Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34166 del 15/07/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 34166 Anno 2014
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da Benito ROMEO, nato Messina il 25.10.1981,
avverso l’ordinanza emessa in data 14.4.2014 dal Tribunale di Messina.
Visti gli atti, la sentenza impugnata, il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo la declaratoria d’inammissibilità del
ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. Filippo Cusumano, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 15/07/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Messina, investito ex art. 310
cod. proc. pen. dall’appello proposto dall’imputato Benito ROMEO, ha confermato
l’ordinanza della Corte di assise di Messina che il 27-30.1.2014 aveva respinto la
richiesta di revoca e, in subordine, di sostituzione della custodia cautelare in
carcere, imposta al Romeo per il delitto di parricidio (al Romeo era contestato di
avere cagionato la morte del padre soffocandolo a seguito di violenta
colluttazione, simulandone quindi il suicidio mediante impiccagione).

determinare un affievolimento delle esigenze di tutela sociale valutate all’atto
dell’applicazione della misura, tali non potendosi considerare il mero decorso del
tempo o la mera osservanza degli obblighi imposti, mentre lo stato di
avanzamento del processo non costituiva di per sé circostanza capace di incidere
su dette esigenze, considerato che l’istruttoria dibattimentale era in corso e gli
esiti della stessa non erano al momento prevedibili. La gravità dei fatti oggetto
d’imputazione e l’allarmante personalità dimostrata dall’imputato imponevano,
dunque, il mantenimento della misura della custodia cautelare in carcere,
apparendo inadeguate misure meno afflittive.
2. – Avverso detta decisione ha proposto ricorso il Romeo a mezzo del
difensore avvocato Filippo Cusumano, chiedendone l’annullamento.
Con tre motivi formalmente distinti denunzia, sotto l’aspetto di vizi della
motivazione e violazione di legge:
2.1. che già all’epoca dell’ordinanza custodiale gli indizi di colpevolezza
apparivano contraddittori e l’espletamento di una parte dell’istruttoria
dibattimentale aveva determinato un’evoluzione della situazione processuale che
avrebbe imposto valutazioni difformi da quelle del giudice che aveva applicato la
misura cautelare; che andava in ogni caso riesaminata la adeguatezza della
misura coercitiva alla luce altresì del principio di “gradualità” e del tempo
trascorso (un anno e due mesi), che ben poteva considerarsi fatto nuovo che
rendeva vieppiù improbabile la reiterazione dei delitti della stessa specie e che
sicuramente faceva venire meno la “concretezza” di tale pericolo: aspetti questi
non presi adeguatamente in considerazione dal Tribunale;
2.2. che, attesa la personalità dell’indagato, l’applicazione della misura
aveva già costituito un notevole deterrente; che il Tribunale non aveva valutato
la concreta dinamica dei fatti e gli indici relativi alla personalità dell’indagato,
omettendo di motivare sulla probabilità che, ad oltre un anno dal fatto, esistesse
ancora concreto pericolo della reiterazione di reati della stessa specie; che
contraddittoriamente l’ordinanza impugnata sosteneva, da un lato la mancanza
di sopravvenienze idonee a determinare un affievolimento delle esigenze
cautelari, dall’altro che gli esiti dell’istruttoria dibattimentale non erano
prevedibili; che a carico dell’imputato vi erano esclusivamente condanne per
reati contro il patrimonio, e solo in un caso per lesioni personali e minacce, ma
risalenti all’anno 2006;
2.3. che la pericolosità sociale non poteva essere ritenuta, come aveva fatto .,.

2

A ragione della conferma di detta decisione il Tribunale osservava che non
erano state prospettate, e non risultavano, elementi sopravvenuti idonei a

sostanzialmente il Tribunale, sulla sola base delle modalità dei fatti e di
presunzioni o elementi meramente congetturali; che nulla si era detto in ordine
alla ragionevole probabilità di condanna che, in base agli elementi acquisiti,
sarebbe dovuta sussistere per legittimare il rigetto dell’istanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il ricorso appare inammissibile.
Le censure sono del tutto generiche, e, mancando di qualsivoglia riferimento
a fatti sopravvenuti specifici diversi dal mero decorso del tempo, peraltro non
provvedimento impugnato secondo cui nulla era sostanzialmente mutato dal
momento dell’applicazione della misura con riguardo sia ai gravi indizi di
colpevolezza sia alle esigenze cautelari.
Improponibili sono, in particolare, le osservazioni, anch’esse del tutto
aspecifiche, in punto di gravità indiziaria, che si limitano a riprodurre le analoghe
deduzioni assolutamente generiche articolate nella richiesta e nell’atto d’appello,
senza mai neppure lontanamente accennare a quale sarebbe stato il risultato
probatorio dell’istruzione dibattimentale capace di scardinare l’impianto
originariamente posto a base della misura, sul quale s’era formato “giudicato
cautelare”.
Astratte, e meramente confutative, sono quindi le osservazioni in punto di
pericolosità e di adeguatezza della misura carceraria, adeguatamente ritenute
invece dal Tribunale sulla base della estrema gravità dei fatti e della personalità
dell’imputato quale emergeva dalle concrete modalità della condotta e dai suoi
precedenti (tra i quali lo stesso ricorso riconosce l’esistenza di altro reato contro
la persona).
Avuto riguardo al titolo di reato contestato, assistito per il disposto dell’art.
275 cod. proc. pen., come inciso da Corte cost. n. 164 del 2011, da una
presunzione che, per quanto semplice, non risultava vinta da alcun elemento
specifico di segno contrario dotato di una qualche apprezzabile concretezza, deve
perciò ritenersi che del tutto correttamente la sussistenza di esigenze cautelari é
stata valutata nel caso in esame non fronteggiabile altrimenti.
2. Il ricorso deve, conclusivamente, essere dichiarato inammissibile e
all’inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa
correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) – di una
somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle
questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000.
Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà del
ricorrente, la cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att.
c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

particolarmente lungo, non consentono di ritenere superate le osservazioni del

n. i te;

-.p!a ex art. 23
G-3-95 n. 332

Roma, Jj
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al
direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp att.
cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il giorno 15 luglio 2014
re

Il Presidente

Il Consigliere est

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