Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3436 del 15/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3436 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: FOTI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BADDA CHARAF N. IL 10/07/1986
avverso la sentenza n. 2571/2010 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
20/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO FOTI
Udito il Procuratore Generale in persona de1tDott.4.
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che ha concluso per
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Udito, per la parte
Uditi difen er Avv.

l’Avv

Data Udienza: 15/07/2014

Ritenuto in fatto.

Considerato in diritto.
Il ricorso, che ripropone tesi ed argomenti già posti all’esame della corte territoriale e dalla
stessa ritenuti infondati, è manifestamente infondato, e dunque inammissibile.
-1- Non risponde al vero quanto si sostiene nel ricorso, e cioè che la responsabilità è stata
affermata sulla base della semplice presenza dell’imputato nell’abitazione dove è stata
rinvenuta la sostanza stupefacente. Il giudice del gravame, invero, ha osservato che gli
agenti che si erano introdotti in detta abitazione – utilizzando le chiavi rinvenute nella
disponibilità di altro soggetto (Saber Abdelhadi, imputato non ricorrente) appena arrestato
essendo stato sorpreso a cedere una dose di droga a tale Bartoli Simone – hanno sorpreso due
connazionali dell’arrestato: Dabbha Ahmed (imputato non ricorrente) ed il Badda, intenti a
confezionare dosi di stupefacente.
Ha aggiunto lo stesso giudice che i tre abitavano stabilmente nello stesso appartamento,
che la droga era stata rinvenuta in tutte le stanze di cui esso si componeva, compresa la
cucina, e che nella medesima abitazione erano stati rinvenuti e sequestrati materiale per il
confezionamento delle dosi, sostanza da taglio, un bilancino di precisione ed otto telefoni
cellulari. Circostanze dalle quali, del tutto coerentemente e condivisibilmente, la corte
territoriale ha tratto prova evidente della responsabilità dell’odierno ricorrente. Nulla,
peraltro, rilevando il fatto che non sia stata accertata la disponibilità diretta di denaro da
parte dello stesso, anche a non voler considerare che i 3.500,00 euro in banconote, ai quali si
accenna nel ricorso, non sono stati rinvenuti sotto il letto del Dabbha, come sostenuto dal
ricorrente, bensì sopra l’armadio della camera che il Badda occupava con il Dabbha
medesimo.
-2- Giustamente esclusa è stata l’ipotesi attenuata di cui al citato comma 5, in vista della
pluralità di sostanze trattate e del numero di dosi che complessivamente da esse potevano
essere confezionate (211) che attestavano, anche per il rinvenimento di una consistente
somma di denaro (complessivamente 3.680,00 euro), la non occasionalità del traffico.
-3- Correttamente, alla stregua degli elementi acquisiti, non è stata riconosciuta
l’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., non essendo emerso alcun elemento dal quale
dedurre che la condotta dell’esponente avesse assunto una “minima importanza” nello
svolgimento dell’azione delittuosa.
-4- Non rileva, nel caso di specie, il nuovo assetto normativo scaturito dalla sentenza
12.2.2014 n. 32 della Corte Costituzionale (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
degli artt. 4 bis e 4 vicies ter del d.l. 30.12.05 n. 272, convertito dall’art. 1 co. 1 della legge
21.2.06 n. 49, ed ha conseguentemente ripristinato l’originario trattamento sanzionatorio
differenziato tra le c.d. “droghe pesanti” e le “droghe leggere”) nonché dal d.l. n. 146/2013,
convertito con la legge n. 10/2014 (che ha trasformato la fattispecie prevista dal 5° comma
dell’art. 73 da circostanza attenuante a reato autonomo, indicando altresì una pena edittale

-1- Badda Charaf ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di
Firenze, del 20 maggio 2013, che, pur avendo riformato in melius, sotto il profilo della
determinazione della pena, la sentenza di primo grado, ne ha tuttavia confermato la penale
responsabilità in ordine al delitto di cui all’art. 73 co. 1 del d.p.r. n. 309/90 (detenzione
illecita di sostanza stupefacente del tipo cocaina ed hashish).
-2- Denuncia il ricorrente i vizi di violazione di legge e di motivazione della sentenza
impugnata con riguardo: a) all’affermazione di responsabilità; b) al mancato riconoscimento
dell’ipotesi attenuata di cui al 5° comma del citato art. 73; c) al diniego dell’attenuante di cui
all’art. 114 cod. pen.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 15 luglio 2014.

massima più contenuta) e dalla legge 16.5.79 (che ha individuato per detta fattispecie un
ancor più mite trattamento sanzionatorio).
Non la predetta sentenza, atteso che la droga della quale l’imputato è stato anche trovato in
possesso (cocaina, sanzionata congiuntamente all’hashish) rientra tra le “droghe pesanti”, in
relazione alle quali la ripristinata normativa differenziata stabilisce una pena superiore a
quella prevista dalle norme ritenute incostituzionali. Non le richiamate modifiche legislative,
che riguardano una fattispecie diversa da quella oggi in esame.
-5- Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che si ritiene equo determinare in euro 1.000,00.

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