Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34204 del 02/07/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 34204 Anno 2014
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: DI STEFANO PIERLUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
URSIDA FRANCESCO n. 3/8/1962
avverso l’ordinanza 189/2014 dell’11/3/2014 del TRIBUNALE DEL RIESAME DI
MILANO
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERLUIGI DI STEFANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ALDO POLICASTRO che ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso
CONSIDERATO IN FATTO
i. Ursida Francesco era stato condannato dal Tribunale di Milano in data 11
novembre 2009 alla pena di anni 25 di reclusione per traffico di stupefacenti. Tale
sentenza era dichiarata irrevocabile il 7 aprile 2010.
2. Il 17 settembre 2013 Ursida veniva estradato dalla Colombia.
3. Il 12 dicembre 2013 il Tribunale di Milano restituiva il ricorrente nei termini
ai sensi dell’art. 1752° comma 42° comma bis cod. proc. pen. per proporre
appello e, contestualmente, dichiarava nuovamente efficace l’ordinanza di
custodia in carcere in corso al momento della condanna in primo grado.
4. Il successivo 18 dicembre 2013 Ursida chiedeva al Tribunale di Milano la
declaratoria di inefficacia della misura della custodia in carcere per decorrenza dei
termini massimi di fase, con riferimento alla fase decorrente dalla condanna in
primo grado, in quanto andava computato la detenzione sofferta a fini di

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Data Udienza: 02/07/2014

estradizione in Colombia nel periodo dal 17 giugno 2011 al 26 ottobre 2012 e, poi,
dal 24 agosto 2013 al 17 settembre 2013, data della consegna all’Italia.
s. Il Tribunale rigettava la richiesta poiché non risultava con certezza che il
ricorrente fosse stato sottoposto ad arresto proprio in ragione della richiesta di
estradizione presentata dall’Italia. In ogni caso riteneva applicabile il disposto di
cui all’art. 303 2° comma cod. proc. pen. dovendosi equiparare il caso di specie
a quello del regresso del procedimento ad altra fase. Riteneva, in conseguenza,
che i termini di fase decorressero nuovamente dalla data del provvedimento che

aveva disposto il regresso, ovvero dal 12 dicembre 2013, e che quindi, anche
considerando i termini della custodia sofferta in Colombia, in aggiunta a quella
sofferta in Italia, non si raggiungeva il doppio del termini di fase pari ad anni tre
(limite comunque posto dall’art. 304 comma 6° cod. proc. pen.).
6. Proposto dall’Ursida appello ex art. 310 cod. pen. avverso tale decisione, il
Tribunale del Riesame, con ordinanza dell’ 11 marzo 2014, qui impugnata, lo
rigettava.
7. Anzitutto osservava che anche, con i nuovi documenti prodotti dalla difesa,
non risultava se l’arresto a fini estradizionali fosse riferibile alla procedura di
estradizione richiesta dall’Italia e che eventuali accertamenti , dovendo essere
svolti con rogatorie internazionali, erano incompatibili con le scadenze temporali
della richiesta di scarcerazione per decorrenza dei termini.
8. Rilevava poi che nel caso di specie la remissione in termini non era
conseguenza di alcun errore della A.G. ma soltanto della facoltà di impugnazione
concessa all’imputato contro la sentenza pronunciata nei suoi confronti in
contumacia.
9. In conclusione riteneva che i termini di custodia per la fase successiva alla
sentenza di primo grado decorressero nuovamente dalla data del provvedimento
che aveva rimesso in termini l’imputato.
lo. Contro tale provvedimento propone ricorso Ursida con atto a firma del
difensore.
11. Con il primo motivo rileva il vizio di motivazione dell’ordinanza quanto al
mancato accertamento della ragione di sottoposizione all’arresto estradizionale,
concludendo che, comunque, la Corte di Appello di Milano, innanzi alla quale è in
corso il processo di secondo grado, con ordinanza dell’ 11 febbraio 2014 ha
riconosciuto che la carcerazione subita all’estero dal ricorrente è riferibile al

