Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3417 del 08/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 3417 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: FIANDANESE FRANCO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MANZI ENZO N. IL 23/12/1976
avverso la sentenza n. 2521/2010 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 18/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCO
FIANDANESE;

Data Udienza: 08/10/2013

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza in data 18 maggio 2012, confermava la
condanna pronunciata dal Tribunale di Lanciano, in data 24 marzo 2009, nei confronti di Manzi
Enzo, alla pena di anni due di reclusione ed euro 516 di multa, perché ritenuto colpevole del
delitto di ricettazione di una caldaia provento di truffa..
Propone ricorso per cassazione l’imputato personalmente, denunciando vizio di
motivazione in merito alla ritenuta sussistenza del dolo del reato contestato.

poiché, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte esula dai poteri della
Corte stessa quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più
adeguata, valutazione delle risultanze processuali(per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n.
6402, Dessimone, riv. 207944).
I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti
mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con
motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo
convincimento, evidenziando che l’imputato non era in possesso della documentazione
relativa alla installazione della caldaia né della dichiarazione di conformità redatta da un
tecnico abilitato e che non aveva fornito alcuna giustificazione in ordine al possesso della
caldaia medesima.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616, valutata la colpa, quale emerge evidente dal
contesto dei motivi dell’impugnazione, al pagamento della somma, che si ritiene equa, di euro
1.000,00 a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.
Così deliberato in Roma, in camera di consiglio, 1’8 ottobre 2103.

Il motivo di ricorso, oltre ad essere manifestamente infondato, non è consentito,

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