Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34175 del 26/03/2014

Penale Sent. Sez. 6 Num. 34175 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: PATERNO’ RADDUSA BENEDETTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
A.A.
avverso la sentenza n. 795/2011 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 18/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. BENEDETTO PATERNO’ RADDUSA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ,4-ec.4 .A..2

Data Udienza: 26/03/2014

Ritenuto in fatto
1. A.A. , tramite il difensore fiduciario , propone ricorso per
Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta con la
quale è stata confermata la condanna alla pena di giustizia resa in primo grado
dal Gup del Tribunale di Caltanissetta ai danni dello A.A., ritenuto
responsabile del fatto di reato di cui al capo A della rubrica del PM, ricondotto
all’egida dell’art 326 cod.pen., comma I.
2. Segnatamente , al ricorrente viene imputato l’aver rivelato a T.T.

ambienti vicini alla massoneria di Caltanissetta , relativa in particolare a Licata
Calogero e nel corso della quale erano state disposte intercettazioni ambientali e
telefoniche.
3. Motivi di ricorso .
3.1 Con i primi tre motivi si ribadiscono le questioni in rito sollevate con l’appello
relative
alla violazione dell’art 415 bis cod.proc.pen. perché non si è proceduto alla
richiesta di interrogatorio dopo la notifica dell’avviso
alla mancata notifica di siffatto avviso e degli atti successivi presso il domicilio
eletto;
alla erronea applicazione alla specie della deroga alla competenza territoriale
prevista dall’art 11 in ragione del ruolo di VPO assunta dalla coimputata T.T..
2.2 Con gli ulteriori motivi si lamenta la erronea applicazione alla specie del
disposto di cui all’art 326 cp giacchè il ricorrente non ebbe mai a svolgere alcuna
indagine che riguardava il Licata; perché il C.C. non ebbe a interloquire di
siffatta indagine con il B.B. né con lo A.A.; perché la T.T., nel corso
del colloquio, fece cenno al coinvolgimento nelle indagini anche di altre persone
mai citate dal C.C. al B.B. sicchè il portato delle conoscenze riferite al
Licata doveva avere altra fonte; perché, al più, doveva trovare applicazione il
disposto di cui all’art 622 cod.pen. ; perché, infine, il reato , consumato in data
antecedente il 5 aprile 2006 doveva ritenersi prescritto già prima della decisione
di secondo grado .
Considerato in diritto.
1.11 ricorso va dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi.
2. E’ palesemente infondata la contestata prescrizione del reato siccome
maturata prima della data della decisione di secondo grado.
La lettura congiunta delle dichiarazioni del Maggiore C.C. ( quanto al
riferimento all’incontro congiunto, presso il suo ufficio, con il B.B. e
l’imputato avvenuto il 4 aprile) e della trascrizione della intercettazione relativa
al colloquio tra la T.T. ed il Licata del 5 aprile 2006 non lascia spazio al

che era in corso una indagine trattata dalla DDA di Palermo avente ad oggetto

dubbio , per l’esplicito riferimento che la T.T. in tal senso opera nel corso del
citato colloquio, alla conclusione in forza alla quale la veicolazione della notizia,
coperta dal segreto , dal ricorrente alla T.T. , ebbe a realizzarsi nello spazio
di tempo compreso tra il quattro ed il cinque aprile 2006.
A tale riferimento temporale, in punto di individuazione del momento di
consumazione del reato, occorre dunque rifarsi per la decorrenza del termine
utile alla prescrizione del reato. E nel caso, la sentenza di primo grado è del
novembre del 2011; il decreto di citazione in appello , ultimo atto interruttivo

