Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34255 del 15/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 34255 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FABBRI ANTONIO N. IL 03/07/1950
avverso la sentenza n. 3018/2003 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 15/03/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ,r-c uL..
che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensofAvv.’h

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Data Udienza: 15/07/2014

Considerato in diritto

FABBRI ANTONIO ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, parzialmente
riformando in melius

quella di primo grado resa in esito a giudizio abbreviato

[concessione delle attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sull’aggravante di cui
all’articolo 80, comma 2, del dpr n. 309 del 1990, e rideterminazione della pena], lo ha

del 1990 contestategli [acquisto di circa 10 kg di eroina da trafficante turco non
identificato; detenzione e messa in commercio di tale eroina commessa in concorso con
altro imputato, giudicato in altra sede giudiziaria; consegna a terzi di kg 5 circa di
eroina, proveniente dalla maggiore quantità ricevuta dal trafficante turco; tutti episodi
aggravati ex articolo 80, comma 2, cit.].

Con il ricorso articola cinque motivi.

Con il primo motivo contesta gli argomenti in proposito sviluppati dal giudice di merito
per giustificare l’assenza di contrasto tra la condanna pronunciata nei suoi confronti e
l’assoluzione sia pure ex articolo 530 comma 2 c.p.p. che aveva riguardato il concorrente
[tale AGNOLETTI ALBERTO] giudicato in altra sede giudiziaria [Torino] per il reato di cui
al capo c)( illecita cessione, in concorso con un cittadino turco quale fornitore e di altro
cittadino turco quale intermediario, a tale Gagliardo Salvatore di un quantitativo di eroina
del peso di 5 Kg, facente parte dei 10 Kg di cui al capo a).Si sostiene , alla luce degli
elementi emergenti dalla sentenza Agnoletti, che il quantitativo di 5 Kg sequestrato al
Gagliardo il 29.11.2009 non poteva essere quello di cui al capo c) dell’imputazione
promesso ed offerto da Ivan il Turco al Fabbri, provenendo la sostanza stupefacente da
area di non pertinenza di quest’ultimo ed estranea ai fatti attribuiti al ricorrente.

Si censura poi l’apprezzamento sviluppato dai giudici di merito sulle intercettazioni, sotto
il profilo dell’identificazione nel FABBRI dell’interlocutore coinvolto nell’attività incriminata,
sostenendo in particolare l’illogicità del collegamento tra il FABBRI e remissario” del
trafficante turco ( il Gagliardo) in ragione di un asserito disprezzo che il primo aveva
manifestato di nutrire nei confronti del secondo, ma anche prospettando il travisamento
da parte del giudice allorquando questi avrebbe ricondotto al FABBRI altre utenze, oltre
quella intercettata.

Si ripropone, con il terzo motivo,

la doglianza sulla congruità della motivazione

dell’autorizzazione del PM relativa all’utilizzo di impianti diversi da quelli in uso presso la
Procura della Repubblica, laddove non sarebbero state spiegate le esigenze investigative
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comunque riconosciuto colpevole delle plurime violazioni dell’articolo 73 del dpr n. 309

giustificanti l’uso degli impianti della polizia giudiziaria. La Corte di appello aveva
spiegato che nei decreti autorizzativi, a supporto dell’utilizzo degli impianti in uso alla
polizia giudiziaria, erano esplicitate non solo le ragioni di urgenza delle operazioni, ma
anche “l’imprescindibile esigenza di coordinare il servizio di ascolto con altre attività
investigative già oggetto del medesimo procedimento penale (appostamenti,
pedinamenti, ecc.)”.

affermata senza considerare la scadente qualità dello stupefacente.

Si lamenta, infine, che sia stata ravvisata la continuazione tra i diversi episodi contestati,
che, invece, dovevano considerarsi unitariamente, in quanto le diverse condotte
costituivano la manifestazione di un potere di disposizione in capo al medesimo soggetto
sullo stesso quantitativo di sostanza stupefacente.

E’ stata depositata memoria difensiva nell’interesse dell’imputato ad ulteriore sostegno
del proposto ricorso.

E’ pervenuta istanza di rinvio dell’udienza da parte dell’avv. Eugenio Montanari, sulla
quale si è provveduto con separata ordinanza / Qí ttpuk. 4)kb, Ott3ì1)._

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Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

Quanto al primo motivo, va ricordato il principio secondo cui l’acquisizione della sentenza
irrevocabile di assoluzione del coimputato del medesimo reato non vincola il giudice, che,
fermo il principio del “ne bis in idem”, può rivalutare anche il comportamento dell’assolto,
al fine di accertare la sussistenza ed il grado di responsabilità dell’imputato da giudicare
(Sezione I, 5 aprile 2013, Trebisacce).

Qui risulta che il giudice, con motivazione ampiamente esauriente, non solo ha
considerato l’intervenuta assoluzione del concorrente, ma si è impegnato a evidenziarne
l’irrilevanza ai fini della decisione relativa alla posizione dell’odierno ricorrente.

