Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3443 del 07/10/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3443 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CARDELLA SALVATORE N. IL 19/10/1990
avverso la sentenza n. 1428/2013 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 23/09/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.1-4-.~., tr,~
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che ha concluso per U 1A.
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Udito, p a parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 07/10/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Palermo ha
confermato quella emessa dal Tribunale di Trapani il 9.9.2012 nei confronti di
Cardella Salvatore, giudicato responsabile di omicidio colposo commesso in
danno di Brucia Maurizio con violazione di norme in materia di circolazione
stradale e perciò condannato alla pena ritenuta equa.
Secondo l’accertamento condotto nei gradi di merito, verso le ore 20,30 del
16 maggio 2009, lungo la SS 113, nel territorio del Comune di Trapani, si

Cardella Salvatore e il ciclomotore Ape Piaggio condotto da Brucia Maurizio. Nella
collisione il Brucia riportava lesioni che ne cagionavano il decesso.
Nella ricostruzione della dinamica del sinistro la Corte di Appello ha ritenuto
che l’impatto tra i due veicoli fosse avvenuto in prossimità della linea di mezzeria
e che ciò fosse accaduto perché il Cardella aveva affrontato la semicurva
destrorsa prossima al luogo dell’incidente procedendo ad una velocità non
adeguata alle condizioni dell’asfalto e all’umidità, stimata dal perito nominato dal
primo giudice in non meno di 85 km/h, e si era deliberatamente spostato verso
la linea di mezzeria al fine di evitare una deformazione del manto stradale a lui
nota, così venendo a collidere con il veicolo condotto dal Brucia che, per ragioni
non accertate, stava procedendo anch’egli in prossimità della linea di mezzeria,
così concorrendo a cagionare il sinistro.

2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione il Cardella a mezzo del
difensore di fiducia, avv. Domenico Amoroso.
2.1. Con un primo motivo deduce la nullità della sentenza impugnata per
violazione di norma processuale, in relazione all’art. 522 cod. proc. pen.
L’esponente lamenta la imnnutazione dell’accusa operata dal giudice di
primo grado; immutazione che, rappresentata alla Corte di Appello con specifico
motivo di gravame, è stata da questa erroneamente e con motivazione
manifestamente illogica ritenuta insussistente. Infatti, mentre l’originaria
contestazione ascriveva all’imputato di aver causato la morte del Brucia con
comportamento negligente, imprudente ed imperito ed altresì mantenendo una
velocità eccessiva in relazione alle condizioni della strada e della guida notturna,
così perdendo il controllo del veicolo ed invadendo la corsia opposta, solo con la
sentenza il fatto addebitato al Cardella era divenuto quello di aver tenuto una
velocità che non gli aveva permesso, anche per l’umidità del manto stradale, di
contrastare la forza centrifuga e quindi di mantenersi all’interno della propria
corsia.

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verificava uno scontro frontale tra l’autovettura Citroen Saxo condotta da

2.2. Con un secondo motivo si lamenta violazione della legge penale e vizio
motivazionale per aver la Corte di Appello omesso di confrontarsi con i rilievi che
con l’atto di appello si era mossi alle affermazioni rese dal perito nominato dal
Giudice dell’udienza preliminare, ing. Caramma, in ordine alla localizzazione del
punto di impatto tra i veicoli. Rilievi che attenevano alle incongruenze rilevate
dalla difesa nelle dichiarazioni rese dal perito.
2.3. Con un terzo motivo si lamenta violazione di legge e vizio motivazionale
in relazione al concorso causale del comportamento della vittima, che si è

sinistro; inoltre non si è spiegato se la condotta doverosa del Cardella, tenuto
conto di quella gravemente colposa della vittima, avesse o meno scongiurato il
sinistro ove tenuta.
2.4. Con un quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 546, lett. e)
cod. proc. pen. per aver omesso la Corte di Appello di prendere in esame i rilievi
formulati dall’appellante a riguardo della mancanza di scientificità delle
conclusioni tratte dal perito.
2.5. Con un quinto motivo si denuncia ‘travisamento del fatto e motivazione
illogica’, per aver la Corte di Appello affermato che il veicolo del Cardella si era
portato completamente nella corsia di pertinenza del Brucia, in contrasto con
tutte le acquisizioni processuali.
2.6. Con un sesto motivo si denuncia inosservanza dell’art. 43 cod. pen. e
violazione dell’art. 546 lett. e) cod. proc. pen. per aver la Corte di Appello
omesso di enunciare le ragioni sulla scorta delle quali ha disatteso i motivi che si
erano esposti a riguardo della infondatezza del giudizio di sussistenza dei profili
di colpa in capo al Cardella.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
3.1. Nella giurisprudenza di legittimità è del tutto consolidata una
interpretazione teleologica del principio di correlazione tra accusa e sentenza
(art. 521 c.p.p.), per la quale questo non impone una conformità formale tra i
termini in comparazione ma implica la necessità che il diritto di difesa
dell’imputato abbia avuto modo di dispiegarsi effettivamente, risultando quindi
preclusi dal divieto di immutazione quegli interventi sull’addebito che gli
attribuiscano contenuti in ordine ai quali le parti – e in particolare l’imputato non abbiano avuto modo di dare vita al contraddittorio, anche solo dialettico. Sia
pure a mero titolo di esempio può citarsi la massima per la quale “ai fini della
valutazione di corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’art. 521
c.p.p. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di
tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che