appello , infine, risulta emessa nell’aprile del 2013 e dunque entro il termine di
prescrizione breve ex art. 157 cod.pen. decorrente dall’ultima interruzione che
ebbe a precederla.
3. Sulle questioni in rito va pedissequamente ribadito quanto già coerentemente
osservato dalla Corte territoriale rispondendo ai medesimi rilievi articolati in
appello.
3.1 In particolare, quanto alle invalidità legate alla violazione dell’art 415 bis
cod.proc.pen. , perché non si è proceduto alla richiesta di interrogatorio dopo la
notifica dell’avviso, nonché alla notifica di siffatto avviso e degli atti successivi
non presso il domicilio eletto ma presso quello reale del ricorrente , non può che
rimarcarsi che, ove riscontrate , sarebbero comunque tutte nullità di ordine
generale a regime intermedio destinate a rimanere travolte dalla successiva
scelta dell’abbreviato operata dal ricorrente; scelta la quale , com’è noto, opera
un effetto sanante delle nullità, ai sensi dell’art. 183 cod. proc. pen. ( tra i tanti
arresti si veda da ultimo

Sez. 2, Sentenza n. 19483 del 16/04/2013, Rv.

256040).
3.2 In ordine poi al tema della incompetenza, individuata ex art. 11
cod.proc.pen. in ragione del ruolo di Vice Pretore onorario svolto dalla
coimputata T.T. in Agrigento all’epoca del fatto, va ribadito come , in linea
con le SS UU di questa Corte (Sentenza n. 292 del 15/12/2004 Rv. 229632) “la
deroga alle regole generali della competenza per territorio nei procedimenti in
cui un magistrato assume la qualità di indagato, di imputato ovvero di persona
offesa o danneggiata dal reato, si applica anche al magistrato onorario il cui
incarico sia connotato dalla stabilità, e cioè dalla continuatività riconosciuta
formalmente per un arco temporale significativo, in quanto questa, essendo
sufficiente a radicarlo istituzionalmente nel plesso territoriale di riferimento,
potrebbe ingenerare il sospetto, stante il rapporto di colleganza e di normale
frequentazione tra magistrati della medesima circoscrizione, di un non imparziale
esercizio della giurisdizione dei suoi confronti.

prima della sentenza di appello è per forza di cose successivo; la sentenza di

Si sostiene poi in ricorso che la T.T. avrebbe dismesso le funzioni di VPO
all’epoca di instaurazione del processo . La questione , peraltro mal posta perché
presupponeva la indicazione del momento relativo all’ atto formale di revoca da
parte del Consiglio Superiore della Magistratura (e non a quello, diverso, in cui
di fatto sia cessato l’esercizio delle funzioni : cfr in tal senso

Sez.

1,

Sentenza n. 40145 del 23/09/2009 Rv. 245050) appare inammissibilmente
addotta in questa sede di legittimità perché presuppone, per la prima volta , un
accertamento in fatto incompatibile con il giudizio di Cassazione.

in fatto della vicenda in processo per come conformemente ricostruita dai giudici
del merito.
4.1 Secondo la ricostruzione offerta dai Giudici del merito , tutta imperniata sugli
esiti di intercettazioni telefoniche e sulle dichiarazioni rese in giudizio da
C.C. , maggiore dei Carabinieri chiamato svolgere le indagini
oggetto di rivelazione :
– il C.C. ebbe a colloquiare per ragioni di ufficio con il capitano B.B.
, comandante della compagnia di Canicattì , comunicando allo stesso , in
una data imprecisata tra il 20 ed il 30 marzo del 2006 , che era in corso una
attività investigativa sulla mafia di Canicattì e facendo espresso riferimento
nominativo alla persona di Licata Calogero;
– il 4 aprile 2006 , C.C., B.B. e l’imputato ebbero ad incontrarsi presso il
reparto diretto dal Maggiore C.C. e, in esito a detto incontro il B.B. ebbe
a rivelare al ricorrente la sussistenza delle dette indagini che coinvolgevano il
Licata;
– a sua volta lo A.A., nella consapevolezza dei rapporti che legavano la sua
compagna T.T. , ebbe a comunicare tanto alla suddetta;
– quest’ultima , il giorno successivo al citato incontro ebbe a telefonare al Licata
in un primo momento invitandolo ad incontrarsi di persona perché non voleva
parlare al telefono e poi , contattata dal Licata qualche ora dopo su una utenza
che il predetto riteneva immune da controlli , ebbe a comunicare al suddetto la
pendenza delle indagini per come riferitale il giorno precedente dallo A.A.,
evidenziando che questi lo aveva saputo da B.B. e che le indagini erano
seguite dal C.C..

