Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34165 del 15/07/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 34165 Anno 2014
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA
sul conflitto negativo di competenza proposto dal Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Roma con ordinanza pronunziata il 16.4.2014,
in relazione alla sentenza 30.9.2013, dep. il 7.10.2013, del Tribunale di
Firenze,
nel procedimento a carico di:
– Carlo DEL BO, nato a Milano il 4.11.1964,
– Patrizia CERAMELLI, nata a Firenze IL 5.12.1968,
– Ferdinando MASTRANGELO, nato a Lanciano il 2.6.1967,
– Luca CAPPELLI, nato a Pontassieve il 1°.5.1965.
Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;
udita la relazione fatta dal consigliere M. Stefania Di Tornassi;
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale

dott. Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo dichiararsi la competenza del
Tribunale di Roma;
udito l’Avvocato dello Stato Attilio Barbieri, per le parti civili Ministero

dell’Interno e Ministero della Difesa, che ha chiesto dichiararsi la competenza del
Tribunale di Firenze;
udito il difensore dell’imputato Del Bo, avv. Pier Matteo Lucibello, che ha

chiesto dichiararsi la competenza del Tribunale di Roma.

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Data Udienza: 15/07/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 4760/2013, emessa in data 30.9.2013, depositata il
7.10.2013, il Tribunale di Firenze dichiarava la propria incompetenza a conoscere
dei reati contestati a Carlo DEL BO, Patrizia CERAMELLI, Ferdinando
MASTRANGELO, Luca CAPPELLI, affermando che tra di essi i più gravi erano i
reati di cui all’art. 615-ter cod. pen. e che, tenuto conto dell’inscindibilità e della
connessione fra tutti i fatti contestati, era competente per ragioni di territorio il
Tribunale di Roma.
Più in particolare, osservava che la contestazione concerneva l’introduzione
del Ministero dell’Interno e il mantenimento abusivo di tale accesso, che non
potevano considerarsi realizzati in Firenze, dove si trovavano soltanto i terminali
dai quali avevano operato gli imputati e che erano privi di dati propri, bensì nel
luogo ove fisicamente era situato il sistema che immagazzinava i dati ricercati e
appresi, cioè in Roma. La condotta criminosa punibile ex art. 615-ter cod. pen.,
consistente nell’accesso alla banca dati del sistema, si realizzava d’altro canto
con il superamento delle barriere di difesa informatica che controllano le
credenziali di accesso, gestite dal server centrale, essendo irrilevante la
postazione ovvero il luogo ove era collocato lo strumento periferico dal quale si
era effettuato l’accesso.
2.

Con ordinanza pronunziata il 16.4.2014, il Giudice dell’udienza

preliminare del Tribunale di Roma, aderendo alla richiesta e recependo le
osservazioni del Pubblico ministero, propone conflitto, ritenendo che, al
contrario, la competenza per territorio sia del Tribunale di Firenze.
Premette che il procedimento in esame costituisce pro ■Cgdimento
autonomo, derivante da separazione delle posizioni degli odierni imputati da
quello, originariamente a carico dei medesimi imputati in concorso con altri, per
gli stessi reati, nel cui ambito, dopo la separazione e analoga sentenza di
incompetenza del Tribunale di Firenze in relazione alle posizioni degli altri, il
G.u.p. di Roma aveva parimenti sollevato conflitto, deciso dalla Corte di
cassazione con sentenza in data 27.5.2013 dichiarando, per i coimputati, la
competenza del Tribunale di Roma.
Rimarcata l’autonomia del giudizio stralciato, osserva quindi che le ragioni e
le conclusioni della precedente decisione della Corte di cassazione non potevano
essere condivise. Non era in discussione il fatto che la banca dati del Ministero
dell’Interno si trovasse fisicamente Roma e che ad essa si accedesse ogni volta
che veniva fatta un’interrogazione dai terminali collegati, dopo la digitazione
delle credenze di accesso. L’aspetto focale della questione consisteva invece
nella circostanza che i terminali di sistema erano situati su tutto il territorio
nazionale, negli uffici decentrati del Ministero e negli uffici comunque abilitati
all’accesso, e l’introduzione di ogni dato avveniva contestualmente nelle sedi
periferiche e nel sistema centrale, senza alcuna possibilità di evocare “ripartizioni
spaziali”: incompatibili con la nozione stessa di cyberspazio, per definizione
entità delocalizzata nell’ambito della quale opera la rete di comunicazione
telematica. Il sistema doveva quindi considerarsi un “unicum” che si alimentava

