Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34267 del 17/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34267 Anno 2014
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TORINO
Nei confronti di :
CARABELLI EMANUELE N. IL 13.05.1964

Avverso la sentenza del GUP presso il TRIBUNALE DI TORINO del 24 ottobre 2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI, lette le
conclusioni del PG in persona del dott. Aldo Policastro che ha chiesto l’annullamento con
rinvio
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza ex art. 425 c.p.p. in data 24 ottobre 2013 II GUP presso il Tribunale di
Savona dichiarava non luogo a provvedere nei confronti di Carabelli Emanuele in ordine
all’imputazione di cui all’ art. 590 commi 1 e 3, in relazione all’art. 583 c.p.”perché il
fatto non costituisce reato. Era stato allo stesso contestato di aver cagionato, nella sua
qualità di datore di lavoro della ITALTRECCE S.r.l. NiteMC-tE, con colpa consistita in
imprudenza, negligenza, imperizia e violazione delle norme per la prevenzione degli
infortuni dul lavoro, a Cappelli Roberto, dipendente di tale ditta con quarifiqa di
responsabile del reparto tracciatrici, lesioni personali, in particolare omettendo – .di
impedire che i lavoratori ed in particolare il Cappelli eludessero i dispositivi di sicurezih.
di cui era dotata la tracciatrice (in violazione dell’art. 18, comma 1 lettera f) del decreto
legislativo n. 81 del 2008 ed in particolare, operando su tale tracciatrice, essendo
necessario intervenire su un filo di rame spezzato per provvedere alla legatura delle due
estremità dello stesso, inseriva una baionetta all’interno di un interruttore di
interblocco, eludendo il dispositivo di sicurezza della tracciatrice e operando in
prossimità della zona pericolosa della macchina, il suo braccio destro veniva catturato
dai fusi in movimento e si ,cagionava lesioni consistite in un grave trauma di
schiacciamento e trazione del /arto superiore, con frattura esposta di radio ed ulna,

Data Udienza: 17/06/2014

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato.
Va premesso che sia in giurisprudenza che in dottrina, si è dell’avviso che all’udienza
preliminare debba riconoscersi natura processuale e non di merito, non essendovi alcun
dubbio circa la individuazione della finalità che ha spinto il legislatore a disegnare e
strutturare l’udienza preliminare k quale oggi si presenta, all’esito dell’evoluzione
legislativa registrata al riguardo, e nonostante l’ampliamento dei poteri officiosi relativi
alla prova: lo scopo (dell’udienza preliminare) è quello di evitare dibattimenti inutili, non
quello di accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato. Di tal che, il giudice
dell’udienza preliminare deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei
confronti dell’imputato solo in presenza di una situazione di innocenza tale da apparire
non superabile in dibattimento dall’acquisizione di nuovi elementi di prova o da una
possibile diversa valutazione del compendio probatorio già acquisito; e ciò anche
quando, come prevede espressamente l’art. 425 c.p.p., comma 3 “gli elementi acquisiti
risultano insufficienti, contradditori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in
giudizio”: tale disposizione è la conferma che il criterio di valutazione per il giudice
dell’udienza preliminare non è l’innocenza, bensì – dunque, pur in presenza di elementi
probatori insufficienti o contraddittori (sempre che appaiano destinati, con ragionevole
previsione, a rimanere tali nell’eventualità del dibattimento) – l’impossibilità di
sostenere l’accusa in giudizio. Insomma, il provvedimento ai sensi dell’art. 425 c.p.p.,
pur motivato sommariamente, in effetti assume natura di sentenza sol perché la
valutazione dopo il contraddittorio svolto in udienza- preliminare è difforme da quella
del pubblico ministero, ed implica assunzione del giudice della scelta d’inibire allo stato
l’esercizio dell’azione penale contro l’imputato, salvo potenziale revoca. Pertanto, a
fronte del ricorso, va tenuto in conto che il controllo di questa Corte sulla sentenza non
può comunque avere ad oggetto gli elementi acquisiti dal P.M., bensì solo la
giustificazione resa dal giudice nel valutarli. Quindi l’unico controllo ai sensi dell’art. 606
c.p.p., comma 1, lett. d) ed e) consentito in sede di legittimità della motivazione della
decisione negativa del processo, qual è la “sentenza di non luogo a procedere”,
concerne la riconoscibilità del criterio prognostico adottato nella valutazione d’insieme
degli elementi acquisiti dal pubblico ministero (Cass. pen. Sez. 4″ n. 2652 del
27.11.2008, Rv. 242500). Diversamente, si giunge ad attribuire al giudice di legittimità
un compito in effetti di merito, in quanto anticipatorio delle valutazioni sulla prova da
assumere. E tanto si pone in contraddizione insanabile con la possibilità di revoca della
sentenza da parte dello stesso giudice per le indagini preliminari, sopravvenute o
scoperte nuove fonti di prova da combinare eventualmente con quelle già valutate (art.
434 c.p.p.). In altri termini, paradossalmente, questa Corte potrebbe pregiudicare
l’esito di un eventuale giudizio (Cass. pen. Sez. 5″, n. 14253 del 13.2.2008, Rv.
23949). Invero, la previsione di cui all’art. 425 cod. proc. pen., comma 3, – per la quale
il G.U.P. deve emettere sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi
acquisiti risultino insufficienti o contraddittori- è qualificata dall’ultima parte del
suddetto comma terzo che impone tale decisione soltanto ove i predetti elementi siano
comunque inidonei a sostenere l’accusa in giudizio. Ne deriva che solo una prognosi di
inutilità del dibattimento relativa alla evoluzione, in senso favorevole all’accusa, del
materiale probatorio raccolto – e non un giudizio prognostico in esito al quale il giudice
pervenga ad una valutazione di innocenza dell’imputato – può condurre ad una sentenza
di non luogo a procedere. (Cass. pen. Sez. 5^, n. 22864 del 15.5.2009, Rv. 244202 e
successive conformi).
Orbene nel caso di specie, il G.U.P. è incorso in palesi omissioni valutative, e sulla base
della motivazione adottata può evincersi che non abbia correttamente formulato la
prognosi di inutilità del dibattimento.

