Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3442 del 07/10/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3442 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

su)ricor9 propost4 da:
FALLANCA PAOLO N. IL 02/01/1946
PELLICANO’ CARMELA N. IL 09/03/1953
avverso la sentenza n. 5173/2010 CORTE APPELLO di TORINO, del
28/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per -e Prit,~.-.15tv2,47.,’ 40 v6,1.),

Udito, per la arte civile, l’Avv
Uditi dif sor Avv.

Data Udienza: 07/10/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Il 9 giugno 2005, in Romentino, in occasione di lavori commissionati dalla
TAV S.p.A. al Consorzio Alta Velocità, nella tratta ferroviaria Novara-Milano, Vito
Finotti, autista dipendente della società MTM s.n.c., dopo aver scaricato del
materiale bituminoso presso il cantiere che vi era stato collocato, arrestava in
uno spiazzo adiacente la pista di cantiere il camion Man 460 alla cui guida
attendeva; quindi comandava il sollevamento del cassone per ripulirlo dei residui
ma, così facendo, provocava il contatto dello stesso con la sovrastante linea di

attraverso il mezzo, si disperdeva a terra

e raggiungeva il lavoratore,

provocandone la morte.
A Fallanca Paolo e a Pellicanò Carmela, soci amministratori della MTM s.n.c.,
veniva contestato di aver cagionato (con altri) il sinistro, mancando di adottare
idonee misure di informazione e formazione del Finotti, essendo emerso che il
lavoratore non aveva ricevuto alcuna istruzione sulle modalità con le quali
eseguire l’operazione di pulizia del cassone.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Torino ha
riformato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Novara – che aveva
condannato il Fallanca e la Pellicanò alla pena ritenuta equa avendoli giudicati
responsabili del grave sinistro – riconoscendo al Fallanca la circostanza
attenuante di cui all’articolo 62 n. 6 cod. pen., equivalente alla contestata
aggravante, e pertanto riducendo la pena inflitta dal primo giudice a mesi otto di
reclusione, con la conferma della sentenza nel resto; e riconoscendo altresì alla
Pellicanò la medesima circostanza, ma con giudizio di prevalenza sulla contestata
aggravante, con l’effetto di concludere per la improcedibilità nei confronti della
medesima per essere il reato ascrittole estinto per prescrizione.

2. Avverso tale decisione ricorrono per cassazione gli imputati Fallanca Paolo
e Pellicanò Carmela a mezzo del comune difensore di fiducia, avv. Antonino
Delfino.
3.1. Con un primo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata per
violazione di norma processuale, essendo stata rigettata l’istanza di rinvio
dell’udienza dibattimentale dinanzi alla Corte di appello del 28 febbraio 2013,
con la quale era stata documentata l’impossibilità della Pellicanò di presenziare al
dibattimento per ragioni di salute. L’esponente si duole del fatto che la Corte
territoriale, a fronte della richiesta di rinvio confortata da certificazione medica
attestante l’assoluta impossibilità a comparire, non abbia, prima di ritenere
indimostrato l’assoluto impedimento, disposto accertamenti mediante visita

alta tensione e la generazione di una scarica elettrica la quale, passando

fiscale; si duole altresì della motivazione con la quale è stata respinta l’istanza di
d ifferi mento.
3.2. Con un secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per
violazione degli articoli 34, 35 e 36 cod. proc. pen. per aver partecipato alla
deliberazione della sentenza impugnata il dottor Alberto Puccinelli quale
componente del Collegio di appello, il quale aveva in separato procedimento
pronunciato sentenza di condanna della Pellicanò per il reato di cui all’art. 7, co.
2 d.lgs. n. 494/1996, perchè nella qualità di socio amministratore della MTM