Sotto questo profilo, vale rilevare che il giudicante non solo ha esaminato gli episodi
contestati al FABBRI rilevando che almeno per due di essi non si ponesse alcuna
questione di compatibilità con la vicenda processuale relativa all’AGNOLETTI, ma per

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Si censura la ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantità dello stupefacente,

l’episodio residuo

ha parimenti spiegato le ragioni per cui fosse non rilevante

l’assoluzione [peraltro ex articolo 530, comma 2, c.p.p.] relativa a tale soggetto,
ricostruendo in modo non illogico la circostanza dell’affermato coinvolgimento del
FABBRI, a prescindere dal ruolo avuto dall’AGNOLETTI [negato dal giudice di Torino].

E’ una ricostruzione in fatto qui non rinnovabile, siccome assistita da una adeguata

Inaccoglibili sono le censure sulle intercettazioni.

Quanto alla “lettura” di queste vale il noto principio secondo cui in materia di
intercettazioni telefoniche, l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle
conversazioni costituisce una questione di fatto, rimessa dunque alla valutazione del
giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se motivata in conformità ai
criteri della logica e delle massime di esperienza (Sezione VI, 25 gennaio 2013, Barla ed
altri).

Principio che si estende anche agli accertamenti di fatto tesi ad accreditare
l’identificazione fisica dell’interlocutore: tematica affatto sottovalutata in sede di merito.

Quanto poi alla riproposta tesi dell’inutilizzabilità delle intercettazioni per violazione della
disciplina dettata dall’articolo 268, comma 3, c.p.p., va rilevata l’assorbente carenza
documentale della censura.

Vale infatti il principio generale secondo cui in tema di intercettazioni di conversazioni o
comunicazioni, qualora venga eccepita in sede di legittimità l’inutilizzabilità dei risultati
delle intercettazioni, siccome asseritamente eseguite fuori dai casi consentiti dalla legge o
qualora non siano state osservate le disposizioni previste dagli articoli 267 e 268, commi
1 e 3, c.p.p. (articolo 271, comma 1, c.p.p.), è onere della parte indicare specificamente
l’atto asseritamente affetto dal vizio denunciato e curare che tale atto sia comunque
effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità, magari
provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione. In difetto, il motivo sarebbe
inammissibile per genericità, non essendo consentito alla Cassazione di individuare e
rinvenire l’atto affetto dal vizio denunciato (Sezione IV, 22 settembre 2010, Alija ed altri;
Sezione feriale, 19 agosto 2010, Scuto ed altri).

Ma a prescindere da questo rilievo — già di per sé assorbente- non può negarsi che la
Corte di merito abbia adeguatamente già corrisposto alla doglianza, fatta oggetto anche
dell’appello, allorquando ha spiegato che nei decreti autorizzativi, a supporto dell’utilizzo
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motivazione, non censurabile in sede di legittimità.

degli impianti in uso alla polizia giudiziaria, erano esplicitate non solo le ragioni di
urgenza delle operazioni, ma anche “l’imprescindibile esigenza di coordinare il servizio di
ascolto con altre attività investigative già oggetto del medesimo procedimento penale
(appostamenti, pedinamenti, ecc.)”.

E’ motivazione satisfattiva ed in linea con il principio secondo cui in

tema di

intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, in ordine alla motivazione del decreto

installati nella procura della Repubblica, sotto il duplice profilo della inadeguatezza di
quelli in dotazione all’ufficio di procura e delle ragioni di eccezionale urgenza, deve
ritenersi corretta e congruamente motivata quella che, sotto il primo profilo, evidenzi
l’insufficienza o l’inadeguatezza degli impianti interni rispetto alla specifica indagine
probatoria ed alla necessità di acquisire, con sollecitudine, eventuali elementi utili alle
indagini (Sezione I, 28 aprile 2009, Proc. gen. App. Bari ed altri in proc. Speranza ed
altro).

Infatti, con riferimento alla “inidoneità” di tipo funzionale degli impianti, è sufficiente la
rappresentazione della obiettiva situazione di fatto che renda necessario il ricorso ad
impianti esterni (come la indisponibilità di linee o di apparecchiature presso l’ufficio o il
non funzionamento materiale delle stesse), ovvero la rappresentazione della concreta
inadeguatezza degli impianti dell’ufficio al raggiungimento dello scopo, in relazione al
reato per cui si procede ed alla tipologia di indagine necessaria all’accertamento dei fatti,
in relazione, cioè, alle caratteristiche concrete delle operazioni captative ed alle finalità
investigative perseguite (come, ad esempio, la necessità di predisporre subito
l’organizzazione di servizi “paralleli” di polizia giudiziaria) (cfr. Sezioni unite, 12 luglio
2007, Aguneche ed altri).

Corretta è l’affermata su sussistenza dell’aggravante della quantità ingente.

E’ pur vero infatti che la circostanza aggravante dell’ingente quantità di sostanza
stupefacente, prevista dall’articolo 80, comma 2, del dpr 9 ottobre 1990 n. 309, non è di
norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a “2000 volte” il valore massimo in
milligrammi (valore-soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al dm
11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando
tale quantità sia superata (cfr. Sezioni unite, 24 maggio 2012, Proc. gen. App. L’Aquila
ed altro in proc. Biondi, i cui principi vanno richiamati, pur essendo i fatti in questione
antecedenti).

