Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34211 del 11/07/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 34211 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: DI STEFANO PIERLUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MATAROZZI GIORGIO n. 28/1/1950
SAVIGNI DILETTA n. 16/10/1957
avverso l’ordinanza 30/2014 del TRIBUNALE DEL RIESAME DI BOLOGNA del
7/3/2014
visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERLUIGI DI STEFANO
(11Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FRANCESCO IACOVIELLO che
ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata
Udito il difensore AW. FRANCO OLIVA che ha chiesto raccoglimento del ricorso
CONSIDERATO IN FATTO
1. La Procura della Repubblica di Bologna procede nei confronti di Mattarozzi
Giorgio, Savigni Diletta ed Erriquez Alessandro per il reato di cui all’art. 348 cod.
pen. per avere costoro, utilizzando tre società, abusivamente esercitato la
professione di consulente del lavoro per la quale è richiesta ai sensi dell’art. 1
comma 1° legge 12/1979 una specifica abilitazione.
2. Nella prima parte delle indagini si accertava, a seguito di segnalazione
dell’Ordine dei consulenti del lavoro, che la società Casabase srl, autorizzata alla
intermediazione e selezione del personale, attività che in concreto esercitava
nell’ambito del collocamento di collaboratrici domestiche e badanti, curava in
realtà anche delle attività ulteriori consistenti in:
– redazione dei contratti di assunzione,

Data Udienza: 11/07/2014

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redazione buste-paga,

compilazione cedolini Inps,
gestione della chiusura dei rapporti.

3. Tali attività rientravano in quelle riservate ai soggetti con abilitazione quali
consulenti del lavoro. Tale qualità, invero, era rivestita da Erriquez Alessandro che,
però, non gestiva personalmente le attività delle società laddove tipiche della
consulenza del lavoro.

conseguenti alla fase di scelta del lavoratore poichè dalle dichiarazioni di alcuni
clienti era risultato come gli stessi si fossero rivolti alla società direttamente per
attività di consulenza del lavoro, redazione buste paga e simili, interloquendo
sempre e solo con impiegati e non con un consulente del lavoro.
5. Peraltro dalle stesse fatture esaminate dalla polizia giudiziaria risultava che
parte del compenso dovuto dai clienti era relativo alla attività di consulenza.
6. Dopo un primo sequestro preventivo della società Casabase srl, il gip di
Bologna procedeva all’ulteriore sequestro oggetto del presente procedimento:
disponeva, infatti, il sequestro preventivo delle società Casabase coop e Modem
società cooperativa, con relativo sequestro di quote dei beni sociali ed altro
nonché delle quote della prima società, Casabase srl. Giustificava tale
provvedimento in quanto era risultato che l’attività in questione era stata svolta,
oltre che con la prima società già sequestrata, anche con le altre due, con le quali
le attività erano sostanzialmente indistinte e, del resto, svolte secondo una
comune organizzazione.
7. Il Tribunale del Riesame di Bologna, con ordinanza oggi impugnata,
rigettava la richiesta di riesame proposta da Matarozzi Giorgio e Savigni Diletta
confermando la sussistenza delle condizioni ritenute dal primo giudice.
8. Il Tribunale valutava negativamente le argomentazioni difensive che
intendevano sostenere la mera accessorietà delle attività di consulenza rispetto
alla attività principale poiché, secondo un parere del Ministero del lavoro, la attività
relative al lavoro domestico non richiederebbe la qualifica di consulente del lavoro.
Inoltre valutava negativamente, allo stato, anche il presunto impegno delle società
a modificare il loro tipo di attività al fine di farla rientrare nell’ambito di quella
autorizzata.
9. Il sequestro era quindi confermato ravvisandosi il pericolo della
prosecuzione dell’esercizio abusivo della professione di consulente del lavoro.
10. Il difensore di fiducia comune ha proposto un unico ricorso nell’interesse
di Matarozzi e Savigni.

