Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34161 del 15/07/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 34161 Anno 2014
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da Antonio BRUNO, nato a Grottaglie il 24.1.1964,
avverso l’ordinanza emessa in data 28.11.2013 dalla Corte di assise di
Brindisi.
Visti gli atti, il provvedimento denunziato, il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Giuseppe Volpe, che ha concluso chiedendo la declaratoria
d’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la decisione in epigrafe la Corte di assise di Brindisi rigettava la
richiesta avanzata da Antonio Bruno, volta alla sostituzione con la pena di trenta
anni di reclusione della pena dell’ergastolo [con isolamento diurno] inflittagli [per
partecipazione all’associazione di stampo mafioso Sacra Corona Unita e cinque
omicidi] con sentenza in data 22.7.1998 della Corte di assise di Brindisi,
confermata dalla Corte di assise di appello di Lecce il 12.2.2002, divenuta
irrevocabile il 13.3.2003 [come da sentenza in pari data della Corte di

Data Udienza: 15/07/2014

cassazione, sezione quinta, n.r.g. sent. 552 del 2014].
Premetteva che la richiesta era giustificata dal richiamo alla sentenza
Scoppola della Corte EDU, alla ordinanza delle Sezioni Unite Ercolano, di
rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità dell’art. 7 d.l. n.
341 del 2000, alla sentenza n. 210 del 2013 della Corte costituzionale, in
situazione, asseritamente analoga a quelle esaminate in detti precedenti, di
mancato accoglimento della richiesta di giudizio abbreviato.
Osservava, a ragione del rigetto, che, in realtà, nel caso in esame non v’era
stato nessun rigetto della richiesta del Bruno. Effettivamente vi era stata una
richiesta in tal senso avanzata dall’imputato Bruno in data 6.10.2000 al
udienza essendo fissata, come evidenzierà anche il difensore, per il 31.10.2000];
ma dalla sentenza d’appello risultava che all’udienza del 16.1.2001 l’imputato
aveva formalmente revocato detta richiesta, e il giudizio di secondo grado era
stato celebrato in forma ordinaria. La situazione del Bruno non era, perciò,
affatto simile a quella dello Scoppola [oggetto della sentenza della Corte EDU] e
l’ammissione al rito era vicenda che atteneva interamente ed esclusivamente alla
fase della cognizione, definitivamente esaurita (si cita Sez. 1, n. 4075 del
4.12.2012). Per altro la originaria richiesta del ricorrente neppure poteva
considerarsi – all’epoca – ammissibile, non risultando nel suo caso rispettate le
condizioni poste dall’art. 4-ter, comma 3, lett. b), d.l. del 7.4.2000 n. 82, che
consentiva la rimessione nel termine per la presentazione della richiesta di
giudizio abbreviato nel giudizio d’appello solo nei casi in cui era stata disposta la
rinnovazione dell’istruzione, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., e prima che
l’istruzione stessa fosse esaurita.
2. Ha proposto ricorso il Bruno a mezzo del difensore avv. Sergio Luceri, che
chiede l’annullamento del provvedimento impugnato, previa remissione alla
Corte costituzionale di questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 d.l. n. 341
del 2000, con riferimento all’art. 117 Cost. in relazione all’art.7 CEDU.
Deduce al proposito che:
il Bruno non aveva revocato per un suo ripensamento la richiesta di giudizio
abbreviato, ma, come emergeva dalla missiva inviata dal condannato al
Presidente della Corte di assise di appello in data 22.12.2000, a causa
dell’intervenuta modifica normativa recata dagli artt. 7 e 8 d.l. n. 341 del 2000;
la sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 7 di detto
decreto, nella parte in cui annetteva efficacia retroattiva alle modificazioni
peggiorative in termini di pena, rendeva evidente la illegittimità consequenziale,
altresì, dell’art. 8, che, proprio a ragione di detta efficacia retroattiva,
riconosceva all’imputato una facoltà di revoca il cui esercizio risultava nella
sostanza necessitato a causa, appunto, della modifica peggiorativa;
la motivazione del provvedimento impugnato era inoltre viziata da manifesta
illogicità e contraddittorietà, anche esterna, laddove aveva affermato che la
richiesta di giudizio abbreviato originariamente proposta dal Bruno non sarebbe
stata ammissibile non sussistendo le condizioni previste dalla norma transitoria
per i giudizi di appello; dalla stessa sentenza di condanna risultava, al contrario,
che nel giudizio di appello la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale era stat*

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Presidente della Corte di assise di appello [in fase predibattimentale, la prima