presenti all’attuazione degli interventi di protezione e di prevenzione dei rischi.
Fatto che era stato contestato alla Pellicanò come commesso in epoca anteriore e
prossima al 10 giugno 2005. Ad avviso dell’esponente si tratta di reato
contestato a seguito dell’infortunio mortale occorso al Finotti e pertanto il
giudicante avrebbe dovuto astenersi, atteso che si era già pronunciato sulla
colpevolezza della Pellicanò con riferimento allo stesso fatto dal quale è discesa
la responsabilità per il delitto per il quale è processo.
3.3. Con un terzo motivo si deduce violazione dell’art. 606 cod pen., in
relazione all’art. 192 cod. proc. pen. nonché l’illogicità manifesta della sentenza e
l’omessa motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti.
Rileva l’esponente che la Corte di appello non ha adeguatamente dato conto
delle ragioni che l’hanno determinata ad affermare la responsabilità degli
imputati. L’esponente lamenta altresì la mancata valutazione da parte giudicante
di alcune circostanze segnalate con i motivi di appello ovvero: che non era il
primo viaggio che il Finotti effettuava nell’area in cui avvenne il sinistro; che non
può escludersi che egli abbia volontariamente posto fine alla propria esistenza;
che l’area in questione era utilizzata per scopi diversi dalla pulitura dei cassoni;
che trattandosi di trasporto occasionale eseguito dal Finotti, non esisteva alcun
obbligo di cui al d.lgs. n. 494/1996; che non vi è prova dell’esistenza di un
subappalto tra la MTM e le altre imprese operanti nel cantiere; che erano
esistenti strumenti idonei per segnalare la presenza di cavi e che gli stessi erano
visibili; che il Finotti versava in grave stato depressivo; che il lavoro svolto dagli
imputati atteneva non ad un subappalto ma ad un contratto di prestazione
d’opera ovvero di nolo a caldo.
L’esponente aggiunge che non corrisponde al vero che gli imputati non
ebbero a formare adeguatamente il dipendente, emergendo il contrario dagli atti
dalla documentazione processuale. Inoltre l’incidente era da attribuire non alla
circostanza che il conducente fosse privo di adeguata formazione ma al fatto che
non erano state adottate dal responsabile cantiere le misure di prevenzione
idonee ad evitare il verificarsi dell’incidente.

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s.n.c., presso il cantiere sito in Romentino ometteva di cooperare con le ditte

3.4. Con un quarto motivo si lamenta violazione di legge e manifesta
illogicità della motivazione in punto di mancata concessione delle attenuanti
generiche con criterio di prevalenza, la eccessività della pena finale nonché la
contraddittorietà fra l’applicazione delle attenuanti generiche e dell’attenuante
del danno risarcito ed il giudizio di equivalenza di queste con l’aggravante
contestata. In particolare l’esponente deduce la violazione del divieto di
reformatio in peius, posto che la Corte di Appello, a seguito dell’impugnazione
proposta dall’imputato, ha riconosciuto la sussistenza di una nuova circostanza

primo giudice.

CONSIDERATO IN DIRITTO
4. I ricorsi vanno rigettati.
4.1. In via preliminare va rilevato che la declaratoria di estinzione del reato
per prescrizione che ha riguardato la posizione della Pellicanò determina che
l’esame del relativo ricorso deve essere condotto secondo la particolare
prospettiva tracciata dall’art. 129 cod. proc. pen.; dovendosi quindi verificare ove non risulti l’inammissibilità dell’impugnazione (cfr. Sez. 2, n. 28848 del
08/05/2013 – dep. 08/07/2013, Ciaffoni, Rv. 256463; Sez. U, n. 32 del
22/11/2000 – dep. 21/12/2000, De Luca, Rv. 217266) – se emerga l’evidenza
dell’innocenza dell’imputata, ove l’evidenza va intesa come ricorrenza di
circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del
medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergente dagli atti
in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione giudiziale si
risolva in una “constatazione” piuttosto che in un “apprezzamento”, non
richiedendosi alcun accertamento o approfondimento (cfr. Sez. U, n. 35490 del
28/05/2009 – dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244274).
4.2. Poiché i primi due motivi di ricorso attengono alla sola posizione della
Pellicanò va rammentato che, essendo stata già rilevata una causa estintiva del
reato, una eventuale nullità processuale, anche assoluta e insanabile, non può
avere alcuna rilevanza, non potendosi in ogni caso procedere alla rinnovazione
del giudizio. Peraltro, posto che il provvedimento con cui il giudice di merito
rigetta l’istanza di rinvio del dibattimento è sottratto al sindacato di legittimità
qualora sia congruamente e logicamente motivato con riferimento al fatto che
l’impedimento dedotto non riveste i caratteri di assolutezza richiesti dalla legge
(Sez. 5, n. 35170 del 20/09/2005, Ornaghi, Rv.232568), deve essere rilevato
come nel caso di specie la Corte di Appello abbia esplicitato le ragioni per le quali
ha ritenuto che non vi fosse prova dell’assoluta impossibilità a comparire della
Pellicanò, svolgendo una non manifestamente illogica critica alla attendibilità di
una diagnosi (di “aritmia cardiaca, in paziente on protesi valvolare”) emessa