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4. Il Tribunale chiariva che le attività svolte non erano sempre limitate a quelle

11. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 321 cod. proc. pen. per
insussistenza dei presupposti di applicabilità del sequestro preventivo. Rileva che
il provvedimento impugnato non individua affatto il pericolo concreto richiesto
dalla norma per giustificare il sequestro preventivo. Con la documentazione
presentata in sede di riesame, i ricorrenti avevano dimostrato, difatti, che già
prima dell’intervento del sequestro erano state apportate radicali modifiche
dell’attività svolta ed erano stati stipulati dei contratti che escludevano in radice

perché, con il nuovo assetto, i rapporti possono essere solo diretti tra il consulente
del lavoro ed il cliente.
12. Con secondo motivo deduce la violazione legge per la omessa motivazione
in relazione al rilievo della violazione dell’articolo 275 cod. proc. pen. attesa la
evidente sproporzione tra la misura cautelare ed il fatto contestato agli indagati.
13. Con terzo motivo deduce la violazione dell’articolo 348 cod. pen. non
essendovi affatto una competenza esclusiva dei consulenti del lavoro per le attività
contestate laddove riguardino esclusivamente l’ambito del lavoro domestico.
14. Ciò risulta dal parere citato del Ministero del Lavoro e dalla legge regionale
17/05 che autorizza la Società Casabase alla intermediazione, ampio ambito di
attività che non si limita a far conoscere le parti ma comprende anche
l’effettuazione, su richiesta del committente, di tutte le comunicazioni
conseguenti alle assunzioni avvenute a seguito dell’attività di intermediazione”. Il
Tribunale invece, confonde tra le società di intermediazione e le società di ricerca
e selezione del personale.
15. Svolge poi altre considerazioni riferibili al lavoro domestico, unica attività
gestita dalla società Casabase, per il quale non vi sono gli obblighi di prospetto
paga, diverse sono le modalità di trattamento assistenziale ed altro.
16. Con quarto motivo deduce la violazione di legge laddove si è ritenuto che
la redazione di cedolini paga sia attività di competenza esclusiva dei consulenti
del lavoro. Le società in sequestro sono centri di elaborazione dati ai sensi
dell’articolo 1 legge 12/79; il mero sviluppo del calcolo e della stampa dei cedolini
paga, inteso come attività strumentale realizzata con strumentazione informatica,
può essere oggetto dell’attività di impresa svolta dai predetti CED.
17. Con quinto motivo rileva /violazione di legge laddove si è ritenuto che l’
attività tipica del professionista non possa essere svolta da soggetti dipendenti
dalla struttura societaria in cui è organizzato lo studio professionale. Questo
esclude che vi sia stata attività svolta in modo autonomo dagli addetti privi della
qualifica di consulente.

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la stessa possibilità di perpetrare il reato di esercizio abusivo della professione: ciò

18. La difesa ha poi presentato una memoria con un parere allegato in ordine
a quale sia l’ambito di attività dei soggetti autorizzati alla intermediazione rispetto
a quello dei consulenti del lavoro.
RITENUTO IN DIRITTO
19. Il ricorso è fondato.
20. In particolare sono fondati i primi due motivi, da valutarsi unitamente
dovendosi pervenire, come si vedrà, ad una decisione di annullamento senza