4.2 A fronte di siffatta inequivoca cornice fattuale, emerge con assoluta evidenza
l’infondeaezza di tutte le ulteriori censure mosse in ricorso avverso la decisione
impugnata.

4. Gli ulteriori motivi di ricorso impongono a monte la individuazione della linea

La sentenza infatti si rivela siccome assolutamente lineare nel percorso
argomentativo tracciato , priva di illogicità , pienamente conforme al dato
istruttorio acquisito ed a quello normativo applicato.
La lettura della trascrizione legata alla telefonata occorsa tra il Licata ,
destinatario ultimo delle rivelazioné e la T.T., filtrata dal tenore delle
i
dichiarazioni di C.C. i dàDn inequivocabile riscontro della veicolazione della
notizia riservata nel passaggio composito occorso tra B.B. , A.A.,
T.T.. Il fatto che poi la T.T. faccia riferimento, nel corso del

nella citata indagine, è circostanza che non vale a destrutturare ihalcun modo il
dato essenziale del fatto in contestazione, lei veicolazione del dato coperta dal
segreto, essendo inidoneo a destrutturare il portato logico delle valutazioni rese
dalla Corte territoriale a fondamento del giudizio di responsabilità anche perché
appare riferirsi a situazioni di per sé autonome rispetto al propalato relativo alle
immediata inerenza delle indagini nei confronti del Licata.
Non vi sono dubbi infine sulla coerente configurazione del fatto in termini di
rivelazione ex art. 326 comma I cod.pen. , chiara essendo l’inconferenza del
riferimento al disposto di cui all’art. 622 cod.pen. , che mal si attaglia alla specie.
Tale ultima ipotesi di reato si distingue dalla fattispecie incriminatrice considerata
in sentenza in ragione del tipo di segreto di cui è interdetta la divulgazione :
nella ipotesi dell’art. 326 cod. pen., questo deve riguardare notizie “di ufficio”,
quelle, cioè, concernenti un atto o un fatto della pubblica amministrazione in
senso lato nei diversi aspetti delle funzioni legislativa, giudiziaria o
amministrativa “stricto iure”; nella ipotesi dell’art. 622 cod. pen., deve essere
riferito a notizie apprese “per ragioni di ufficio” e riflettenti situazioni soggettive
di privati e delle quali colui, che di esse è depositario in virtù del suo “status”
professionale in senso lato (ufficio, professione o arte), deve assicurare la
riservatezza.

E nel caso non sembra in discussione che la rivelazione del dato afferente lo
svolgimento di indagini rappresenti una tipica ipotesi di notizia “di ufficio”
giacchè la conoscenza diffusa del contenuto di informazioni investigative,
destinato a rimanere segreto per espressa previsione dell’art. 329, comma
primo, cod. proc. pen., pregiudica di per sé il buon andamento delle indagini,
offendendo il bene giuridico tutelato dall’art. 326 cod.pen. (cfr da ultimo Sez. 2,
Sentenza n. 30838 del 19/03/2013 Rv. 257057).

citato colloquio, anche ad altri soggetti e non solo al coinvolgimento del Jicata

7. Alla inammssibilità del gravame segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento e di una somma , liquidata in via
equitativa come da dispositivo , in favore della Cassa delle Ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processualie della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle
Ammende ..

Il Consigliere estensore

PreskJerite

Così deciso il 26 marzo 2014

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