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attenuante e ciò nondimeno ha confermato il giudizio di equivalenza espresso dal

non da medico specialista in cardiologia o da struttura sanitaria pubblica ed
internamente contraddittoria per aver limitato a cinque giorni il periodo di riposo
nonostante la patologia indicata fosse potenzialmente non transeunte.
Anche sotto l’ulteriore profilo evidenziato dall’esponente non si ravvisa
motivo di censura del diniego del rinvio: questa Corte ha ancora di recente
ribadito che è legittimo il provvedimento con il quale il giudice, acquisito il
certificato medico prodotto dal difensore, valuti, anche indipendentemente da
verifiche fiscali e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza debitamente

l’impossibilità per l’imputato di comparire in giudizio, se non a prezzo di un grave
e non altrimenti evitabile rischio per la propria salute (Sez. 4, n. 7979 del
28/01/2014 – dep. 19/02/2014, Basile, Rv. 259287).
4.3. Quanto al secondo motivo, esso sarebbe in ogni caso inammissibile per
aspecificità e per manifesta infondatezza.
Risulta evidente che il tema della incompatibilità del giudice si pone nel caso
di specie solo con riferimento alla posizione della Pellicanò, essendo fuori di
dubbio che la posizione del Fallanca non è mai stata esaminata nel precedente
giudizio che si invoca quale ragione della asserita incompatibilità del dr.
Puccinelli. Orbene, sarebbe certamente insussistente tale incompatibilità, anche
alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 371 del 1996, dovendo essa
essere esclusa qualora lo stesso giudice si trovi a dovere giudicare il medesimo
soggetto in due processi distinti relativi a reati diversi, essenzialmente per il
rilievo che la “posizione di quello stesso imputato” cui si riferisce la Corte
Costituzionale, è quella che concerne il medesimo reato per il quale si procede
(Sez. 1, n. 9539 del 12/05/1999 – dep. 23/07/1999, Commisso ed altri, Rv.
215133). La Pellicanò, infatti, sarebbe stata giudicata prima del presente giudizio
per il reato di cui all’art. 7, co. 2 d.lgs. n. 494/96 (ma dovrebbe trattarsi del
d.lgs. n. 626/94), per non aver cooperato con le altre ditte presenti nel cantiere
nel quale si verificò l’infortunio all’attuazione delle misure di protezione e di
prevenzione dei rischi; un addebito che non ricorre nella pur lunga contestazione
dalla quale scaturisce il presente giudizio. Sicchè, ben diversamente da quanto
ritenuto dall’esponente, non si è in presenza di una duplicità di giudizi aventi ad
oggetto ‘il medesimo fatto’, né sotto il profilo strettamente giuridico né sotto
quello ‘naturalistico’. Tuttavia, prima ancora di una valutazione nel merito del
rilievo mosso dall’esponente, v’è da registrare la aspecificità del medesimo, non
essendo stata documentata la estensione del giudizio espresso dal dr. Puccinelli
in merito al reato contravvenzionale; e non potendosi, di conseguenza, verificare
se effettivamente vi sia stata quella valutazione di merito che, perché idonea ad
incidere sotto il profilo sostanziale nel successivo giudizio, ha quell’effetto

