 del 19/12/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 3454 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Di Stefano Francesco n. il 8/10/1960
Quinto Guido Amedeo n. il 18/1/1943
avverso la sentenza n. 287/2012 pronunciata dalla Corte d’appello di Potenza il 5/4/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 19/12/2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. M.G. Fodaroni, che ha
concluso per rigetto dei ricorsi;
udito, per le parti civili, l’avv.to F. Sassano del foro di Potenza che ha
concluso riportandosi alle note scritte depositate;
udito, per l’imputato Quinto, l’avv.to V. Corni del foro di Roma che ha
concluso per l’accoglimento del relativo ricorso;
udito, per l’imputato Di Stefano, l’avv.to Mauro Rocco del foro di Rotondella che ha concluso per l’accoglimento del relativo ricorso.

Data Udienza: 19/12/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa in data 1/6/2011, il Tribunale di Matera, sezione distaccata di Pisticci, ha assolto Francesco Di Stefano e Guido Amedeo Quinto
dall’imputazione relativa al reato di lesioni personali colpose agli stessi ascritta,
per insussistenza del fatto, indicato come commesso in Pisticci il 2/10/2004.
Agli imputati era stata originariamente contestata la violazione delle norme
per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, consistita nell’avere, il Quinto, affidato al Di Stefano i lavori di riparazione della copertura del proprio stabile, ubi-

co-professionale (art. 8, lett a), d.lgs. n. 494/96); e per avere, il Di Stefano, assunto di fatto la qualità di datore di lavoro del prestatore infortunato, Cosimo
Damiano Lopatriello, incaricandolo a sua volta dell’esecuzione di detto lavoro di
riparazione senza porre a disposizione dello stesso attrezzature adeguate al lavoro da svolgere e idonee ai fini della sicurezza (art. 35, d.lgs. n. 626/94), e per
avere inoltre posto a disposizione del Lopatriello una scala non adeguatamente
vincolata, ex art. 8 d.P.R. n. 164/56.
Per effetto di tali violazioni, il Lopatriello, mentre saliva dal solaio del bagno
sulla copertura dello stabile del Quinto a mezzo della scala posizionata dal Di
Stefano, era precipitato al suolo, riportando le gravi lesioni personali specificamente descritte nel capo d’imputazione.
Su appello delle sole parti civili (eredi del Lopatriello nelle more deceduto),
con sentenza resa in data 5/4/2013, la Corte d’appello di Potenza, in riforma della decisione del primo giudice, ritenuta la responsabilità degli imputati in ordine
al reato loro ascritto, ha condannato gli stessi al risarcimento dei danni in favore
delle parti civili costituite, rimettendone la liquidazione al giudice civile competente.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati.

2. Il Di Stefano propone ricorso sulla base di cinque motivi d’impugnazione.
Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, avendo la corte territoriale omesso di rilevare l’inammissibilità
dell’appello proposto dalle parti civili in ragione del difetto del potere di impugnazione in capo al relativo difensore, siccome non munito di alcun mandato a
impugnare la decisione di primo grado ai fini degli interessi civili.

3. Con il secondo motivo, il Di Stefano si duole della violazione di legge in
cui sarebbe incorsa la corte territoriale, per aver omesso di rilevare, sotto altro
profilo, l’inammissibilità dell’impugnazione delle parti civili, avendo queste ultime

2

cato in Pisticci, nonostante la totale inidoneità dell’incaricato sotto il profilo tecni-

trascurato di specificare i capi o i punti della decisione assoggettati a gravame, e
per avere inoltre omesso di rilevare il mancato riferimento dell’appello agli effetti
di carattere civilistico perseguiti, attesa la diretta ed esclusiva correlazione
dell’appello al tema della responsabilità penale degli imputati.

4. Con il terzo motivo, il Di Stefano censura la sentenza impugnata per vizio
di motivazione, avendo la corte territoriale trascurato di dettare una motivazione
“rafforzata”, rispetto alla decisione di assoluzione del primo giudice, omettendo

primo grado ai fini della pronuncia dell’assoluzione degli imputati, sostanzialmente legati: alla mancata acquisizione di alcuna conferma delle dichiarazioni rese
dalla persona offesa in sede di indagini preliminari; alla mancata acquisizione di
elementi formali per l’individuazione di un rapporto di lavoro tra il committente e
il Di Stefano e tra quest’ultimo e il Lopatriello (secondo quanto emerso dalle dichiarazioni dei testi della pubblica accusa); alla mancata acquisizione di indici
idonei ad attestare la circostanza che il Di Stefano e il Lopatriello svolgessero
l’attività di muratori; alla conseguente necessità di interpretare la natura del sopralluogo effettuato dal Di Stefano e dal Lopatriello a titolo di amicizia; all’assenza di alcuna querela necessaria ai fini della procedibilità in relazione al reato di
lesioni colpose nella forma non aggravata.