stiramento del fascio vascolo nervoso ulnare al canale cubitale, ferita lacero contusa al
dorso radiale volo ulnare al gomito.
2. Avverso tale decisione proponeva ricorso il Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Torino, deducendo l’erronea applicazione della legge penale e la
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Ed invero come sottolineato dal ricorrente .il giudicante ha evidenziato l’ambiguità della
fattispecie in esame, in cui pur essendo ehlerso che l’utilizzo delle trecciatrici senza le
adeguate protezioni era voluto in quanto i dispositivi erano stati asportati per comodità
di lavoro, circostanza nota al Carabelli, la circostanza che successivamente
all’intervento della ASL, lo stesso Carabelli aveva ripristinato i dispositivi di sicurezza,
mostrando la sua contrarietà all’utilizzo di dispositivi che comunque eludessero
l’interblocco della macchina, rendeva “fortemente labili ed inidonei a sostenere in
giudizio l’accusa a carico dell’imputato”. Tale impostazione trascura evidentemente
l’ulteriore pacifica circostanza che tali dispositivi erano a disposizione di tutti all’interno
di un cassetto, con la conseguenza che appariva necessario il vaglio dibattimentale al
fine di accertare – come rilevato dal ricorrente- se il Carabelli fosse disposto a “tollerare
o, peggio ancora, a volere deroghe alle norme di sicurezza dei lavoratori”. Il giudice
dell’udienza preliminare nel provvedimento impugnato ha affermato che non “non vi era
prova” a riguardo, “argomentazione che doveva rimanere estranea (per quanto sopraa
detto in ragione della rilevata natura della sentenza ex art. 425 c.p.p) al campo di
valutazione del GUP ai fini della pronuncia di una sentenza di non doversi procedere”.
In quest’ottica, parimenti inconferenti appaiono poi le considerazioni del GUP in merito
al comportamento imprudente della parte lesa, considerato, peraltro, che, secondo il
consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, le norme sulla prevenzione degli
infortuni hanno la funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi della
incolumità fisica, intrinsecamente connaturati all’esercizio dell’ attività lavorativa, anche
nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale disaccortezza,
imprudenza e disattenzione da parte del lavoratore subordinato. Tale conclusione è
fondata sulla disposizione generale di cui all’art. 2087 c.c. e di quelle specifiche previste
dalla normativa antinfortunistica, secondo le quali, il datore di lavoro o comunque la
persona dallo stesso delegata, è costituito garante dell’incolumità fisica e della
salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza
che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo correttamente gli
viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall’art. 40 c.p., comma 2. Ne
consegue che il titolare della posizione di garanzia ha il dovere di accertarsi del rispetto
dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera
in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano
mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l’opera, essendo tale posizione di
garanzia estesa anche al controllo della correttezza dell’agire del lavoratore, essendo
imposto al “garante” (anche) di esigere dal lavoratore il rispetto delle regole di cautela.
In tema di infortuni sul lavoro, l’eventuale colpa concorrente dei lavoratori non può
spiegare alcun effetto esimente per uno dei “garantii’ della sicurezza sul posto di lavoro,
che si sia reso comunque responsabile di specifiche violazioni di prescrizioni in materia
antinfortunistica, in quanto la normativa relativa è diretta a prevenire pure la condotta
colposa dei lavoratori per la cui tutela è adottata (v, tra le tante, Sezione 4, 22 gennaio
2007, Pedone ed altri). Poiché le norme di prevenzione antinfortunistica – come già
sopra ricordato- mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che
possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, la responsabilità del
datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell’obbligo di adottare le misure di
prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un
comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità,
dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive
organizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile o inopinabile. Peraltro, in ogni
caso, nell’ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall’assenza o inidoneità delle misure
di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di
lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia
dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o
insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il
rischio di siffatto comportamento (Sez. 4, 29 gennaio 2007, Di Vincenzo).
4. La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio al Tribunale di Torino per
l’ulteriore corso
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Torino..

Così deciso nella camera di consiglio del 17 giugno 2014
ESIDENTE

IL CONSIGLIERE ESTENSORE

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