Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34200 del 26/03/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 34200 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LEO GUGLIELMO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal Pubblico ministero nel procedimento penale a carico di

Tarcaoanu Elena Ramona, nata a Piatra Neamt (Romania) il 16/11/1979

avverso la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Orvieto in data 15/01/2013

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Guglielmo Leo;
udito il Procuratore generale, in persona del sostituto dott. Alfredo Pompeo Viola,
che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. È impugnata la sentenza in data 15/01/2013 con la quale il Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale di Orvieto ha disposto non luogo a procedersi
nei confronti di Elena Ramona Tarcaoanu per il delitto di falsa testimonianza.
Il reato sarebbe stato commesso ad Orvieto, il 28/05/2010, nel corso del
procedimento penale a carico del marito dell’odierna ricorrente, chiamato a

Data Udienza: 26/03/2014

rispondere di violazioni del codice della strada, nonché di falso e ricettazione. La
Tarcaoanu avrebbe deposto il falso, pur dopo essere stata avvertita della facoltà
di astenersi e delle sanzioni previste nel caso di testimonianza mendace,
nell’affermare d’essere stata lei a guidare e parcheggiare l’auto di famiglia, verso
le ore 15 o comunque nel corso del pomeriggio, presso un determinato locale
pubblico.
Il Giudice dell’udienza preliminare ha ritenuto che le dichiarazioni contestate
avrebbero potuto essere «imprecise», oltre la volontà della testimone, per la

fatto che la donna, sentita nell’udienza preliminare, ha invece dichiarato che il
fatto si era svolto dopo l’ora di cena. Un «riscontro» sarebbe dato dalla
«deposizione» di tale Mihail Tarcaoanu, fratello della persona imputata nel
processo in cui avrebbe avuto luogo la falsa testimonianza. In breve, l’uomo ha
confermato la (ultima) versione della cognata e, in sostanza, nuovamente
escluso il fondamento delle accuse a suo tempo elevate contro il fratello.
La deposizione del Tarcaoanu sarebbe credibile «perché resa con sicurezza,
senza titubanze o incertezze, con eloquio sciolto e non contraddittorio».
Dunque, andrebbe affermato che la falsa informazione a suo tempo enunciata
dalla Tarcaoanu fu dovuta ad un equivoco linguistico circa il termine
«pomeriggio», favorito dalla circostanza che il fatto risaliva al mese di agosto.
Inoltre la teste aveva precisato di non ricordare esattamente l’ora dei fatti.
Il non luogo a procedere è stato motivato sull’assunto che la situazione non
muterebbe in un ipotetico dibattimento.

2. Ricorre il Pubblico ministero denunciando la violazione dell’art. 425 e dell’art.
192 cod. proc. pen.
Il Giudice avrebbe ecceduto i limiti di una prognosi sull’esito dell’invocato
dibattimento, procedendo ad un giudizio di merito fondato, oltretutto, su un
palese travisamento della prova.
Allegando il verbale relativo alle testimonianze dibattimentali dell’odierna
imputata e del cognato, il ricorrente segnala che la Tarcaoanu aveva reso
dichiarazioni palesemente incompatibili con una collocazione serale dei fatti, e
ritenute inattendibili dal Giudice del procedimento contro il marito, che, anche su
questo presupposto, aveva pronunciato una sentenza di condanna. La pretesa
conferma da parte di Mihalil Tarcaoanu non sarebbe tale, essendosi
completamente trascurate le difformità tra le dichiarazioni dibattimentali
dell’uomo e quelle rese nel corso dell’udienza preliminare.
Il rilievo sulla possibilità di un equivoco circa il significato del termine
«pomeriggio» sarebbe del tutto illogico, considerando che la teste era stata
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scarsa confidenza di costei con la lingua italiana. La conclusione è motivata sul

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richiamata più volte proprio a proposito dell’orario, ed apertamente avvertita che
sarebbe stata denunciata per il delitto di falsa testimonianza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile, perché sostanzialmente fondato su
motivi in fatto (dunque non consentiti dalla legge per l’impugnazione di
legittimità), e perché manifestamente infondato nella parte in cui prospetta una