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esposte nella motivazione, l’insussistenza di una condizione tale da comportare

pregiudicante che, solo, sorregge l’ipotesi di incompatibilità del giudice. Ciò,
peraltro, renderebbe non percorribile qualsiasi ipotesi di attivazione del sindacato
costituzionale.
In ogni caso, va rammentata la prevalente giurisprudenza di questa Corte,
per la quale l’esistenza di cause di incompatibilità ex art. 34 cod. proc. pen., non
incidendo sulla capacità del giudice, non determina la nullità del provvedimento
adottato, ma costituisce esclusivamente motivo di ricusazione, che deve essere
fatto valere tempestivamente con la procedura di cui all’art. 37 cod. proc. pen.

257033). I ricorrenti, quindi, ritenendosi giudicati da un giudice incompatibile,
avrebbero dovuto avanzare istanza di ricusazione del componente del Collegio
dr. Alberto Puccinelli. La mancata attivazione del procedimento di ricusazione
precluderebbe comunque ogni rivisitazione del tema.
4.3. Inammissibile per aspecificità è il terzo motivo di ricorso, comune ad
entrambi gli imputati.
Come ripetutamente precisato da questa Corte, costituisce motivo di
inammissibilità per aspecificità del ricorso per cassazione la mancanza di
correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle
poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 2, n. 36406 del 27/06/2012 – dep.
21/09/2012, Livrieri, Rv. 253893; Sez. 1, n. 4521 del 20/01/2005 – dep.
08/02/2005, Orru’, Rv. 230751). La mancanza di correlazione va affermata
quando i motivi del ricorso prescindono dalle affermazioni fatte dal giudice di
secondo grado in replica ai motivi di gravame, e si risolvono nella ripetizione dei
rilievi proposti in sede territoriale.
Tale principio viene rammentato perché nel caso di specie tutte le doglianze
proposte con il ricorso costituiscono mera reiterazione di quelle già sottoposte
alla Corte di Appello, senza che i ricorrenti si confrontino con le argomentazioni
utilizzate per disattenderle: a pg. 21 in ordine all’asserita inesistenza di un
rapporto di subappalto; a pg. 22 circa la violazione dell’obbligo di formazione e di
informazione del Finotti; a pg. 23 ss. in ordine alla (ir)rilevanza del
comportamento del lavoratore ai fini dell’imputazione del fatto agli odierni
ricorrenti.
4.4. L’ultimo motivo, che concerne il solo Fallanca, è infondato. Va
rammentato che il giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza
aggravante o riconosciuto un’ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei
motivi proposti dall’imputato, può, senza incorrere nel divieto di “reformatio in
peius”, confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di
equivalenza tra le circostanze, purchè questo sia accompagnato da adeguata

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(tra le altre, Sez. 6, n. 25013 del 04/06/2013 – dep. 06/06/2013, Shkurko, Rv.

motivazione (Sez. U, n. 33752 del 18/04/2013 – dep. N2/08/2013, Papola, Rv.
255660).
Al riguardo la Corte di Appello ha affermato (pagina 25) che la posizione di
datore di lavoro del Fallanca, anche sotto il profilo formale, e la presenza di più
precedenti, seppur risalenti nel tempo, comportano la sussistenza di una più
piena e pregnante responsabilità in ordine all’evento ed esclude il riconoscimento
delle circostanze attenuanti con giudice di prevalenza.
Ora, posto che, come si evince chiaramente da pagina 18 della sentenza, è

pen., la motivazione sopra rammentata evidenzia che la corte distrettuale ha
aggiornato il giudizio di equivalenza all’avvenuto riconoscimento della nuova
circostanza, tanto è vero che essa si esprime in termini plurali con riferimento
appunto alle circostanze diminuenti. Risulta pertanto soddisfatto l’onere
motivazionale posto in capo al giudicante.

5. In conclusione i ricorsi vanno rigettati ed i ricorrenti vanno condannati al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7/10/2014.

stata la Corte d’appello a riconoscere l’attenuante di cui all’articolo 62, n. 6 cod.

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