disposta con ordinanza pronunziata all’udienza del 16.1.2001, sicché la richiesta
di giudizio abbreviato formulata con la missiva del 6.10.2000, pervenuta al
Presidente della Corte di appello il giorno 11 successivo, doveva ritenersi
“ritualmente effettuata prima che venisse disposta la rinnovazione dell’istruzione
di battimentale”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorrente afferma nella sostanza di avere diritto alla sostituzione della
pena dell’ergastolo con quella di trenta anni di reclusione, sulla base dei principi
affermati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza della Grande
Camera 17.9.2009, Scoppola contro Italia.
La sua situazione non è, però, né identica né simile a quella esaminata in
detta sentenza.
Nel caso esaminato dalla sentenza Scoppola, l’imputato aveva chiesto il
giudizio abbreviato dopo l’entrata in vigore della legge n. 479 del 1999 e sulla
base della disciplina da essa introdotta; era stato ammesso al rito speciale e
condannato in primo grado a trenta anni di reclusione; era accaduto quindi che
lo stesso giorno della condanna era entrato in vigore il d.l. 24.11.2000, n. 341,
convertito, con modificazioni, con la legge 19.1.2001, n. 4, il cui art. 7 stabiliva
che, nel secondo periodo dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. «l’espressione
“pena dell’ergastolo” deve intendersi riferita all’ergastolo senza isolamento
diurno» (comma 1) e aggiungeva allo stesso art. 442, comma 2, un ulteriore
periodo, in forza del quale «Alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei
casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell’ergastolo»
(comma 2); in applicazione di tale norma sopravvenuta, l’imputato era stato,
quindi, condannato in appello all’ergastolo “semplice”, con sentenza poi
confermata dalla Corte di cassazione.
In relazione alla fattispecie processuale descritta, la Corte europea ha
ravvisato la violazione del principio di retroattività della legge penale più
favorevole al reo, ritenuto insito nella previsione dell’art. 7, paragrafo 1, CEDU:
principio alla luce del quale l’imputato avrebbe dovuto beneficiare – pur avendo
commesso il fatto anteriormente – della più favorevole previsione dell’art. 30
della legge n. 479 del 1999, ritenendo, altresì, che violava l’art. 6 della CEDU,
una modifica a posteriori delle condizioni dell’ “accordo” insito nel giudizio
abbreviato, che “implica uno scambio tra la rinuncia a determinate garanzie
processuali e la diminuzione della pena”.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 210 del 2013 pure evocata dal
ricorrente, sollecitata dalle Sezioni Unite e considerato l’aspetto sostanziale della
violazione, ha ritenuto quindi che la sentenza Scoppola obbliga lo Stato italiano,
ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della CEDU, a porre riparo alla violazione
riscontrata a livello normativo e a rimuoverne gli effetti nei confronti di tutti i
condannati che si trovino nelle medesime condizioni di Scoppola.

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1. Osserva il Collegio che il ricorso appare sotto ogni aspetto quantomeno
infondato.

Ma proprio nella sentenza n. 210 citata, la Corte costituzionale chiaramente
rimarca che detto obbligo non trova ostacolo nell’avvenuta formazione del
giudicato e nella circostanza che una violazione analoga a quella sanzionata nel
caso Scoppola risulti denunziata dinanzi al giudice dell’esecuzione, giacché si
versa in ipotesi di mera sostituzione della pena che non postula la necessità di
una «riapertura del processo». E avverte dunque che la conclusione cui perviene
riguarda «esclusivamente l’ipotesi in cui sì debba applicare una decisione della
Corte europea in materia sostanziale, relativa ad un caso che sia identico a
quello deciso e non richieda la riapertura del processo», ipotesi nella quale
soltanto può giustificarsi «un incidente di legittimità costituzionale sollevato nel

Acquista dunque rilievo decisivo per il caso ora in esame il fatto che lo
stesso si differenzi dal caso Scoppola «sotto il profilo essenziale che l’imputato
non è mai stato ammesso al giudizio abbreviato» (cfr. in tal senso, mutatis, C.
cost. ord. n. 235 del 2013).
Sicché anche per la situazione processuale del ricorrente, non riferibile a
norma sostanziale ma alla disciplina squisitamente processuale dell’accesso al
rito, più che la sentenza Scoppola, pare evocabile la successiva decisione della
Corte europea 27.4.2010, Morabito c. Italia (concernente il regime transitorio
previsto dal comma 1 dell’art. 4-ter d.l. n. 82 del 2000, in relazione all’avvenuta
soppressione, da parte della legge n. 479 del 1999, del requisito del consenso
del pubblico ministero) in cui sì è osservato che «gli Stati contraenti non sono
obbligati dalla Convenzione a prevedere dei procedimenti semplificati […]: ad
essi incombe soltanto l’obbligo, allorquando tali procedure esistono e sono
adottate, di non privare un imputato dei vantaggi che vi si collegano».
3. Non può quindi non osservarsi che, in base a quanto osservato dalla
stessa difesa, la richiesta di giudizio abbreviato avanzata dall’imputato a ottobre
2000 e revocata all’indomani dell’entrata in vigore del dl. n. 341 del 2000, era
da ritenere, al momento della sua proposizione, inidonea a sortire effetti, giacché
si trattava di richiesta predibattimentale inoltrata quando non era stata ancora
disposta la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. Mentre, al momento in cui
detta rinnovazione venne disposta (il 16.1.2001, secondo il difensore) il Bruno
aveva già provveduto a revocarla (con missiva del 22.12.2000, sempre secondo
il ricorso). Sicché nel caso in esame vale, a maggior ragione, l’osservazione che
nel procedimento di merito il ricorrente non aveva «mai acquisito nel proprio
patrimonio giuridico il diritto ad essere giudicato con rito abbreviato» (cfr. ord. n.
235 del 2013 cit.)
4. La questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 8 di. n. 341 del
2000 in combinato disposto con l’art. 7 del medesimo decreto, che avrebbe
costretto l’imputato ad avvalersi, appunto, della facoltà di rinuncia, prospettata
nell’ambito dell’incidente dì esecuzione con riferimento all’art. 7 Cedu evocato
per il tramite dell’art. 117 Cost., appare, dunque, manifestamente infondata,
oltre che priva di concreta rilevanza in quanto riferibile a situazione nella quale
l’imputato non aveva formulato una richiesta di giudizio abbreviato idonea a

procedimento di esecuzione nei confronti di una norma applicata nel giudizio di
cognizione» (sent. n. 210 del 2013, nonché ord. 235 del 2013).

sortire effetti priva della intervenuta sua revoca, e, comunque, a norma della
quale il giudice dell’esecuzione non può più fare diretta applicazione,
concernendo le modalità procedurali da seguire nel giudizio di merito, oramai
definitivamente concluso.
5. Il ricorso non può, conclusivamente, che essere rigettato e il ricorrente
deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

processuali.
Così deciso in Roma il giorno 15 luglio 2014
Il Consigliere este

re

Il Presidente

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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