Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3453 del 19/12/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3453 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RINALDO PATRIZIA N. IL 16/02/1958
avverso la sentenza n. 1280/2013 CORTE APPELLO di TORINO, del
26/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/12/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FELICETTA MARINELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.(-a,.
che ha concluso per ‘IL
.

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

cjau
,
cti

Data Udienza: 19/12/2014

Con sentenza in data 26 ottobre 2012 il G.U.P. del
Tribunale di Cuneo, all’esito di giudizio abbreviato,
dichiarava Rinaldo Patrizia colpevole in ordine ai reati
di cui agli articoli 589 I e III comma n.1 e ultimo
comma c.p. (capo a),81 c.p., 189 numeri 6 e 7 del Codice
della Strada (capo b), 186 commi 2 lett.c) e 2 bis del
Codice della Strada (capo c), 186 n.7 del Codice della
Strada (capo d) e la condannava per il delitto sub a)
alla pena di anni 3 e mesi 3 di reclusione,per il
delitto sub c) alla pena di anni uno di arresto ed euro
6.000 di ammenda, per i delitti sub b) e d), ritenuta
tra essi la continuazione, alla pena di anni uno di
reclusione.
Alla Rinaldo era stato contestato di avere cagionato la
morte di Barberis Giovanni e Viale Margherita, nonché
lesioni a Sordello Anna Maria, Amato Carla, Campana
Carlo, Vallauri Maddalena e Dalmasso Franco,
investendoli con la propria autovettura, per colpa
consistita nell’avere guidato in stato di ebbrezza
alcolica, non regolando la velocità del mezzo in modo da
evitare pericolo per la sicurezza delle persone, e non
conservandone il controllo in modo da essere in grado di
arrestarsi, tenuto conto della presenza di pedoni che
stavano attraversando la carreggiata partecipando ad una
processione sacra, così investendoli. All’imputata era
stato altresì contestato di non avere ottemperato
all’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza alle
persone ferite (capo b della rubrica).
Avverso la sentenza di cui sopra proponeva appello la
difesa dell’imputata.
La Corte di Appello Torino in parziale riforma della
sentenza emessa nel giudizio di primo grado,
riconosciute le attenuanti generiche, rideterminava la
pena per il reato di cui all’art.590 c.p. in anni due,
mesi sei di reclusione per il reato di cui al capo a),
rideterminava la pena per il reato di cui al capo c) in
mesi sei di arresto ed euro 3.000 di ammenda, per i
reati di cui ai capi b) e d), già riuniti in
continuazione, in mesi otto di reclusione, confermava
nel resto.
Avverso la predetta sentenza Rinaldo Patrizia, a mezzo
del suo difensore, proponeva ricorso per Cassazione e
concludeva chiedendone l’annullamento per il seguente
motivo:
violazione degli articoli 606 lett. b) ed e), 530
c.p.p., 189 comma VII del Codice della Strada. Secondo
la difesa non era condivisibile la motivazione della

RITENUTO IN FATTO

CONSIDERATO IN DIRITTO

LA CORTE DI CASSAZIONE che i proposti
OSSERVA
motivi di ricorso non sono fondati.
Per quanto attiene al difetto di motivazione, si osserva
(cfr. Cass., Sez.4, Sent. n.4842 del 2.12.2003, Rv.
229369) che, nel momento del controllo della
motivazione, la Corte di Cassazione non deve stabilire
se la decisione di merito proponga la migliore
ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se
questa giustificazione sia compatibile con il senso
comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento; ciò in quanto l’art.606, comma 1, lett.e)
c.p.p. non consente a questa Corte una diversa lettura
dei dati processuali o una diversa interpretazione delle
prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il
controllo sulla correttezza della motivazione in
rapporto ai dati processuali.
Tanto premesso la motivazione della sentenza impugnata
appare logica e congrua e supera quindi il vaglio di
questa Corte nei limiti sopra indicati. I giudici della
Corte di appello di Torino hanno infatti chiaramente
evidenziato gli elementi da cui hanno dedotto la
sussistenza della responsabilità della Rinaldo in ordine
al reato di omissione di soccorso ascrittole. In
particolare hanno evidenziato che era pacifico che la
Rinaldo era fuggita sulla sua autovettura subito dopo
l’incidente, senza prestare soccorso ai feriti e senza
neppure effettuare una breve sosta, non ottemperando
quindi all’obbligo di fermarsi, non consentendo la sua

sentenza impugnata in relazione al reato di omissione di
concorso in quanto carente e in contraddizione con le
risultanze in atti laddove aveva affermato la
sussistenza del reato in considerazione della fuga
immediata senza alcun accertamento circa la effettiva
attivazione dei soccorsi da parte dei terzi”. Osservava
la difesa che nella fattispecie che ci occupa la
ricorrente aveva investito persone che, unitamente a
molte altre, stavano partecipando in gruppo ad una
processione. Pertanto era evidente che i feriti in una
tale situazione erano stati immediatamente soccorsi,
come risultava dalle dichiarazioni dei testi Campana
Carlo,Papalia Domenico e Alberti Francesco. La
ricorrente pertanto si sarebbe allontanata dal luogo del
sinistro con la piena e fondata certezza, raggiunta
prima ancora di proseguire la marcia, che la necessaria
assistenza veniva prestata dalle numerosissime persone
presenti.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 19.12.2014

immediata identificazione e non prestandosi alla
ricostruzione dei fatti.
Veniva a tal proposito fatto riferimento alla
condivisibile giurisprudenza di questa Corte (cfr, tra
le altre, Cass., sez.4, sent. n.4380 del 2.12.1994,
R.201501) secondo cui il reato di omissione di soccorso
in caso di investimento non sussiste allorchè
l’investito non riporti alcuna lesione o quando la
necessaria assistenza sia stata prestata da altri ovvero
l’investitore ne deleghi ad altri il compito. Poiché,
però, tali fatti devono essere accertati prima che
l’investitore si allontani dal luogo dell’incidente, il
reato è configurabile tutte le volte che questi non si
fermi e si dia alla fuga a nulla rilevando che in
concreto l’assistenza sia stata prestata da altri, se
l’investitore ignori la circostanza perché è fuggito.
Pertanto i giudici della Corte territoriale hanno
ritenuto che, nella fattispecie che ci occupa, la fuga
immediata senza alcun accertamento circa la effettiva
attivazione dei soccorsi da parte di terzi lascia
sussistere il reato, non potendo rilevare lo stato di
shock in cui si sarebbe trovata la ricorrente al momento
della fuga, potendo tale stato al massimo essere preso
in considerazione ai fini della determinazione della
pena ex art.133 c.p. (anche su tale punto veniva citata
pertinente giurisprudenza di questa Corte).
Il proposto ricorso deve essere, pertanto, rigettato e
la ricorrente condannata al pagamento delle spese
processuali.

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