Il

presente procedimento.
12. Con secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione
in relazione agli articoli 303, 304 e 722 cod. proc. pen. .
13. Rileva che il termine di fase decorreva dalla sentenza di primo grado e non
dal provvedimento di revoca della esecutività della sentenza in quanto va escluso,
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come affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità, che tale provvedimento
rientri nella ipotesi di regressione. In ogni caso non vi era ragione del raddoppio
di tali termini.
RITENUTO IN DIRITTO
14. Il ricorso è infondato.
15. Quanto al primo motivo, in ragione di quanto si dirà in ordine al secondo,
la questione non ha rilevanza allo stato. Difatti, che vi sia stata o meno detenzione
a fini estradizionali in Colombia, nulla muta allo stato poiché la questione è risolta

nel termine. La questione sarà, invece, in futuro rilevante quanto all’eventuale
decorso del doppio del termine di fase senza pronuncia della sentenza di appello.
Va solo considerato innanzitutto che, come il ricorrente dichiara (ma in atti non
risulta) la Corte di Appello ha riconosciuto che la detenzione in Colombia era
finalizzata alla estradizione in Italia e che, poi, la motivazione dei giudici di merito
è alquanto singolare. O il ricorrente è stato detenuto per la richiesta di estradizione
in Italia o non lo è stato; certamente non spetta a lui l’onere della prova, ai fini
della decisione sulla richiesta di decorrenza dei termini, di dimostrare di essere
stato detenuto per il processo a suo carico, ancorchè all’estero; singolare è anche
ritenere che non sia possibile acquisire in termini brevi la notizia e, comunque, sul
presupposto della lungaggine dell’accertamento, optare per una decisione che
prescinda dalla pregressa detenzione, con piena accettazione della possibilità che
vi sia una illegittima protrazione dei termini di custodia.
16. La questione posta è comunque risolta perché quello in esame rappresenta
uno dei casi nei quali si realizza una “regressione” ovvero “rinvio ad altro giudice”
rilevante al fine della nuova decorrenza dei termini di fase.
17. La norma in questione è quella del secondo comma dell’articolo 303 cod.
proc. pen. secondo la quale “nel caso in cui, a seguito di annullamento con rinvio
da parte della corte di cassazione o per altra causa, il procedimento regredisca ad
una fase o a un grado di giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro giudice, dalla
data del provvedimento che dispone il regresso o il rinvio ovvero dalla
sopravvenuta esecuzione della custodia cautelare decorrono di nuovo i termini
previsti dal comma irelativamente a ciascuno stato e grado del procedimento”.
18. Sin dalla introduzione del nuovo codice si è posto il problema dell’ambito
di applicazione di tale norma, in presenza in particolare di una ipotesi specifica
quale è il rinvio da parte della corte di cassazione, e la risposta della giurisprudenza
è sempre stata nel senso di ritenere che si sia in presenza di mera esemplificazione
e che la nuova decorrenza dei termini si verifichi in ogni possibile ipotesi di
regressione o spostamento del processo.

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dalla nuova decorrenza del termine di fase a decorrere dalla data della restituzione

19. In materia di termini di durata della custodia cautelare, la locuzione “per
altra causa”, usata dal legislatore nell’art. 303, comma secondo, cod. proc. pen.,
si riferisce non solo agli annullamenti o dichiarazioni di nullità delle sentenze o dei
provvedimenti in genere che determinano il passaggio del processo ad un grado o
ad una fase successiva, ma a qualunque altra decisione in grado di determinare il
regresso del processo a fase o grado di giudizio diversi, senza alcuna distinzione,
compresa la sentenza del giudice di appello nelle ipotesi di cui all’art. 604 cod.
proc. pen. o nel caso in cui rileva l’incompetenza del giudice di primo grado, nei