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abusiva nella banca data riservata del Sistema D’Iformazione Interforze (SDI)

di continue allegazioni e acquisizioni di dati contestualmente ovunque
compresenti, e l’unica cosa collocabile secondo i parametri del mondo fisico era
in realtà proprio la condotta umana «che finisce nelle sedi locali, con contegni
non più arginabile negli esiti, e contestualmente produce modifiche nel sistema
centrale».
Al di là, dunque, delle suggestioni che derivavano dalla definizione del
delitto di cui all’art. 615-ter cod. pen. alla stregua di violazione del domicilio
informatico, non potevano esportarsi alla fattispecie nozioni legate alla
inequivoca materialità fisica del domicilio a cui fa riferimento l’art. 614 cod. pen.,
collocandosi invece le condotte di accesso abusivo in un sistema informatico «in
telematica», fondata sulla coesistenza dei flussi informativi: in un «non luogo»
incompatibile con qualsivoglia tentativo di attribuire ad esso una collocazione
spaziale fisica.
Per conseguenza, il luogo in base al quale andava determinata la
competenza per il reato in esame, costituente reato di mera condotta e non di
evento, non poteva che coincidere con quello ove era espletata l’attività umana,
tipica e volontaria, mediante la quale veniva realizzato l’accesso stesso,
ovverosia, nel caso in esame, a Firenze, luogo ove erano collocati i terminali
mediante i quali l’accesso era stato effettuato.
3. Hanno depositato memoria l’Avvocatura dello Stato per le parti civili
Ministero dell’Interno e Ministero della Difesa e gli imputati Del Bo e Ceramelli
per mezzo dei rispettivi difensori, avvocati Pier Matteo Lucibello e Massimo
Manca.
4. L’Avvocatura dello Stato, ricapitolato lo sviluppo processuale r premette
che, nonostante la rituale costituzione in giudizio dell’avvocatura dello Stato per
il Ministero degli Interni e il Ministero della Difesa, alla stessa non era stato
notificato alcun avviso della fissazione dell’udienza del 15.7.2014, e chiede
quindi anzitutto di essere rimessa nei termini per il deposito della memoria,
avvenuto il 2 luglio 2011.
Nel merito – richiamata le osservazioni formulate con atto scritto in data
28.2.2014 dal Pubblico ministero dinanzi al G.u.p. del Tribunale di Roma e sulla
base di considerazioni sostanzialmente analoghe a quelle articolate in detto atto
e recepite della ordinanza che solleva conflitto – sollecita, previo eventuale
rimessione del conflitto alle Sezioni unite, la dichiarazione della competenza del
Tribunale di Firenze, sottolineando, tra l’altro, che l’adesione alla tesi condivisa
dalla precedente sentenza della Cassazione produrrebbe altresì l’anomala e
disfunzionale, per gli stessi imputati, concentrazione presso l’autorità giudiziaria
romana di una competenza quasi universale per tutte le indagini e tutti i giudizi
concernenti le violazioni dei sistemi informatici nazionali, e che non potrebbe
neppure utilmente evocarsi l’esigenza di una trattazione congiunta dei due
tronconi processuali, essendo il primo già in fase avanzata di istruttoria
dibattimentale.
3.

