Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34201 del 26/03/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 34201 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LEO GUGLIELMO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di
Catanzaro nel procedimento penale a carico di

Pace Fabio, nato a Crotone il 26/04/1984

avverso l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice dell’appello
cautelare, in data 26/11/2013

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Guglielmo Leo;
udito il Procuratore generale, in persona del sostituto dott. Alfredo Pompeo Viola,
che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. È impugnata l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro del 26/11/2013, con la
quale è stato respinto l’appello proposto dalla Procura generale presso la Corte
d’appello di Catanzaro contro il provvedimento assunto il 31/07/2013, nei
confronti di Fabio Pace, dalla Corte d’assise d’appello di Catanzaro.

(9,

Data Udienza: 26/03/2014

Con l’indicato provvedimento la Corte d’assise aveva revocato la misura
cautelare in corso di applicazione nei confronti del Pace, cioè quella dell’obbligo
di dimora presso il comune di residenza. L’ordinanza era stata appellata dal
Pubblico ministero, dando luogo al giudizio incidentale definito con il
provvedimento impugnato nella presente sede.
Il Tribunale rileva che Pace è stato assoggettato alla custodia in carcere fin dal
novembre del 2008. Il novero delle contestazioni cautelari si è ridotto con
l’intervento del Tribunale del riesame, fino a comprendere il solo delitto di

condannato in primo ed in secondo grado, con pena quantificata in quattro anni
e otto mesi di reclusione.
Quanto alle modalità della cautela, l’odierno ricorrente era stato scarcerato
nel maggio del 2011 (con applicazione di misure sostitutive non detentive), e
ricondotto in carcere a seguito di provvedimento dell’ottobre 2011, seguito ad
altro appello del Procuratore generale. Nel gennaio del 2012 il Giudice
procedente, cioè la Corte d’assise di appello, aveva interrotto il trattamento
cautelare, poi ripristinato – in forma di obbligo di dimora – a seguito di nuovo
appello del pubblico ministero. Infine, il provvedimento di revoca cui ha fatto
seguito l’ordinanza impugnata nella sede presente.
Il Tribunale, dopo aver riassunto gli argomenti dell’appellante, osserva che il
tempo decorso dall’avvio del trattamento cautelare, pur non rilevando in
assoluto, può costituire elemento per una valutazione aggiornata delle esigenze
cautelari. Aggiunge che nel caso di specie il raffronto con la durata della pena
detentiva inflitta, e la considerazione del buon comportamento tenuto
dall’interessato durante l’esecuzione delle misure poi revocate, giustificano il
giudizio di sopravvenuta cessazione delle esigenze cautelari.

2. Ricorre il Procuratore generale denunciando vizio di motivazione e violazione
della legge processuale, a mente dell’art. 606, comma 1, lettere e) e b), cod.,
proc. pen.
Il Tribunale non avrebbe tenuto conto della presunzione di pericolosità, pur
relativa, che si connette alla natura del reato in contestazione. Data la gravità
dei fatti, nessun rilievo potrebbe assegnarsi al trascorrere del tempo, e
d’altronde mancherebbe un qualsiasi segnale di interruzione dei rapporti tra
l’imputato ed il contesto mafioso di riferimento. Il trattamento cautelare
andrebbe dunque ripristinato.

3. Il ricorso va rigettato, così come richiesto dal Procuratore generale in
udienza.
2

associazione per delinquere di tipo mafioso, l’unico per il quale il Pace è stato poi

È certo vero quanto notato dal ricorrente, e cioè che il Pace è accusato (e
condannato anche in appello) per un delitto – la partecipazione ad associazione
di tipo mafioso – per il quale opera una presunzione di pericolosità a norma
dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.: presunzione non assoluta, per quanto
riguarda la sussistenza di esigenze cautelari, ma comunque tale da imporre
l’individuazione in positivo di elementi che consentano di escludere una attuale
pericolosità dell’interessato.
Va confermato l’orientamento ormai consolidato secondo il quale – ferme le

esterno nel reato associativo – l’accusa di appartenenza ad una organizzazione
mafiosa si riferisce ad un fatto per se stesso sintomatico di elevata pericolosità,
che le regole di esperienza configurano come implicazione connessa allo status
del soggetto preso in considerazione, con la conseguenza che l’ipotetica
cessazione del rischio di nuovi reati deve tendenzialmente connettersi alla
rescissione del vincolo associativo
Tuttavia il caso di specie presenta obiettive particolarità, che il Tribunale del
riesame, quale giudice del merito della questione cautelare, ha correttamente
valorizzato ed illustrato, così da precludere un ipotetico intervento correttivo
della Corte di legittimità.
Risulta – ed il fatto rileva anche sul piano della proporzionalità – che Pace è
stato ristretto in carcere a titolo di custodia cautelare per due anni ed otto mesi,
ben oltre la metà della pena inflittagli nel giudizio di appello, e che si trovava più
generalmente sottoposto a misure restrittive della libertà fin dal novembre 2008,
cioè per un tempo che, già all’epoca del provvedimento di revoca della misura
che il ricorrente vorrebbe ripristinare, era sostanzialmente pari alla durata della
sanzione irrogata.
Per inciso, deve ipotizzarsi che l’imputato fosse rimasto ristretto fino al limite
massimo di durata della custodia, ché altrimenti non si comprenderebbe
l’applicazione nei suoi confronti di una misura normalmente preclusa riguardo
alle contestazioni

ex art. 416-bis cod. pen.: per tale reato quale vige

notoriamente una presunzione (assoluta) di adeguatezza esclusiva della custodia
in carcere, misura che dunque non è sostituibile, se non appunto in casi
particolari, con l’obbligo di dimora.

4. Il Tribunale ha valutato le particolarità indicate. Ha rilevato in sostanza come
la lunghissima restrizione della libertà, per quanto intervenuta a titolo di cautela,
possa esplicare un effetto di dissuasione che, nella specie, sarebbe confermato
dal costante rispetto da parte dell’interessato delle prescrizioni connesse alle
misure applicategli, e dall’assenza di notizie circa suoi ulteriori comportamenti
3

LQ

particolarità progressivamente emerse in rapporto alle ipotesi di concorso

criminosi. Dato, questo, logicamente rapportato – con l’opportuna precisazione
che non si tratta solo di questo – al tempo ormai lunghissimo che è trascorso dai
comportamenti criminosi ipotizzati.
Si tratta di un giudizio in fatto, come tale spettante al Tribunale, che è stato
condotto e motivato senza apprezzabile scostamento dalle regole di valutazione
del materiale probatorio e dai connessi oneri motivazionali.

Rigetta il ricorso.

Così deciso il 26/03/2014.

P.Q.M.

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