casi di cui all’art. 23 cod. proc. pen.. (Sez. 6, n. 76 del 14/01/1993 – dep.
08/03/1993, Mascolo, Rv. 193545)
20. L’art. 303, comma secondo, cod. proc. pen. pone sullo stesso piano, ai fini
della custodia cautelare, le ipotesi di regressione del procedimento a una fase o a
un grado di giudizio diversi, e quelle di rinvio ad altro giudice, sia a seguito di
annullamento con rinvio della Cassazione, sia per qualunque altra causa. Per
questa ragione, la trasmissione degli atti al P. M. presso il giudice competente,
invece che direttamente a quest’ultimo, prevista dall’art. 23, comma primo, cod.
proc. pen. dopo la sentenza n. 76 del 1993 della Corte Costituzionale, implica la
regressione del procedimento per una causa diversa dell’annullamento disposto
dal giudice di diritto, ma con eguali effetti sul piano della custodia cautelare, e cioè
la nuova decorrenza dei termini previsti per la fase, fermo quello massimo. (Sez.
1, n. 4361 del 22/08/1995 – dep. 01/09/1995, Gemelli, Rv. 202415)
21. Ai fini del nuovo decorso dei termini di fase della durata della custodia
cautelare di cui all’art. 303, comma secondo, cod. proc. pen., la previsione di una
situazione sufficientemente determinata, qual è l’annullamento con rinvio da parte
della Corte di cassazione, ha valore semplicemente esemplificativo, e pertanto il
meccanismo della nuova decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare va
ricollegato a tutti i casi di regressione o di rinvio del procedimento ad altro giudice,
anche se questi ne ha avuto già cognizione, e segnatamente al caso in cui la Corte
di cassazione, risolvendo un conflitto di giurisdizione o di competenza, rinvia il
processo a un giudice diverso da quello che, da ultimo, ha avuto cognizione del
procedimento. (Conf. Sez. 1^, 19 giugno 1997 n. 4221, Giacobbe, in corso di
massimazione). (Sez. 1, n. 3972 del 05/06/1997 – dep. 08/10/1997, Esen e altri,
Rv. 208584).
22. Ciò che rileva non è tanto il rispetto della ordinaria sequenza
procedimentale, come del resto è testuale nella ipotesi di rinvio ad altro giudice,
quanto l’esigenza di risolvere, nella ipotesi di oggettiva regressione del processo
che possa avere effetto di scadenza dei termini di custodia, l’inevitabile vulnus alle
esigenze di cautela. La norma ha previsto che tale rischio di scadenza venga risolto
contemperando le esigenze da un lato di evitare la scadenza stessa, il che ha
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i
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realizzato appunto col sistema della nuova decorrenza dei termini di fase, nel
contempo tutelando l’imputato non spingendo oltre limiti ragionevoli tale
prolungamento dei termini. Per tale motivo ha posto il limite del termine di fase
che non può superare il doppio (art. 304 6° comma cod. proc. pen.) ed ha
mantenuto comunque il medesimo limite complessivo dei termini di custodia. Ciò
è affermato con chiarezza da questa Corte (Sez. U, n. 4 del 19/01/2000 – dep.
29/02/2000, Musitano, Rv. 215214) che, intervenendo sulle modalità del calcolo
del termine di fase, ha, in motivazione, affermato:”La giurisprudenza di questa

di far decorrere un nuovo termine di fase del tutto svincolato da quello già
trascorso nella fase o nel grado in cui il processo è regredito, nel senso che non è
stato mai posto in dubbio che la predetta norma ha la specifica funzione di far
derivare dal provvedimento di annullamento o di regresso il decorso ex novo di un
distinto termine, privo di qualsiasi connessione con quello della fase o del grado
corrispondente, e, dunque, a questo non cumulabile (Cass., Sez. VI, 21.10.1998,
Pacini Battaglia, rv. 212689; Cass. Sez. I, 20.10.1998, Accardo ed altri, rv.
212027; Cass., Sez. I, 14.07.1998, Accardo, rv. 211413; Cass., Sez. I, 6.07.1998,
Todesco, rv. 211273; Cass., Sez. I, 5.06.1997, Esen e altri, rv. 208584; Cass.,
Sez. V, 25.10.1996, Trubia, rv. 206551; Cass.,Sez. III, 30.07.1993, Soracco, rv.
195976). Inoltre, più volte sono state dichiarate manifestamente infondate le
eccezioni di illegittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 303 c.p.p. formulate con riferimento ai parametri degli artt. 3, 13, 24 e 111 Cost.- per la
ragione che la disciplina degli effetti della regressione del processo sulla durata
della custodia cautelare corrisponde ad una precisa scelta del legislatore, il quale,
conformemente a criteri di ragionevolezza e ai principi costituzionali, ha inteso
realizzare un equilibrato bilanciamento tra esigenze di tutela della collettività e
favor libertatis, da un lato assegnando prevalente rilevanza alle prime con riguardo
ai termini di fase e dall’altro riconoscendo la priorità della libertà individuale per
ciò che concerne il termine massimo complessivo di cui al quarto comma dell’art.
303 c.p.p. (Cass., Sez. V, 26 maggio 1998, Giacalone, rv. 211613; Cass., Sez. I,
19 giugno 1998, Todesco, rv. 211157; Cass., Sez. VI, 30 marzo 1993, Esposito,
rv. 195641)”.
23. Questo rende di per sé poco rilevante discutere se alla ripetizione della fase

processuale si arrivi nell’ambito del giudizio di cognizione o, come nel caso di
specie, attraverso una sorta di regressione dalla fase di esecuzione. Invero un tale
limite non vi è nella lettera della norma e la sua interpretazione è chiaramente nel
senso della massima ampiezza in quanto le esigenze per cui la regola è posta non
attengono, come detto, ad un profilo di regolare scansione dei tempi del processo