L’avv. Pier Matteo Lucibello, con memoria depositata il 2.7.2014

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un contesto immateriale e delocalizzato, in una rete di comunicazione

nell’interesse dell’imputato Carlo Del Bo, sollecita invece la dichiarazione di
competenza del Tribunale di Roma.
Richiamati gli argomenti spesi nella sentenza d’incompetenza del Tribunale
di Firenze e nella sentenza della Corte di cassazione risolutiva del conflitto
sollevato nell’ambito del procedimento concernente i coimputati, sottolinea in
particolare che nel caso in esame la discussione in ordine al luogo ove dovrebbe
considerarsi realizzato l’accesso abusivo sarebbe anche priva di concreta
rilevanza, dal momento che la condotta di cui devono rispondere gli imputati non
concerne l’accesso, da loro realizzato nella veste di soggetti autorizzati, bensì
“l’uso distorto” di tale accesso e del sistema: la condotta cioè concernente il
trasgressione delle specifiche regole di condotta imposte.
Afferma quindi che, in ogni caso, in applicazione della regola fissata dall’art.
28, comma 2, cod. proc. pen., il conflitto sollevato dal Giudice dell’udienza
preliminare in relazione a decisione del giudice del dibattimento sarebbe
inammissibile.
6.

L’avv. Massimo Manca ha depositato in data 7.7.2014 memoria

nell’interesse dell’imputata Patrizia Ceramelli, analogamente sollecitando la
dichiarazione di competenza del Tribunale di Roma.
In fatto, sottolinea in particolare che l’ultimo fatto reato contestato alla
Ceramelli risaliva a settembre 2006, e che all’epoca i sistemi informatici
accessibili presso le Questure erano elaborati esclusivamente a livello centrale,
non sussistendo alcuna autonoma gestione delle risorse informatiche da parte
degli uffici periferici (come da risposta scritta, in data 11.3.2004, del Ministero
dell’Interno a interrogazione parlamentare, che allega). Solo nel 2009, invece,
una nota del Ministero avvertiva che il CED stava completando la fase esecutiva
del passaggio dalle applicazioni di consultazione e aggiornamento dello SDI dalla
“vecchia modalità denominata 3279 alla moderna WEB” [rete ragnatela], e che
l’architettura dei sistemi di elaborazione, perlomeno sino al 2009 realizzata con il
terminali 3270, concentrava sull’elaboratore principale
sistema mainframe

(mainframe, appunto) sia la gestione della base dati sia l’esecuzione dei servizi

di cooperazione applicativa con altri sistemi informatici.
7. Dagli atti risulta che i fatti di cui all’art. 615-ter cod. pen. di cui si discute
sono stati contestati come commessi sino a 19.1.2007 quanto ai primi due
imputati, sino al 4.12.2006 quanto al terzo e sino al 21.4.2006 quanto al quarto,
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente va rilevato, quanto alla richiesta dell’avvocatura dello
Stato, per le parti civili Ministero dell’Interno e Ministero della Difesa, di
restituzione nel termine per la presentazione di memoria, di fatto depositata il
2.7.2014, va osservato che effettivamente dagli atti non risulta avviso per la
presente udienza a dette parti civili, in ragione del fatto che né dall’ordinanza
che ha sollevato conflitto né dagli atti trasmessi con la stessa, che mancavano di
copia del verbale d’udienza, risultava la loro costituzione.

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trattenimento abusivo all’interno del sistema e l’estrazione di dati sensibili in