5. Con il quarto motivo, il ricorrente si duole del vizio di motivazione in cui
sarebbe incorsa la corte territoriale, nell’omettere di procedere alla dovuta valutazione critica degli elementi di prova favorevoli all’imputato evidenziati dalla difesa, incorrendo nel conseguente travisamento delle prove complessivamente disponibili, con particolare riferimento: alle affermazioni del Lopatriello (che ha dichiarato di esser caduto mentre visionava il tetto, e non quindi nel corso di una
prestazione lavorativa) e alla circostanza dell’inesistenza di alcun rapporto di lavoro tra Quinto e il Di Stefano e tra quest’ultimo e il Lopatriello, con la conseguente inapplicabilità della legislazione antinfortunistica.
Sotto altro profilo, il ricorrente evidenzia come la corte territoriale sia giunta
alla pronuncia della condanna degli imputati sulla base delle dichiarazioni rese
dalla persona offesa fuori dal dibattimento, in contrasto con gli orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimità e dei principi stabiliti dalle corti a livello
internazionale; nonché in forza dell’applicazione del d.lgs. n. 758/94 in difetto
dei necessari presupposti, costituiti dall’esistenza di un vero e proprio cantiere e
dall’esecuzione, all’interno dello stesso, di lavori edili e di ingegneria civile.

3

di confutare in modo analitico gli argomenti più rilevanti valorizzati dal giudice di

6. Con il quinto e ultimo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata
per violazione di legge, avendo la corte d’appello affermato la responsabilità del
Di Stefano senza procedere ad alcuna analitica verifica circa l’effettivo ricorso
di un nesso di causalità tra le omissioni allo stesso contestate e l’evento lesivo
dedotto in giudizio, nella specie verificatosi a seguito dell’arbitraria decisione della persona offesa di salire sulla copertura del fabbricato del Quinto, senza alcuna
necessità o alcuna previa richiesta dell’imputato.

Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, avendo la corte territoriale omesso di rilevare l’inammissibilità
dell’appello proposto dalle parti civili in ragione del difetto del potere di impugnazione in capo al relativo difensore, siccome non munito di alcun mandato a
impugnare la decisione di primo grado ai fini degli interessi civili.

8. Con il secondo motivo, il Quinto si duole della violazione di legge in cui
sarebbe incorsa la corte territoriale, per aver omesso di rilevare, sotto altro profilo, l’inammissibilità dell’impugnazione delle parti civili, avendo queste ultime
trascurato di specificare i capi o i punti della decisione assoggettati a gravame, e
per avere inoltre omesso di rilevare il mancato riferimento dell’appello agli effetti
di carattere civilistico perseguiti, attesa la diretta ed esclusiva correlazione
dell’appello al tema della responsabilità penale degli imputati.

9. Con il terzo motivo, il Quinto censura la sentenza impugnata per vizio di
motivazione, avendo la corte territoriale erroneamente ritenuto attendibili le contraddittorie dichiarazioni rese dal Lopatriello nel corso del procedimento e scorrettamente individuato il ricorso di un rapporto di lavoro tra l’imputato e il Di
Stefano e tra quest’ultimo e il Lopatriello.
Sotto altro profilo, la corte territoriale ha omesso di procedere ad alcuna verifica in ordine al ricorso di un nesso di causalità tra le lesione patite dal Lopatriello e le omissioni imputate al Di Stefano, nonché in relazione alle specifiche
capacità professionali di quest’ultimo.
Del pari, la corte d’appello sarebbe incorsa in un grave vizio motivazionale
nel trascurare il significato favorevole alla difesa degli altri elementi di prova acquisiti (con particolare riguardo alle dichiarazioni rese dagli ispettori del dipartimento di prevenzione), omettendo di procedere all’elaborazione di una motivazione “rafforzata”, rispetto alla decisione del primo giudice, non confrontandosi in
modo analitico con gli argomenti più rilevanti valorizzati dal giudice di primo grado ai fini della pronuncia dell’assoluzione degli imputati, con particolare riguardo

4

7. Il Quinto propone ricorso sulla base di quattro motivi di impugnazione.

all’inesistenza di alcun rapporto di lavoro tra i protagonisti della vicenda e alla
conseguente inapplicabilità della legislazione antinfortunistica, limitandosi a ricostruire i fatti di causa sulla sola base delle dichiarazioni rese dalla persona offesa
fuori dal dibattimento (in contrasto con gli orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimità e dei principi stabiliti dalle corti a livello internazionale),
nonché in forza dell’applicazione del d.lgs. n. 758/94 in difetto dei necessari presupposti, costituiti dall’esistenza di un vero e proprio cantiere e dall’esecuzione,

10. Con il quarto e ultimo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, avendo la corte d’appello affermato la responsabilità
del Quinto senza procedere ad alcuna analitica verifica circa l’effettivo ricorso
di un nesso di causalità tra le omissioni allo stesso contestate e l’evento lesivo
dedotto in giudizio, non avendo il Quinto mai proceduto al coinvolgimento del
Lopatriello nell’esecuzione dei lavori originariamente richiesti al solo Di Stefano.