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Corte ha costantemente attribuito alla disposizione ex art. 303, comma 2, l’effetto

ma al dato obiettivo delle conseguenze negative della eventuale regressione sul
provvedimento dì cautela in corso di applicazione.
24. La questione va affrontata anche sotto il profilo di quella che è la particolare
ipotesi di cui all’articolo 175 ( 2° comma lcod. proc. pen..
25. Tradizionalmente l’istituto della restituzione in termini per la impugnazione
avverso la sentenza passata formalmente in giudicato era ipotesi straordinaria,
legata ad ipotesi di errore ovvero situazioni eccezionali di “caso fortuito” ovvero
“forza maggiore”. La nuova previsione dell’art. 175,2° comma i in questione ha,

diritto alla proposizione dell’impugnazione da parte del soggetto contumace, pur
a fronte di un pieno rispetto delle regole processuali in materia di notifiche (la
normativa vigente al momento del processo in contumacia a carico di Ursida
consentiva anche notifiche che si limitassero a garantire la conoscenza legale ma
non la conoscenza effettiva).
26. Vi

è, insomma, un vero e proprio diritto a tornare dalla fase dell’esecuzione

ad una fase del processo di merito rispetto alla quale è solo possibile al PM offrire
la prova contraria della effettiva conoscenza (Ai fini della restituzione nel termine
per impugnare la sentenza contumaciale, la nuova disciplina introdotta dalla I. 22
aprile 2005, n. 60, prevede una sorta di presunzione “iuris tantum” di non
conoscenza della pendenza del procedimento da parte dell’imputato, ponendo a
carico del giudice l’onere di reperire in atti l’eventuale prova contraria e, più in
generale, di effettuare tutte le verifiche occorrenti al fine di accertare se il
condannato abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento ed abbia
volontariamente rinunciato a comparire. (Sez. 6, n. 2718 del 16/12/2008 – dep.
21/01/2009, Holczer, Rv. 242430)).
27. Quindi si è fatto riferimento alla disciplina della restituzione in termini non
per la finalità di riparare ad errori o altri casi eccezionali / ma “Il legislatore italiano
ha scelto lo strumento delle misure ripristinatorie, per garantire comunque al
contumace inconsapevole la possibilità di esercitare adeguatamente il suo diritto
di difesa in giudizio” al fine di riequilibrare, sino alla recente normativa sulla
procedimento in assenza della parte, l’ordinamento processuale rispetto al
processo in absentia (“in particolare si tratta, nel caso di specie, dell’imputato
giudicato in contumacia che non abbia avuto contezza del processo e non abbia
potuto, per questo motivo, partecipare al suo svolgimento, vedendosi precluso, in
tal modo, l’esercizio del proprio diritto di difendersi, anche mediante la produzione
di nuove e diverse prove rispetto a quelle presentate dall’accusa”).
28. Il rilievo della esigenza è stato ritenuto tale che, superando il vincolo del
“principio di unicità della diritto di impugnazione”, la Corte Costituzionale con la
sentenza numero 317 del 2009, dichiarando parzialmente incostituzionale il
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invece, un carattere decisamente diverso. Introduce, difatti, un vero e proprio

secondo comma dell’articolo 175 cod. proc. pen., ha previsto che l’imputato
contumace che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento possa
proporre impugnazione anche quando questa sia stata proposta al suo difensore.
Pur se in tal caso,introdotto con la decisione del giudice costituzionale

non vige la
/
“presunzione” di non conoscenza, l’effetto è che in questo caso non solo si realizza
un ritorno alla fase di cognizione ma, nell’ambito di questa, alla fase antecedente
alla sentenza emessa a seguito di impugnazione al difensore.
29. Questo dimostra ancor di più che, nella situazione in esame, vi è una sorta

anche la sentenza è provvisoria e sottoposta alla condizione risolutiva che il
ricorrente non dimostri la sussistenza delle condizioni per proporre ulteriore ed
autonoma impugnazione.
30. La conclusione, quindi, è che si è di fronte ad una forma di regressione
“ordinaria”, con la particolarità che la regressione è alla fase di cognizione da una
fase provvisoria di giudicato.
31. E, nei casi indicati sopra, la situazione pressoché identica di sentenza
emessa in contumacia passata in giudicato può anche comportare una ulteriore
regressione di fase laddove vi sia stata sentenza sul impugnazione del difensore.
32. Sono tutti casi rispetto ai quali ricorrono pacificamente le condizioni che
hanno giustificato la introduzione della disposizione di cui all’articolo 303 2°
comma cod. proc. pen. per disciplinare la situazione in questione con una adeguata
contemperanza degli opposti interessi in gioco.
33. Poiché rileva tale profilo fattuale, di effetto prodotto in qualsiasi modo,
come dimostra la dizione generica della norma, il fatto che il passaggio di fase non
sia interno al giudizio di cognizione non è certamente ragione ostativa.
34. L’unico profilo di apparente dubbio potrebbe essere la assenza di una
previsione espressa in occasione della specifica disciplina della restituzione in
termini per adeguamento del processo contumaciale alle esigenze del diritto di
difesa, ma la evidente ragione di una tale mancanza è che nelle ipotesi disciplinate
dall’art. 175,2° comma cod. proc. pen. è ragionevolmente improbabile che la
/
questione si ponga in quanto la sottoposizione a misura cautelare di norma
comporta la prova della conoscenza del processo in corso che esclude la
restituzione in termini; peraltro la nuova disciplina del processo in assenza
dell’imputato introdotta con la L. 28 aprile 2014, n. 67 prevede tra i casi di
conoscenza presunta del procedimento proprio il caso in cui l’imputato sia stato
sottoposto a misura cautelare. E, difatti, la vicenda in esame si colloca nel più
limitato caso della sentenza pronunciata in contumacia nei confronti di soggetto
estradato dall’estero rispetto al quale è maggiormente possibile, come nel caso
avvenuto, che vi sia un’apprezzabile periodo di custodia cautelare (a fini di
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di giudicato provvisorio e, anzi, nel caso introdotto dalla Corte Costituzionale,

estradizione) all’estero, equiparato alla custodia nell’ambito del processo, ex
articolo 722 cod. proc. pen.. Tale misura, come accaduto nel caso di specie, ben
può essere applicata successivamente alla fase di formale irrevocabilità della
sentenza in contumacia e prima della scadenza del termine per proporre
impugnazione, che decorre dal momento della consegna. Quindi non può darsi
alcun significato alla assenza di previsioni specifiche nell’art., 175 2° comma per
le misure cautelari in atto.
35. Gli argomenti svolti consentono di superare il contrasto con la decisione

cautelare, ripristinata per effetto della regressione del processo dalla fase
esecutiva alla fase di cognizione a seguito di dichiarata non esecutività della
sentenza di primo grado, riprende a decorrere dalla data di pronuncia di
quest’ultima e non già dalla data del provvedimento del giudice dell’esecuzione
che ha disposto il regresso. (Sez. 1, n. 33121 del 14/07/2011 – dep. 05/09/2011,
Gremi, Rv. 250671)”.
36. Tale decisione innanzitutto riguarda la diversa ipotesi della restituzione in
termini per la diversa situazione dell’errore nel ritenere la sentenza irrevocabile
nonostante la non decorrenza del termine per impugnazione, laddove nel caso in
esame per le ragioni anzidette della totale diversità della situazione si ha un vero
r,
e proprio regresso anziché la ordinaria prosecuzione del processo non essendo
scaduto il termine per l’appello.
37. Poi, comunque, la predetta sentenza ritiene non possibile una
“interpretazione estensiva della norma non può essere accolta, poiché
l’espressione “o per altra causa” contenuta nell’art. 303 c.p.p., comma 2
comprende ogni possibile ipotesi di regressione del processo nell’ambito della fase
della cognizione – per la quale, peraltro, sono dettate le norme che regolano i
termini della custodia cautelare – ma non comprende anche il caso di riapertura
del processo, già definito, per costatate irregolarità nella formazione del titolo
esecutivo, accertate a seguito di incidente di esecuzione.” così ritenendo
determinante la circostanza della inapplicabilità della norma all’esterno del giudizio
di cognizione laddove, invece, è stato ritenuto che la funzione della disposizione
non è collegata alle ragioni per le quali la fase ricomincia considerando ma solo al
dato fattuale del regresso senza distinguere fra le ragioni per cui questo sia
avvenuto. Va in definitiva affermato che “l’articolo 303 comma secondo cod. proc.
pen. si applica ad ogni ipotesi di regressione di fase anche quando ciò avvenga per
restituzione in termini ai sensi articolo 175 secondo comma per la impugnazione
la sentenza formalmente passate in giudicato dell’imputato giudicato in
contumacia”.

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Sez. 1, Sentenza n. 33121 del 2011 secondo cui “Il termine di durata della custodia

38.

Pertanto i termini di custodia sono decorsi nuovamente dalla data del

provvedimento che restituiva il ricorrente in termini. Il periodo di custodia
cautelare presofferto ai fini di della estradizione richiesta per il processo in corso
va computato al diverso fine di determinare il limite massimo del doppio dei termini
di fase.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento. Ma da alla cancelleria per gli avvisi ai sensi dell’art. 94 comma 1

Rom così dec so nella camera di consiglio del 2 luglio 2014
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Pi

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il Presid nte
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ter cod. p oc. pen.

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