La comparizione sana però il vizio, mentre la circostanza che nel giudizio con
il quale la Corte di cassazione decide il conflitto, si applichino, a norma dell’art.
32, comma 1, cod. proc. pen., le forme dell’art. 127, che ammette, al comma 2,
la presentazione di memorie sino a cinque giorni prima dell’udienza, contente di
ritenere comunque tempestiva la presentazione di tutte le memorie depositate
dalle parti, senza necessità di rimessione nel termine.
2. Nel merito, il Collegio osserva che sussiste materia di conflitto ai sensi
dell’art. 28 cod. proc. pen. giacché in relazione ai medesimi fatti addebitati ai
medesimi imputati sia l’autorità giudiziaria di Firenze sia quella di Roma hanno
Non ha fondamento, al proposito, la deduzione della difesa del Del Bo,
secondo cui in base l’art. 28, comma 2, cod. proc. pen., il conflitto sollevato dal
Giudice dell’udienza preliminare in relazione a decisione del giudice del
dibattimento sarebbe inammissibile.
E’ opinione consolidata, che il Collegio condivide, che la previsione citata,
contenuta nel secondo periodo del comma 2 dell’art. 28, si riferisce
esclusivamente alle ipotesi del comma 1, e cioè ai “casi analoghi”, ovverosia alle
situazioni di stallo che dipendono da dissensi tra uffici del medesimo organo
giudiziario in ordine a situazioni diverse dalla ripartizione della giurisdizione e
della competenza.
La prevalenza della decisione del giudice del dibattimento rispetto a quella
del Giudice dell’udienza preliminare non opera, perciò, quando detti giudici,
appartenenti a diversi uffici, sono stati chiamati a prendere cognizione dello
stesso fatto mediante esercizio dell’azione penale da parte dei rispettivi organi
del pubblico ministero, dandosi luogo, in tale ipotesi, non ad un “caso analogo”
(rientrante, come tale, nelle previsioni del citato comma 2 dell’art. 28), ma ad un
conflitto vero e proprio, inquadrabile nell’ambito del comma 1 e per il quale non
vi sono regole in forza delle quali la decisione di uno dei giudici debba prevalere
su quella dell’altro, in ragione del ruolo o della funzione esercitati (Sez. 1, n.
16555 del 01/04/2010, confl. Bellucci, Rv. 246942; Sez. 1, n. 5363 del
07/12/1993, dep. 1994, confl. Lauretta, Rv. 196101, e ivi citate, nonché,
mutatis, S.U. n. 22 del 06/12/1991).
3. Il conflitto va risolto dichiarando la competenza del Tribunale di Roma ai
sensi del combinato disposto degli artt. 25 e 32, 12 e 16 cod. proc. pen.
3.1. Il Collegio riconosce che, in astratto, le osservazioni del pubblico
ministero che ha sollecitato il conflitto e del giudice che l’ha sollevato, così come
quelle delle parti intervenute, hanno il pregio di sviscerare con maestria
argomenti scientifici e giuridici, dibattuti sia in giurisprudenza sia in dottrina,
meritevoli di attento vaglio critico, attesa la rilevanza delle questioni agitate e la
ricordata incidenza su procedimenti che risultano svolti in ambiti territoriali
diversi.
Tuttavia, nel caso concreto, il problema di competenza posto va risolto sulla
base di considerazioni diverse, che prescindono da tale dibattito.
8. Come emerge dagli atti ed è ampiamente spiegato dallo stesso giudice

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declinato la propria competenza, ritenendo ciascuna la competenza dell’altra.

che ha proposto il conflitto, il procedimento in esame è scaturito dalla
separazione della posizione degli odierni quattro imputati (Del Bo, Ceramelli,
Mastrangelo, Cappelli) nel giudizio dibattimentale che si svolgeva – a seguito di
richiesta di rinvio a giudizio in data 12.4.2014 e di decreto disponente il giudizio
in data 22.10.2010 – a carico di undici imputati (Martini, Del Bo, Ceramelli,
Baldini E., Baldini P., Carpino, Pompei, Mastrangelo, Russo, Puccinelli, Cappelli),
con restituzione degli atti al Pubblico ministero per i quattro prima menzionati e
nuova, separata richiesta di rinvio a giudizio, datata 2.9.2011, nei loro confronti
per i medesimi reati già contestati in concorso con gli altri, dinanzi al Tribunale di
Firenze.
Baldini E., Baldini P., Carpino, Pompei, Russo, Puccinelli) il Tribunale di Firenze si
era nel frattempo dichiarato incompetente con sentenza in data 29.6.2011 e il
Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, investito di nuova
richiesta di rinvio a giudizio dal Pubblico ministero in sede, sollevava conflitto con
ordinanza in data 14.11.2012.
Detto conflitto veniva quindi deciso dalla Corte di cassazione con sentenza n.
40313 del 27 maggio 2013, depositata il 27 settembre 2013, che ai sensi
dell’art. 32 cod. proc. pen. dichiarava la competenza del Tribunale di Roma, così
individuando quello che in giurisprudenza e dottrina viene indicato come “foro
commissorio”: ovverosia determinando, ai sensi dell’art. 25 cod. proc. pen.,
espressamente richiamato dal comma 3 dell’art. 32 cod. proc. pen., la
competenza per i reati contestati con effetti vincolanti per il corso dell’intero
processo (anche se, in ipotesi, erroneamente: tra molte,
Sez. 5, n. 3658 del 04/07/1994, Greco, Rv. 199842; Sez. 1, n. 2504 del
04/04/1997, confl. Fiorentini, Rv. 208881; Sez. 1, n. 11193 del 02/02/2007,
Bacchetti non mass.), salvi mutamenti, da fatti nuovi, degli addebiti.
4.2. Nel procedimento “stralciato” a carico dei quattro coimputati (Del Bo,
Ceramelli, Mastrangelo, Cappelli) si è riproposta, quindi, la medesima sequenza
procedimentale e, dichiarata dal Tribunale di Firenze la propria incompetenza con
sentenza del 30.9.2013, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma
ha sollevato il conflitto ora all’esame sull’assunto che il procedimento stralciato
costituisse in tutto procedimento autonomo.
Tuttavia non v’è dubbio, alla luce delle contestazioni, che tra i fatti
addebitati a Del Bo, Ceramelli, Mastrangelo e Cappelli nel procedimento
stralciato in esame e quelli oggetto del procedimento in cui è intervenuta la
sentenza della Corte di cassazione ex art. 32 cod. proc. pen., v’è connessione ai
sensi dell’art. 12, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., che concerne, oltre che
gli altri capi, a loro volta a vario titolo tra di loro connessi, segnatamente i delitti
di cui all’art. 615-ter, per i quali nell’altro giudizio è stato determinato il foro
commissorio del Tribunale di Roma.
E la connessione costituisce nell’ordinamento processuale vigente criterio
originario di individuazione del giudice competente al pari della competenza per
materia e per territorio, non più, come nel codice previgente, mero criterio di
modificazione della competenza. Essa rappresenta, in altri termini, criterio
autonomo per il quale è affatto indifferente la concreta possibilità di riunione e
che prescinde persino dalla pendenza dei procedimenti nello stesso stato e grado

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Nel giudizio che era proseguito a carico dei restanti sette imputati (Martini,

(sul punto può farsi integralmente rinvio a Sez. U, n. 27343 del 28/02/2013,
Taricco, Rv. 255345).
Sicché, la competenza irretrattabilmente attribuita con la sentenza
pronunciata dalla Corte di Cassazione che ha risolto il predente conflitto per i
reati connessi e sulla quale, come dice giurisprudenza e dottrina, non è ammessa
discussione, comporta per ragioni di connessione l’attribuzione della medesima
competenza nel presente giudizio (cfr. per precedente analogo Sez. 1, n. 27254
del 24/06/2010, confl. Brunetto, Rv. 247809)

P.Q.M.
Dichiara la competenza del Tribunale di Roma, cui dispone trasmettersi gli
atti.
Così deciso in Roma il giorno 15 luglio 2014
Il Consigliere este ore

Il Presidente

3. Ne consegue che va dichiarata la competenza del Tribunale di Roma, cui
gli atti vanno restituiti.

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