11. Entrambi i ricorrenti hanno avanzato istanza per la preliminare sospensione dell’esecuzione della sentenza d’appello.

12. Con memorie contenenti motivi aggiunti ex art. 585 c.p.p., pervenute in
data 6/5/2014, i difensori degli imputati hanno invocato la pronuncia
dell’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per avere le parti civili
trasferito in sede civile l’azione risarcitoria proposta in questa sede, con la conseguente avvenuta revoca della costituzione di parte civile ex art. 82 c.p.p..

13.

Con due distinte memorie pervenute in data 15/5/2014 e in data

28/11/2014 le parti civili hanno concluso, previo rigetto del ricorso, per la conferma della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
14. Osserva il collegio che la sopravvenuta proposizione, da parte degli eredi
del lavoratore deceduto, della domanda di risarcimento dei danni dinanzi al Tribunale civile di Matera (cfr. l’atto di citazione allegato alle memorie degli imputati contenenti motivi aggiunti ex art. 585 c.p.p., pervenute in data 6/5/2014) vale
a integrare un atto di revoca tacita della costituzione di parte civile

ex art. 82

c.p.p. (ai sensi del quale la costituzione s’intende revocata se la parte civile promuove l’azione davanti al giudice civile).
Sul punto, vale richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza
di legittimità, secondo cui devono ritenersi sussistenti i presupposti della revoca

5

all’interno dello stesso, di lavori edili e di ingegneria civile.

tacita della costituzione di parte civile, qualora nell’atto di citazione, successivamente proposto davanti al giudice civile, non siano determinati gli elementi di
autonomia che contraddistinguono la diversità della nuova domanda risarcitoria
o restitutoria rispetto all’atto di costituzione di parte civile, in guisa da realizzare
un’inequivoca coincidenza fra le due domande civili e, quindi, un duplice esercizio
della medesima azione che integra l’ipotesi della revoca di cui all’art. 82, co. 2,
cod. proc. pen. (Sez. 5, Sentenza n. 28753 del 08/06/2005, Rv. 232298; cfr. altresì Sez. 4, Sentenza n. 21588 del 23/03/2007, Rv. 236722; Sez. 2, Sentenza

Nel caso di specie, con la domanda da ultimo avanzata dinanzi al giudice civile, le odierne parti civili – lungi dal limitarsi alla rivendicazione della sola liquidazione dei danni a seguito dell’intervenuta condanna del Di Stefano e del Quinto
in sede penale – hanno espressamente invocato l’accertamento (recte, un nuovo
accertamento) della responsabilità dei due convenuti per i medesimi fatti già oggetto del presente procedimento penale (“accertare, dichiarare e dare atto, per i
motivi di cui alla superiore parte espositiva, che i sig.ri Di Stefano Francesco e
Quinto Guido Amedeo sono responsabili delle lesioni riportate dal sig. Lopatriello
Cosimo Damiano, a causa delle quali ha subito danni materiali, morali, biologici
ed esistenziali che devono essere risarciti”, con la dichiarazione del diritto dei
danneggiati di vedersi riparare detti danni e la conseguente condanna dei convenuti alla corresponsione di detto risarcimento: cfr. l’atto di citazione, cit.).
Tale azione, per i caratteri costitutivi che la individuano negli elementi essenziali della causa petendi e del petitum, valgono a integrare il ricorso della
medesima domanda civile già proposta in sede di costituzione di parte civile nel
processo penale, non avendo gli attori evidenziato alcun elemento di autonomia
idoneo a contraddistinguere la diversità della nuova domanda risarcitoria rispetto
a quella proposto attraverso l’originario atto di costituzione di parte civile.

15. Sulla base di tali premesse, preso atto dell’intervenuta revoca della costituzione di parte civile, dev’essere disposto l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata.
Al riguardo, è appena il caso di richiamare sul punto l’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la revoca della costituzione di parte civile, determinando l’estinzione del rapporto processuale civile inserito nel processo penale, impedisce al giudice penale di mantenere ferme le statuizioni civili relative a un rapporto processuale ormai estinto. Di conseguenza il
giudice di legittimità, investito di un ricorso proposto dall’imputato e relativo alla
responsabilità penale, preso atto della revoca, deve annullare senza rinvio la
sentenza in ordine alle statuizioni civili in essa contenute (Sez. 4, Sentenza n.

6

n. 62 del 16/12/2009, Rv. 246266).

31320 del 15/04/2004, Rv. 228839; Sez. 6, Sentenza n. 12447 del 15/05/1990,
Rv. 185345; v. altresì Sez. 1, Sentenza n. 41307 del 07/10/2009, Rv. 245041),
senza adozione di alcun provvedimento in ordine alla liquidazione delle spese
del giudizio in favore delle parti civili.

P.Q.M.
La Corte di Cassazione, la Corte Suprema di Cassazione, annulla senza rinvio la sentenza impugnata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19/12/2014.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA