Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34325 del 04/05/2018

Penale Sent. Sez. 4 Num. 34325 Anno 2018
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: DAWAN DANIELA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A.

avverso l’ordinanza del 15/11/2016 della CORTE APPELLO di ROMA
sentita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA DAWAN;
lette le conclusioni del PG

Data Udienza: 04/05/2018

RITENUTO IN FATTO

1. A.A. – imputata dei reati di cui agli artt. 74 e 73, d.P.R. n.
309/90, da cui veniva assolta dalla Corte di appello di Roma, sez. 4, con sentenza
divenuta irrevocabile il 3 dicembre 2014 – ricorre a mezzo del difensore
avverso l’ordinanza con cui il 15 novembre 2016 la Corte di appello di Roma ha
rigettato la domanda di equa riparazione per ingiusta detenzione patita dal 22
maggio 2012 al 19 dicembre 2012 in carcere (gg. 212) e dal 20 dicembre 2012 al

200.000,00 (comprensiva anche della liquidazione del danno subito dall’istante in
ambito personale e familiare per la privazione della libertà).
2. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, costituito in giudizio, aveva
chiesto che fosse dichiarata l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto dell’istanza,
sull’assunto che la condotta posta in essere dalla A.A., prima dell’emissione
dell’ordinanza cautelare, sia stata connotata da colpa grave.
3. La Corte di appello ripercorre i diversi episodi che hanno indotto il Giudice
per le indagini preliminari a ritenere sussistente un’associazione per delinquere
finalizzata alla commercializzazione, al trasporto e alla cessione di partite di
cocaina e marijuana che trovava nella carrozzeria Autocentro Tor Cervara – di cui
era titolare L.L., asserito promotore dell’associazione criminosa – la
base logistica e di copertura e a reputarvi pienamente coinvolta anche l’odierna
istante, sulla scorta di diverse intercettazioni telefoniche. In particolare, poi, la
condotta della A.A., consistita nel dare assistenza al L.L. e al proprio
compagno B.B., mentre era in corso un’operazione di p.g., essendo
peraltro a conoscenza dell’attività illecita da questi posta in essere, nel seguire gli
spostamenti degli operanti, nel buttare due spinelli dei quali B.B. aveva la
disponibilità, è idonea, tenuto conto che tutto questo avveniva dopo il
ritrovamento nell’abitazione del L.L. di circa un chilo di cocaina, ad indurre in
errore, prima la p.g. poi il Gip.
5.11 Giudice dell’udienza preliminare, in esito a giudizio abbreviato, con
sentenza del 11 marzo 2013, condannava l’odierna istante sulla base dello stesso
compendio probatorio enucleato dal Gip nell’ordinanza di custodia cautelare.
Con sentenza del 22 aprile 2014, la Corte di appello di Roma, sez. 2, ha assolto la
A.A. in quanto non ha ritenuto provata l’esistenza dell’associazione criminosa.
6. A sostegno del ricorso, il difensore deduce violazione dell’art. 314 cod. proc.
pen., vizio motivazionale rispetto alle questioni devolute e violazione dei principi
di diritto stabiliti dalla Suprema Corte; e motivazione illogica con travisamento del
fatto, assunta in violazione del parametro di gravità della colpa.

2

22 aprile 2014 (gg. 489) agli arresti domiciliari per un indennizzo pari a euro

La sentenza assolutoria definitiva ha escluso qualsiasi partecipazione, anche
colposa, della ricorrente a condotte illecite. La frequentazione della ricorrente con
gli altri imputati, per rapporti di natura personale o lavorativa e la preoccupazione
per le sorti del fidanzato B.B. non possono essere considerati come contributo
sinergico alla emissione e al mantenimento della misura custodiale. Sin dall’inizio
di questa, la A.A. ha presentato istanze volte tutte a chiarire la propria
posizione e a dimostrare la propria innocenza.
7. In data 11 aprile 2018 il difensore ha depositato, a sostegno del ricorso,

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e non può, pertanto, trovare accoglimento.
2. La Corte territoriale ha correttamente esaminato la questione sottoposta al
suo esame secondo i parametri richiesti dalla disposizione di cui all’art. 314 cod.
proc. pen., valutando in maniera congrua e logica, e con l’autonomia che è propria
del giudizio di riparazione, la ricorrenza di una condotta ostativa determinata da
dolo o colpa grave, avente effetto sinergico rispetto alla custodia cautelare subita
dall’interessata.
3. È infatti noto che, in materia di riparazione per ingiusta detenzione, la colpa
che vale ad escludere l’indennizzo è rappresentata dalla violazione di regole, da
una condotta macroscopicamente negligente o imprudente dalla quale può
insorgere, grazie all’efficienza sinergica di un errore dell’Autorità giudiziaria, una
misura restrittiva della libertà personale. Il concetto di colpa che assume rilievo
quale condizione ostativa al riconoscimento dell’indennizzo non si identifica con la
«colpa penale», venendo in rilievo la sola componente oggettiva della stessa, nel
senso di condotta che, secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, possa
aver creato una situazione di prevedibile e doveroso intervento dell’Autorità
giudiziaria. Anche la prevedibilità va intesa in senso oggettivo, quindi non come
giudizio di prevedibilità del singolo soggetto agente, ma come prevedibilità
secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, in relazione alla possibilità
che la condotta possa dare luogo ad un intervento coercitivo dell’Autorità
giudiziaria. È sufficiente, pertanto, considerare quanto compiuto dall’interessato
sul piano materiale, traendo ciò origine dal fondamento solidaristico
dell’indennizzo, per cui la colpa grave costituisce il punto di equilibrio tra gli
antagonisti interessi in campo.
4. Va inoltre considerato che il giudice della riparazione, per stabilire se chi ha
patito la detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa
grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con
3

motivi nuovi ex art. 585, comma 4, cod. di rito.

valutazione ex ante – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo
rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli
estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato,
ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della
sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013 – dep.
25/02/2014, Maltese, Rv. 25908201). La valutazione del giudice della riparazione,
insomma, si svolge su un piano diverso, autonomo rispetto a quello del giudice del
processo penale, ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed

bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di
natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale
sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (Sez. U, n. 43
del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri).
5. L’ordinanza impugnata ha fornito un percorso logico motivazionale
intrinsecamente coerente e rispettoso dei principi di diritto dianzi accennati.
5.1. La Corte territoriale, valutando autonomamente il materiale probatorio
utilizzato dai giudici di merito, ha fondatamente ritenuto che il comportamento
della A.A., pur ritenuto privo di rilevanza penale, ha contribuito colposamente
in maniera decisiva all’emissione della misura cautelare. Ciò sulla base di quanto
risultante dal compendio probatorio valutato ai fini dell’emissione del
provvedimento cautelare, prevalentemente fondato sugli esiti delle conversazioni
telefoniche intercettate. Il Gip ha reputato particolarmente significativa, in ordine
alla partecipazione della A.A. al sodalizio criminale, la telefonata intercorsa
con B.B. il 13 settembre 2010, antecedente al sequestro della sostanza
stupefacente, dalla quale desumeva che la donna provvedeva al conteggio del
denaro che i sodali dovevano consegnare il giorno seguente a C.C.
(fornitore della sostanza). A ciò dovevano aggiungersi, secondo il Gip, le
conversazioni captate il 1 dicembre 2010, subito dopo l’arresto del L.L.. In
quello stesso giorno, la ricorrente, che si interessava alla sorte dei ritenuti
compartecipi, veniva contattata daT.T. che la informava sugli

spostamenti degli operanti, unitamente al L.L., dalla carrozzeria verso la casa
di quest’ultimo dove rinvenivano 1 kg di sostanza stupefacente del tipo cocaina.
La A.A., appresa la circostanza, si preoccupava della sorte del compagno
B.B. e l’interlocutore le confermava che era con loro. La donna chiedeva allora
cosa doveva fare.
La condotta della ricorrente – consistita nel dare assistenza al L.L. e
all’B.B. mentre era in corso un’operazione di p.g., essendo peraltro a conoscenza
dell’attività illecita da questi posta in essere, come si evince dalla preoccupazione
espressa nelle conversazioni, nel seguire gli spostamenti degli operanti, nei cui
4

ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo,

confronti mostrava ostilità, e nel buttare due spinelli dei quali B.B. aveva la
disponibilità – era reputata idonea, dal Giudice della riparazione, ad indurre in
errore prima la p.g. e, successivamente, il Gip sull’esistenza di un vincolo
associativo, di cui l’attività di assistenza è segno rivelatore di particolare
importanza, e sulla sua partecipazione all’anzidetta attività illecita.
5.2. In proposito, va qui ribadito il costante indirizzo giurisprudenziale di
legittimità secondo cui, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, integra gli
estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto, la condotta di chi,

criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità
(Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014 – dep. 2015, Dieni, Rv. 26243601; Sez. 4, n.
45418 del 25/11/2010, Carere, Rv. 24923701; Sez. 4, n. 37528 del 24/06/2008,
Grigoli, Rv. 24121801).
5.3. Si dica, in ultimo, che i motivi di ricorso, non confrontandosi con
l’impugnata ordinanza, entrano nel merito, ambito evidentemente precluso alla
Corte di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 4 maggio 2018

Il Consigliere estensore
Daniela Dawan

nei reati contestati in concorso, abbia tenuto, pur consapevole dell’attività

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