apoditticamente affermato incidente nella misura del 60% sulla causazione del

hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto
modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento
della decisione” (Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013 – dep. 29/11/2013, Di
Guglielmi e altro, Rv. 257278). Nella specifica materia dei reati colposi la
concreta applicazione delle indicazioni giurisprudenziali incorre in alcune peculiari
difficoltà, derivanti dal fatto che la condotta colposa – in specie omissiva e
massimamente se commissiva mediante omissione – può essere identificata solo
attraverso la integrazione del dato fattuale e di quello normativo, con un

specie commissivi – la condotta tipica risulta identificabile per la sua
corrispondenza alla descrizione fattane dalla fattispecie incriminatrice (reati di
pura condotta) o per la sua valenza eziologica (reati di evento), nei reati omissivi
impropri colposi la condotta tipica può essere individuata solo a patto di
identificare la norma dalla quale scaturisce l’obbligo di facere e la regola
cautelare che avrebbe dovuto essere osservata. Quest’ultima, in particolare, può
rinvenirsi in leggi, ordini e discipline (colpa specifica), oppure in regole sociali
generalmente osservate o prodotte da giudizi di prevedibilità ed evitabilità (colpa
generica).
Com’è evidente, l’una e l’altra operazione sono fortemente tributarie della
precisa identificazione del quadro fattuale determinatosi e nel quale si è trovato
inserito l’agente/omittente; tanto che una modifica anche marginale dello
scenario fattuale può importare lo stravolgimento del quadro nomologico da
considerare. Di qui il ricorrente richiamo da parte della giurisprudenza di
legittimità alla necessità di tener conto della complessiva condotta addebitata
come colposa e di quanto è emerso dagli atti processuali; ove risulti
corrispondenza tra tali termini, al giudice è consentito di aggiungere agli
elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di
specificazione della colpa, perché sostanzialmente non sottratti al concreto
esercizio del diritto di difesa (ex multis, Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013 – dep.
20/12/2013, Miniscalco e altro, Rv. 257902). L’accento posto sul concreto
svolgimento del giudizio marginalizza – nella ricerca di criteri guida nella verifica
del rispetto del principio di correlazione – un approccio fondato sulla tipologia
dell’intervento dispiegato dal giudice (ad esempio, quello che si rifà alla presenza
di una contestazione di colpa generica per affermare l’ammissibilità di una
dichiarazione di responsabilità a titolo di colpa specifica). Si può aggiungere, in
questa sede, che la centralità della proiezione teleologica del principio in parola
conduce a ritenere che, ai fini della verifica del rispetto da parte del giudice del
principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza, è decisivo che la ricostruzione
fatta propria dal giudice sia annoverabile tra le (solitamente) molteplici

continuo trascorrere dal primo al secondo e viceversa. Mentre nei reati dolosi – in

narrazioni emerse sul proscenio processuale (ferma restando l’estraneità al tema
in esame della qualificazione giuridica del fatto). La principale implicazione di tale
assunto è che, dando conto del proprio giudizio con la motivazione, il giudice è
chiamato ad esplicare i dati processuali che manifestano la presenza della
“narrazione” prescelta tra quelle con le quali si sono confrontate le parti,
direttamente o indirettamente, esplicitamente o implicitamente.
3.2. Calando tali premesse nella vicenda in esame, va ritenuta la perfetta
correttezza della valutazione operata dalla Corte di Appello, la quale ha