definizione dell’udienza preliminare.
1.1. È appena il caso di precisare che le censure mosse alla decisione
impugnata non sono affatto irragionevoli. Tuttavia il Giudice ha analizzato i fatti
essenziali, cioè la «testimonianza» e le risultanze acquisite nell’udienza
preliminare, giudicando insufficiente la prova che la Tarcaoanu avesse inteso
deliberatamente mentire a proposito dell’orario nel quale avrebbe accompagnato
in auto il marito nel luogo ove poi è stato trovato dalla polizia giudiziaria, alla
guida della stessa auto, sebbene ubriaco e senza patente di guida. Il giudizio di
attendibilità del «teste» a sostegno della difesa, cioè del cognato dell’imputata, è
stato formulato in base ad un criterio di fluidità e di coerenza interna delle sue
dichiarazioni, nonché di coincidenza tra le medesime e quelle della Tarcaoanu.
Non è dato sapere se il Giudice disponesse del verbale delle pregresse
dichiarazioni dibattimentali del medesimo testimone (allegato al ricorso). Ad ogni
modo l’omissione del confronto tra le dichiarazioni citate e quelle rese
nell’udienza preliminare potrebbe al più delinearsi quale difetto della
motivazione, e non atteggiarsi, come invece sostenuto dal ricorrente, in
risolutivo travisamento della prova per omissione: si sarebbe trattato, appunto,
di perfezionare la valutazione delle affermazioni compiute dal Tarcaoanu
nell’udienza preliminare, da risolvere in ipotesi meno favorevolmente per
l’interessato, ma non di percepire l’enunciato di una fonte di prova idonea a
ribaltare, senza possibilità di dubbio e senza necessità di vaglio critico, la
conseguenza tratta dal Giudicante.
Altrettanto è a dirsi, mutatis mutandis, per l’evidente interesse difensivo e,
per così dire, parentale, che potrebbe aver mosso i dichiaranti. Il Giudice delle
indagini preliminari l’ha certamente percepito, ed ha di fatto stabilito che lo
stesso non varrebbe a ribaltare l’accertamento in senso sfavorevole all’imputata.
Si tratta di un giudizio in fatto, motivato senza decisive omissioni o
contraddizioni, che dunque rimane interamente rimesso alle competenze ed alle
responsabilità del Giudicante.

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violazione della regola di giudizio che presiede, ex art. 425 cod. proc. pen., alla

1.2. Non sussiste poi la violazione della regola di giudizio enunciata all’art.
425 cod. proc. pen.
Come puntualmente ricorda lo stesso ricorrente, detta regola impegna il
giudice dell’udienza preliminare a non anticipare la decisione di merito sui fatti
contestati, che spetta al giudice dibattimentale od a quello dell’eventuale rito
semplificato. Oggetto della decisione non è dunque la responsabilità
dell’imputato, ma la ragionevole previsione che, in esito alla valutazione delle
prove utilizzabili a seconda dell’uno o dell’altro rito di definizione del giudizio,

l’insufficienza degli elementi d’accusa, nel momento in cui viene apprezzata la
richiesta di rinvio a giudizio, non è risolutiva: il giudice, infatti, dovrà apprezzare
la possibilità che le integrazioni del quadro cognitivo, legittime e doverose nel
giudizio di merito, conducano ad una diversa configurazione del compendio
probatorio. È il concetto spesso evocato alludendo ad una valutazione dinamica,
e non statica, delle prove e delle prospettive dell’accusa.
Tutto ciò non implica, per altro, il potere-dovere di disporre il giudizio in ogni
situazione di ritenuta controvertibilità della prova a carico dell’imputato. Nel
giudizio di fatto, il giudice dell’udienza preliminare non esercita un ruolo
depotenziato, di mera interdizione rispetto a casi di palese inconcludenza
dell’accusa, di mera definizione dei «casi facili». Il punto è se la ritenuta
insufficienza sia emendabile attraverso acquisizioni future che – per la forma, la
fonte e l’oggetto – appiano potenzialmente risolutive, o se piuttosto siano già
disponibili (anche in termini di forma) tutti gli elementi ragionevolmente utili alla
valutazione del caso.
Quando il Giudice dell’udienza preliminare conclude per la seconda delle
ipotesi indicate, e motiva in termini adeguati il proprio convincimento, la
sentenza di non luogo a procedere rappresenta la conclusione naturale, ed anzi
obbligata, dell’udienza preliminare (Sez. 6, Sentenza n. 5049 del 27/11/2012,
rv. 254241).
È vero che una parte della giurisprudenza tende comunque ad escludere
l’ammissibilità di sentenze liberatorie che richiedano una disamina
particolarmente complessa ed approfondita delle risultanze (ad esempio Sez. 2,
Sentenza n. 45989 del 18/10/2013, rv. 257309). Ma tale orientamento non
richiede una approfondita considerazione nella sede presente, poiché
palesemente privo di pertinenza ad un caso come quello di specie.
1.3. Nel caso in questione, come si è visto, il Giudice ha sinteticamente ma
correttamente enunciato, in conclusione del proprio provvedimento, un giudizio
di superfluità della fase dibattimentale, nel cui ambito non avrebbero potuto
essere considerate altre risultanze che quelle già disponibili.
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quest’ultimo possa chiudersi con una affermazione di responsabilità. Dunque,

L’annullamento della decisione di non luogo a procedere – con il conseguente
eventuale accesso al giudizio di merito – non può costituire il mezzo per rivedere
una decisione in ipotesi errata. L’annullamento costituisce la fisiologica
implicazione di un quadro nel quale emerga la seria possibilità, trascurata dal
giudice dell’udienza preliminare, che la decisione futura possa basarsi su diversi
e significativi elementi di prova.
Altrimenti si rileva, come nella specie, la piena ed esclusiva pertinenza al fatto

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso il 26/03/2014.

dell’impugnazione proposta.

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