della sussistenza di un effettivo attuale pericolo di prosecuzione del reato e/o
commissione di nuovi reati con i beni oggetto di sequestro e per la mancata
doverosa valutazione di proporzionalità ed adeguatezza della misura adottata
rispetto ad una situazione nella quale risulta dallo stesso provvedimento
impugnato che le società esercevano attività regolari, solo in parte debordando,
asseritamente, nell’ area di attività consentite ai soli consulenti del lavoro.
21. Il Tribunale parte sostanzialmente dall’assunto, corretto in sé, della
sufficienza di un “fumus commissi delicti” al fine della applicazione del sequestro
preventivo. Ma non tiene conto che la ragione per la quale l’art. 321 cod. proc.
pen. (quanto alla ipotesi di cui al primo comma) richiede solo un minimo livello di
dimostrazione della commissione del fatto deriva dall’avere la norma di mira
essenzialmente la pericolosità della cosa.
22. La principale condizione per il sequestro è, quindi, che vi sia una
ragionevole certezza di prosecuzione del medesimo reato o di commissione di
ulteriori reati laddove i beni di cui si intende disporre il sequestro restino in
disponibilità della parte; condizione ancora più evidente laddove il settimo comma
dell’art. 321 cod. proc. pen. prevede che per le cose soggette a confisca
obbligatoria (riferimento utile ad individuare in termini generali quelle cose che,
per il pericolo insito nella loro libera circolazione, sono sottoposte alla misura di
sicurezza obbligatoria indipendentemente dalla concreta punibilità del reato
commesso, quali le armi, i prodotti con marchio contraffatto etc) addirittura non
sia consentita la restituzione neanche in caso di illegittimità del provvedimento di
sequestro.
23. Quindi, in un caso quale quello in esame, non era possibile disporre e
mantenere il sequestro senza avere accertato la sussistenza di un concreto e serio
pericolo di prosecuzione della attività illecita, tanto più che, si legge, non si
trattava del primo sequestro ma della estensione del sequestro che aveva
riguardato la attività della Casabase, estensione disposta proprio quando le parti /
avevano, invece, offerto elementi significativi per garantire il futuro rispetto dei

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rinvio, con conseguente annullamento del sequestro, per la assenza di valutazione

limiti della attività aziendale autorizzata o, comunque, lo svolgimento delle date
attività aggiuntive solo con la gestione diretta di consulenti del lavoro.
24. Il Tribunale, invece, previa conferma della sussistenza di una condotta
integrante il reato ascritto nel tipo di attività che era svolta dalla Casabase e dalle
due società collegate (invero sembra che comprenda, tra le attività irregolari,
anche quelle che, invece, potevano essere svolte consistendo nella “effettuazione,
su richiesta del committente, di tutte le comunicazioni conseguenti alle assunzioni
afferma la probabile

prosecuzione delle attività irregolari, pur nella consapevolezza che non sono l’unica
attività dei ricorrenti, senza spiegarne il perché. Difatti, con motivazione solo
apparente, si limita a ritenere che anche le modifiche organizzative non possano
garantire la regolare futura gestione dei rapporti.
25. Al di là della fondatezza o meno del presupposto di ritenere la attività
irregolare pregressa più ampia di quella invece regolare (dato che non si evince
dal provvedimento impugnato, pur se significativo al fine della valutazione di
pericolosità), non si indica alcun elemento concreto per ritenere tale rischio
laddove, proprio per la accertata “normalità” in sé della attività dei ricorrenti, dopo
il richiamo dovuto alla attività dell’Ispettorato del Lavoro su iniziativa dell’Ordine
dei consulenti del Lavoro e senza altri elementi, è invece ragionevole ipotizzare
che sia intervenuta la regolarizzazione della attività. E, in ogni caso, vigendo anche
per le misure cautelari reali il principio di adeguatezza e proporzionalità di cui
all’art. 275 cod. proc. pen. ( I principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità,
dettati dall’art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelar’ personali, sono
applicabili anche alle misure cautelar’ reali, dovendo il giudice motivare
adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso
altri e meno invasivi strumenti caute/ari. … (Sez. 5, n. 8382 del 16/01/2013 dep. 20/02/2013, Caruso, Rv. 254712))),

manca del tutto la necessaria

valutazione ed attestazione della adeguatezza di una misura così estrema rispetto
ad una attività aziendale che di base è regolare o, comunque, senza individuare
una tale ampiezza di quella svolta irregolarmente che possa giustificare un
provvedimento di sequestro totale con conseguente inibizione anche delle attività
lecite.
26. La completezza del provvedimento impugnato nel riferire le condizioni del
fatto consente di ritenere la attuale insussistenza di rilevanti esigenze cautelari
che non potrebbero essere individuate neanche in un eventuale giudizio di rinvio.
Pertanto va disposto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata e

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avvenute a seguito dell’attività di intermediazione”)

dell’originario decreto di sequestro con conseguente annullamento del sequestro
e restituzione dei beni.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché il provvedimento di
sequestro del gip di Bologna e dispone la restituzione agli aventi diritto di quanto
in sequestro.
Roma così decisol’ll luglio 2014
il presidente

Il considl’ere tensore

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