contiene in se il non aver mantenuto il margine destro della corsia di pertinenza;
– che è inalterato il profilo di colpa del non aver mantenuto una velocità
adeguata alle condizioni ambientali e della strada; – che non vi è alcun
pregiudizio patito dall’imputato perché la rimodulazione della dinamica del
sinistro era stata operata dal primo giudice a seguito dell’attività probatoria
espletata nel contraddittorio tra le parti in seno alll’udienza preliminare.
3.3. Il secondo motivo è pure infondato. Il ricorrente rimarca le ritenute
incongruenze emergenti dalla dichiarazione del Caramma e la valutazione che
dell’apporto peritale ha fatto la Corte di Appello; tutto ciò al fine di inficiare le
conclusioni alle quali questi era pervenuto, individuando il punto di impatto tra i
veicoli al centro della carreggiata, in prossimità della linea di mezzeria, in modo
da far preferire le indicazioni del c.t. della difesa, per il quale l’impatto era
avvenuto nella semicarreggiata di pertinenza del Cardella. Ma si tratta di rilievi in
definitiva inconferenti: la Corte di Appello, dopo aver preso in esame gli elementi
di discordia tra le opposte ricostruzioni, ha posto in risalto come lo stesso c.t.
della difesa avesse finito con l’individuare il punto di impatto nei medesimi
termini del perito dell’ufficio; e ciò ha fatto con testuali richiami ai plurimi
passaggi in cui erano state espresse le enunciazioni pertinenti.
Sicchè, anche se fosse condivisibile la censura mossa al perito e alle relative
valutazioni fatte dalla Corte distrettuale, rimarrebbe la validità del giudizio in
ordine al punto di impatto (e quindi alla complessiva dinamica del sinistro),
confermata dallo stesso consulente della difesa.
3.4. Inammissibile è il terzo motivo. Come puntualizzato in più occasioni da
questa Corte, le statuizioni del giudice di merito in ordine alla quantificazione
delle percentuali di concorso delle colpe del reo e della vittima nella
determinazione causale dell’evento costituiscono apprezzamento di fatto non
censurabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 43159 del 20/06/2013 – dep.
22/10/2013, P.C. e Sparapani, Rv. 258083). Non risponde invece al vero che la
Corte territoriale non abbia spiegato se la condotta doverosa del Cardella, tenuto
conto di quella gravemente colposa della vittima, avesse o meno scongiurato il

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evidenziato: – che l’originario addebito (invasione dell’opposta corsia di marcia)

sinistro ove tenuta: la sentenza impugnata afferma a chiare lettere che se il
Cardella avesse mantenuto la propria destra l’impatto non si sarebbe verificato
perché egli sarebbe ‘sfilato’ prima che il ciclomotore giungesse ad intersecare la
sua traiettoria di marcia.
3.5. Tanto conduce alla inammissibilità anche del quarto motivo, con il quale
si svolgono censure che non tengono conto della ratio decidendi. Si insiste infatti
sulla decisività della esatta identificazione della velocità ‘eccessiva’, e su tale
base ci si duole dell’omessa motivazione in replica all’atto di appello, omettendo

rilievo era stata la violazione dell’obbligo di tenere la destra; e che ove così non
fosse stato il Cardella sarebbe stato in grado di scansare il ciclomotore che
proveniva dal senso contrario, senza ancora invadere la sua corsia. Nonostante
la chiara affermazione della Corte distrettuale il ricorso indugia sull’avallo dato
dai giudici di secondo grado alle conclusioni del perito in tema di velocità di
marcia del Cardella.
3.6. E’ ancora inammissibile il quinto motivo. E’ vero che la Corte di Appello
afferma a pg. 10 che il Cardella invase la semicarreggiata percorsa dal Brucia,
con ciò incorrendo in contraddizione rispetto a quanto sino ad allora espresso.
Tuttavia il ricorrente non indica neppure quale incidenza abbia avuto tale
contraddizione sulla complessiva tenuta della motivazione, chiaramente
articolata sulla ricostruzione fattuale che vedeva il Cardella esser rimasto nella
propria corsia, sia pure indebitamente spostato verso la linea di mezzeria. Ne
deriva la inammissibilità del motivo.
3.7. Inammissibile, infine, è anche il sesto motivo, che si limita a richiamare
la proposizione di ‘una serie di argomenti’ presentati con l’appello, che la Corte
distrettuale avrebbe disatteso senza enunciarne le ragioni. Non è compito di
questa Corte quello di interpretare l’atto di appello per enuclearne i contenuti e
confrontarli con la sentenza di secondo grado; spetta al ricorrente, facendo
perfetta osservanza dell’art. 581 cod. proc. pen., indicare specificamente le
ragioni che sorreggono ogni richiesta.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7/10/2 14.

di considerare che la Corte di Appello ha chiaramente esplicitato che di assoluto

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