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che il pubblico ministero deve adottare, per giustificare l’uso di impianti diversi da quelli

Ma è anche vero che, ai fini della configurabilità di detta aggravante, qualora non sia
esattamente determinata la percentuale del principio attivo contenuto nella sostanza
stupefacente sequestrata, non è essenziale il ricorso alla determinazione peritale ove
risultati utili e rilevanti possano essere tratti da altre fonti probatorie, siano sostenuti da
motivazione esente da vizi logici e conducano a ritenere che detto principio attivo sia
superiore a duemila volte il valore massimo in milligrammi, determinato per ogni
sostanza nella tabella allegata al dm 11 aprile 2006, ancorché il superamento del

automaticamente la sussistenza dell’ipotesi aggravata, dovendo, in ogni caso, aversi
riguardo alle circostanze del caso concreto (Sezione II, 18 aprile 2013, Belcastro ed altri).

Ciò che qui risulta satisfattivamente dimostrato, attraverso l’apprezzamento

del

quantitativo lordo della droga [pur considerato scadente], ma anche del riscontro
obiettivo del quantitativo [parte dell’intero oggetto di contestazione, siccome acquisito
da prevenuto attraverso il non identificato trafficante turco] sequestrato in Piemonte a
colui cui l’aveva consegnato il FABBRI [tale GAGLIARDO SALVATORE]: trattuasi della
metà dell’intero quantitativo, e da questo risultavano ricavabili 12361 dosi giornaliere e
61805 dosi singole.

Esattamente infine è stata ravvisata la continuazione, essendosi ricostruiti come diversi,
anche temporalmente, i diversi episodi incriminati.

Ciò in ossequio alla pertinente ricostruzione dell’articolo 73 del dpr n. 309 del 1990 e
delle condotte ivi descritte.

L’ articolo 73 del dpr n. 309 del 1990, per come è costruito attraverso l’indicazione delle
condotte materiali illecite, costituisce infatti norma a più fattispecie tra loro alternative.
Ne deriva, da un lato, la configurabilità del reato allorché il soggetto abbia posto in essere

predetto limite – come del resto il mancato superamento – non determini

anche una sola delle condotte ivi previste.
Ne consegue, dall’altro, l’esclusione del concorso formale di reati quando un unico fatto
concreto integri contestualmente più azioni tipiche alternative, nel qual caso le condotte
illecite minori perdono la loro individualità e vengono assorbite nell’ipotesi più grave.
Tuttavia, perché ciò si verifichi occorre la presenza di queste circostanze: a) che si tratti
dello stesso oggetto materiale; b) che le attività illecite minori siano compiute dallo
stesso soggetto che ha commesso quelle maggiori o dagli stessi soggetti che ne
rispondono a titolo di concorso; c) che le condotte siano contestuali e cioè si verifichi il
susseguirsi di vari atti, sorretti da un unico fine, senza apprezzabili soluzioni di continuità.

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Qualora, invece, le differenti azioni tipiche siano distinte sul piano ontologico, cronologico
e psicologico, esse costituiscono, conseguentemente, più violazioni della stessa
disposizione di legge e quindi distinti reati; unificabili eventualmente per la continuazione,
se commessi dallo stesso soggetto o dagli stessi soggetti in concorso, in presenza del
disegno criminoso unitario (cfr., tra le tante, Sezione IV, 12 gennaio 1996, Caparco;
nonché, Sezione IV, 7 aprile 2005, Volpi.).

cronologico”, costituenti una pluralità di reati, unificati

ex

articolo 81, comma 2, c.p.: è

argomentazione incensurabile in fatto e corretta giuridicamente per quanto detto.

Non vi è spazio per fare applicazione d’ufficio degli effetti della sentenza n. 32 del 2014
della Corte costituzionale, ove si consideri che si vede in ipotesi di condotta avente ad
oggetto una droga “pesante”.

Ed è noto che il ritorno alla disciplina sanzionatoria anteriore alla legge Fini-Giovanardi n.
49 del 2006 determina che per le droghe “pesanti” [tabelle I e III] devono ora applicarsi
le sanzioni della reclusione da otto a venti anni e della multa da euro 25822 a euro
258.228 (articolo 73, comma 1, del dpr n. 309 del 1990): si è in presenza un
trattamento sanzionatorio aggravato quanto alla pena della reclusione, giacchè la Fini Giovanardi aveva rideterminato la pena stabilita nel comma 1 dell’articolo 73 stabilendo
nella misura da “sei a venti anni di reclusione”. Ciò che esclude ab imis alcun problema
di possibile applicabilità dell’articolo 2, comma 4, c.p.

Al rigetto del ricorso, consegue ex art. 616 c.p.p.la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 15 luglio 2014

CORTE SUPREMA DI CASSAZION

Qui il giudice ha evidenziato che trattkyasi di “condotte distinte sul piano ontologico e

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