Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34421 del 23/06/2017

Penale Sent. Sez. 6 Num. 34421 Anno 2017
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
A.A.
B.B.

avverso la sentenza del 22/09/2016 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA PETRUZZELLIS
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARIA
FRANCESCA LOY che ha concluso per il rigetto del ricorso di A.A.,
e per l’inammissibilità del ricorso di B.B.

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 22/09/2016, ha confermato
l’affermazione di responsabilità di A.A. e B.B.
pronunciata dal Tribunale di Milano il 08/03/2016, in relazione all’imputazione di
cui all’art. 73 d.P.R. 9/10/1990 n 309 attinente alla detenzione di 45 gr netti di
cocaina pura al 72%.

2. Con il ricorso proposto dalla difesa di B.B. si deduce mancanza
di motivazione e contraddittorietà della sentenza, nella parte in cui, pur dando
conto che il quantitativo maggiore della sostanza era stato rinvenuto indosso ai
coimputati in uscita dall’abitazione del ricorrente, presso la quale ne era rimasta

Data Udienza: 23/06/2017

una minore entità, compatibile con l’uso personale, aveva attribuito la
detenzione a fini di spaccio anche all’interessato, oltre che manifesta illogicità
della motivazione, nella parte in cui è stata ritenuta la valenza dimostrativa delle
captazioni sonore degli operanti, senza argomentare sulle allegazioni della difesa
che, facendo perno sulla struttura dell’abitazione, avevano dimostrato
l’impossibilità per B.B. di percepire tutto quanto avveniva nell’alloggio in

uso.

3. La difesa di A.A. ha proposto ricorso eccependo:
3.1. violazione di legge processuale, per avere la Corte negato un rinvio
dell’udienza per legittimo impedimento dell’interessata, derivante da condizioni
di salute ostative alla partecipazione, pienamente documentate.
Si deduce inoltre violazione di legge processuale, individuabile nella non
corretta analisi della provvista indiziaria.
3.2. violazione di legge penale, all’atto in cui non è stata individuata la
condotta, ascrivibile all’interessata, integrante il concorso nel reato, desunto solo
dalla presenza della donna nell’appartamento, connessa alla necessità di
assumere la propria dose di stupefacente, e pertanto non distinguibile dalla
connivenza non punibile.
3.3. violazione di legge penale, in ordine alla non ritenuta qualificabilità
dei fatti ai sensi del comma 5 della norma incriminatrice, stante l’entità della
sostanza rinvenuta, che deve essere considerata al netto della parte in uso ai
quattro partecipi, tutti tossicodipendenti, circostanza che imponeva di
considerare una parte di quanto sequestrato ad uso personale.

CONSIDEFtATO IN DIRITTO
1. Il ricorso della A.A. è fondato, per motivi processuali, mentre quello
formulato nell’interesse di B.B. è inammissibile.

2. Risulta invero che, nel corso del’udienza di appello, la A.A. fece
pervenire un certificato medico, redatto in Romania, che attestava il suo stato di
gravidanza e l’emergere di complicanze che le impedivano di mettersi in viaggio
con qualsiasi mezzo; tale attestazione risulta incongruamente valutata
intempestiva dalla Corte territoriale, senza considerare che proprio l’insorgere
delle complicanze, che stando al certificato erano databili in quel lasso
temporale, e la loro imprevedibilità, era idonea a precludere una comunicazione
anticipata rispetto alla data di udienza, cosicché le osservazioni contenute
2

e

nell’ordinanza sulla base delle quali è stato respinta la richiesta di rinvio per
legittimo impedimento risultano non pertinenti rispetto a quanto allegato.
La situazione descritta ha precluso di fatto l’esercizio del diritto di difesa, e
realizzato conseguentemente una causa di nullità del procedimento, che impone
l’annullamento della pronuncia, con riguardo all’interessata, con rinvio a diversa
sezione della Corte d’appello, per nuovo giudizio.

3. A diversa conclusione deve pervenirsi quanto all’impugnazione proposta
dal coimputato. Al di là della constatazione dell’avvenuta proposizione di rilievi in
fatto, con riferimento sia al collegamento di B.B. con lo stupefacente, che
alla possibilità di percezione da parte dei verbalizzanti dei discorsi captati
all’interno dell’abitazione, quel che preliminarmente rileva è che B.B. non
risulta aver contestato nel corso del giudizio la possibilità di ricondurre alla sua
persona lo stupefacente sequestrato, poiché al pari di tutti i coimputati in primo
grado, ad eccezione della A.A., si limitò a far riferimento ad un acquisto per la
cessione ad una festa.
Le pronunce di merito hanno contrastato l’affidabilità della ricostruzione, sia
per la vaghezza della deduzione, che per la mancanza di indicatori su un previo
incarico all’acquisto, che comunque imponeva di escludere la fattispecie da
quella dell’uso di gruppo, sia da ultimo per gli indicatori di fatto tratti dal
presenza dell’odierno ricorrente nell’alloggio, intento a formare dosi di
stupefacente, con l’utilizzo degli strumenti necessari a tal fine, cosicché del tutto
eccentrica rispetto alle censure proposte in sede di merito risulta la
contestazione inerente all’ampiezza ed alla coerenza della motivazione sul punto
della mancata qualificazione della detenzione ad uso personale, non oggetto di
giudizio in quella sede.
Per completezza si rileva che la ricostruzione contenuta in ricorso, che tende
a limitare la correlazione di B.B. con lo stupefacente al quantitativo
minore rinvenuto nell’alloggio all’atto dell’intervento, e ad escluderla per la parte
trovata indosso al coimputato in uscita, ignora la presenza antecedente e
comune dei quattro nell’alloggio dove si confezionavano le dosi, che, come
correttamente rilevato nella pronuncia e non diversamente giustificato, non può
assumere alcuna diversa chiave di lettura, stante l’illogicità di una condivisione
dell’attività di confezionamento, per un lungo lasso temporale secondo quanto
osservato dai verbalizzanti, con un mero consumatore della sostanza.
L’estraneità della deduzione dall’ambito delle censure rilevabili nel giudizio di
legittimità impone l’accertamento di inammissibilità del gravame e,
conseguentemente, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese

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processuali e della somma indicata in dispositivo, ritenuta equa, in favore della
Cassa delle ammende.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di A.A. e rinvia
per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.

condanna al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di
euro 1.500 alla Cassa delle ammende.
Così deciso il 23/06/2017

Dichiara inammissibile il ricorso di B.B. che

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